Stalking e diritto di accesso agli atti del procedimento di ammonimento: non può essere negato al presunto stalker, perché lede i suoi diritti al contraddittorio ed alla difesa.

Scarica PDF Stampa

Il Tar Piemonte n.320 del 21 febbraio 2014 chiarisce un altro aspetto dubbio su questo peculiare strumento nella lotta contro lo stalking: se lo stalker abbia o meno il diritto di accesso agli atti del suo procedimento per ammonimento. A questo interrogativo è stata data risposta positiva con un’articolata ed analitica motivazione. Permane, invece, il contrasto giurisprudenziale sul preavviso obbligatorio, escluso, per la prima volta, dal Tar Catanzaro n. 613/13 (contra Tar Brescia n. 444/13; v. nota a sentenza di entrambe di Milizia, L’ammonimento del Questore allo stalker è valido se emesso inaudita altera parte e senza preavviso? in www.dirittoegiustizia.it,  ed. Giuffrè), laddove molti procedimenti sono stati annullati dai Tar per carenza di questo requisito, ritenuto fondamentale per assicurare al presunto stalker i diritti alla difesa ed al contraddittorio, ma più semplicemente per arginare l’incremento delle pendenze dovuto al parallelo aumento dei ricorsi ex art. 8 DL 11/09  (Tar Firenze 366/12, Napoli sez. V 114/11, Reggio Calabria sez. I 1171/10, CDS sez. III 5676/11; Di Fiore, Legge sullo stalking, boom di denunce ma al Tar si rischia lo stop delle diffide, in Il Mattino del 14/5/13).

Il caso. Un uomo era avvisato dal Questore Provincia di Torino – Divisione Polizia Anticrimine – Ufficio Minori, Stalking e Persone Scomparse circa l’avvio del procedimento di ammonimento ex art. 8 DL 11/09, poi adottato il 5/11/13 ed oggetto di un separato ricorso. Chiedeva di accedere ai relativi atti, ma gli era negata l’autorizzazione << sul presupposto che non sarebbero accessibili per motivi di ordine e sicurezza pubblica, ai sensi dell’art. 3 comma 1 lett. b) del D.M. Interno n. 415 del 1994>>. Impugnava la decisione eccependo <<I) l’insussistenza in concreto di ragioni interesse per l’ordine e la sicurezza pubblica; II) la violazione dell’art. 24, co. 7, della L. n. 241 del 1990 laddove attribuisce rilievo preminente alle esigenze conoscitive degli atti amministrativi quando la loro conoscenza sia funzionale alla difesa e alla tutela degli interessi giuridici degli istanti; III) il carattere recessivo delle esigenze di riservatezza dei terzi rispetto alle necessità difensive del ricorrente che hanno supportato la domanda di accesso>>. Citava in giudizio sia l’amministrazione che il Ministero dell’interno. Il Tar ha accolto le sue richieste, compensando le spese di lite, << stante la complessità dei profili applicativi della normativa richiamata.>>

