Sul rifiuto di sostituire il collega assente e sulla sua inclusione nella fattispecie illegittima di “sciopero delle mansioni” in caso di espressa previsione della contrattazione collettiva (Nota alla sentenza della Cassazione, sezione Quarta n. 23528 del

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Nel solco di una duratura policromia dottrinale, è stato indirettamente riservato alla giurisprudenza il complesso compito di determinare il contenuto attivo del diritto di sciopero.

Oltre gli argini dell’art. 40 della Costituzione, il cui contenuto ermetico si risolve nel puro riconoscimento di un diritto, si riscontra l’assenza di una nozione definita e circoscritta di “sciopero”.

Merita accenno una condotta circospetta e distaccata del legislatore sul fenomeno, nodo nevralgico del complesso equilibrio tra lecita azione sindacale ed interessi antagonistici del datore di lavoro.

In particolare la legge si è astenuta da una concreta definizione dei limiti all’esercizio del diritto, salvi sporadici casi eccezionalmente rilevanti (ad exemplum per il personale operante nei servizi pubblici essenziali o nelle centrali nucleari).

Ancor più complesso e delicato risulta essere il tema delle modalità effettive di esercizio del diritto di sciopero, assunto che la definizione ormai sedimentatasi di “astensione collettiva dal lavoro” non rende minimamente il caleidoscopio cangiante di fattispecie concrete in cui la medesima nozione statica è andata atteggiandosi nel corso dei decenni.

Nel caso in esame un lavoratore subordinato, alle dipendenze di una importante impresa, ricorreva in Cassazione impugnando la sanzione disciplinare comminatagli dal datore di lavoro e confermata in Corte d’Appello.

Secondo quanto emerso dal dibattimento e discusso nella sentenza, il lavoratore si era opposto alla legittima richiesta del datore di lavoro avente ad oggetto una prestazione accessoria riconducibile al patrimonio delle mansioni sue proprie: la sostituzione di un collega assente, specificamente prevista dalla contrattazione collettiva.

Giova precisare che l’obbligo di sostituzione deve considerarsi incluso nell’insieme chiuso delle mansioni cui il lavoratore è tenuto e non per compito indipendente ed esterno.

Nell’economia della presente analisi, particolare importanza assume il quinto motivo di ricorso, nel cui quesito di diritto è presente un esplicito riferimento alla “disposizione che obblighi il dipendente a sostituire […] un collega assente, remunerandolo con una quota di retribuzione inferiore alla maggiorazione per lavoro straordinario”. Parte ricorrente precisa inoltre che l’ “astensione collettiva da tale prestazione attiene al legittimo esercizio del diritto di sciopero”, appunto naufragato contro la risoluta contrarietà della Corte.

Il Giudice di legittimità non ha mancato di sussumere tale rifiuto nella fattispecie dottrinalmente tipizzata dello “sciopero delle mansioni”, nozione utilizzata per riferirsi alla condotta illegittima del lavoratore che non si astenga totalmente dalle mansioni ma rifiuti unicamente l’esecuzione di compiti determinati.

Citando sue stesse precedenti pronunce (12979 e 20273 del 2011), la Corte riconosce un proprio costante orientamento caratterizzato dal diniego di legittimità nel caso di “rifiuto di sostituzione”, scavando il solco per l’eventuale (e legittima) comminazione di sanzioni disciplinari.

Ancor più notevole risulta essere un passaggio successivo, in cui la fervente prosa della Corte si appunta sul carattere di estraneità di tale condotta rispetto alla nozione di sciopero (testualmente “comportamento costantemente ritenuto estraneo al concetto”), contribuendo quindi ad una ulteriore affinazione della definizione di “sciopero”.

Altro importante elemento probatorio a favore della legittimità della sanzione inflitta resta l’assenza di una proclamazione di sciopero, fattore ritenuto in dottrina universalmente necessario per la esplicazione fisiologica dell’astensione collettiva.

Lo sciopero, che la più accorta speculazione definisce “diritto del singolo ad esercizio collettivo”, è funzionalizzato alla tutela di interessi comuni e non ricomprende ogni astensione anomala del lavoratore che non sia canalizzata dal filtro della proclamazione.

Stanti tali argini, nel caso in esame l’astensione, già in sé legittima quanto alle modalità, incontrerebbe l’ulteriore ostacolo dell’insussistenza di un verificato interesse collettivo e sarebbe anche viziata quanto all’ “an” , ovvero risulterebbe inquinata ex ante, relativamente ai requisiti.

La sentenza, nel consolidare un orientamento particolarmente rigoglioso, conferma l’inclusione del “rifiuto di sostituzione” nella fattispecie illegittima di “sciopero delle mansioni” e chiarifica il contenuto attivo del diritto di sciopero, in particolare per quanto ascrivibile al predicato di “legittimità” del medesimo.

Avv. Gambetta Davide

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