L’ammonimento è un’alternativa alla querela. Ai sensi dell’art. 8 DL 11/09 (convertito, poi, nella L. 38/09): << fino a quando non è proposta querela per il reato di cui all’articolo 612-bis del codice penale, introdotto dall’articolo 7, la persona offesa può esporre i fatti all’autorità di pubblica sicurezza avanzando richiesta al questore di ammonimento nei confronti dell’autore della condotta. La richiesta è trasmessa senza ritardo al questore. 2. Il questore, assunte se necessario informazioni dagli organi investigativi e sentite le persone informate dei fatti, ove ritenga fondata l’istanza, ammonisce oralmente il soggetto nei cui confronti è stato richiesto il provvedimento, invitandolo a tenere una condotta conforme alla legge e redigendo processo verbale. Copia del processo verbale è rilasciata al richiedente l’ammonimento e al soggetto ammonito. Il questore valuta l’eventuale adozione di provvedimenti in materia di armi e munizioni. >>. La pena è aumentata se vi era già una condanna per stalking. Questa fase serve per raggiungere una ragionevole certezza dell’illecito, sì che l’istruttoria deve essere particolarmente approfondita. Da ciò sorge il dubbio se il presunto stalker debba essere ascoltato ed avvertito del procedimento a suo carico. In breve <<la fattispecie amministrativa e quella penale riguardano i medesimi comportamenti ma è diverso l’onere probatorio, in quanto, come si è visto sopra, per l’ammonimento sono sufficienti indizi coerenti, essendovi una finalità cautelare>> come affermato dal Tar Brescia citato. La giurisprudenza, come detto, è divisa sull’obbligatorietà del preavviso ex L. 241/90, anche se l’orientamento maggioritario tende a respingere i ricorsi in assenza dello stesso. Infatti << la comunicazione di avvio del procedimento non è dovuta allorché sussistano particolari ragioni di urgenza correlate all’atteggiarsi particolarmente odioso o pericoloso delle molestie (cfr.: T.A.R. Perugia, n. 209/2012), ovvero nelle ipotesi in cui non sussista alcuna incertezza in ordine agli episodi di stalking, o, ancora, se sia riscontrabile un evento inequivocabilmente riconducibile alla fattispecie di cui trattasi (cfr.: T.A.R. Lazio, I Sezione, n. 4639/2012).E tuttavia della necessità di omettere il contraddittorio procedimentale deve darsi atto nell’ammonimento con adeguata motivazione sul punto>>. Brescia, come visto, invece, ribadisce come esse e dette garanzie ne giustifichino l’emissione inaudita altera parte senza alcuna motivazione. Le prove raccolte in questa fase possono, poi, fungere da indizi nel processo penale, perciò è necessario che le scelte effettuate, durante lo stesso, siano adeguatamente motivate in ossequio ai diritti alla difesa ed al contraddittorio.

I motivi di ordine e di sicurezza pubblici giustificano sempre questo divieto? No, perché deve essere valutato caso per caso. In primis si noti come il rifiuto non sia stato adeguatamente motivato, essendosi la PA << limitata a menzionare la lettera b) del citato art. 3 del D.M. 10 maggio 1994 n. 415, senza null’altro aggiungere in ordine ai presupposti fondanti in concreto la reiezione dell’istanza di accesso>>. È questa una prima causa d’invalidità. Inoltre anche se l’art. 612 bis cp, che istituisce il reato di stalking ex L.38/09, è sussumibile sotto la materia regolata dall’art. 3, comma I lett. B DM 415/94, il rifiuto non può essere automatico. Nel corso degli anni, infatti, si è formata una censurabile prassi, fondata sull’esegesi letterale della norma, che tende a <<determinare una sottrazione generalizzata e automatica alle richieste ostensive dei documenti formati dall’amministrazione dell’Interno nelle specifiche materie incluse nella disposizione regolamentare (cfr. T.A.R. Latina, Sez. I, 6 ottobre 2010, n. 1653; id., 15 ottobre 2009, n. 949 e 2 aprile 2012 n. 263; T.A.R. Milano sez. I, 9 aprile 2013, n. 873). Invero, qualsiasi lettura interpretativa che limitasse in via generalizzata il diritto di accesso, per il solo ricorrere di una astratta inerenza del documento ad una delle materie ivi elencate – anche a fronte di situazioni insuscettibili di arrecare alcun significativo “vulnus” agli interessi scolpiti nell’art. 24, comma 2, della legge n. 241 del 1990 – paleserebbe l’illegittimità della disposizione regolamentare di cui al citato D.M. 415/1994, imponendone la conseguente disapplicazione ad opera del giudice amministrativo (ex plurimis, Cons. St., sez. V, 10 gennaio 2003, n. 35)>>. In breve la Questura, anziché applicarla pedissequamente, avrebbe dovuto effettuare il vaglio di ogni singolo documento di cui si chiedeva l’ostensione per verificare << la sussistenza o meno di quelle esigenze di tutela di determinati interessi (disvelamento di tecniche investigative ed identità delle fonti di informazione, rischi per la sicurezza dei beni e delle persone coinvolte, per l’attività di polizia giudiziaria e di conduzione delle indagini) che il legislatore, all’art. 24, comma 6, lett. c), della l. n. 241 cit. ha considerato idonee a giustificare il diniego di accesso>>. In questo caso avrebbe potuto produrli inserendo degli <<omissis>> al posto delle parti secretate per tali motivi (Tar Lazio 6857/02).

La pendenza del gravame dell’ammonimento giustifica il rifiuto? No: << il rimedio speciale previsto a tutela del diritto di accesso deve ritenersi esperibile anche in pendenza di un giudizio amministrativo ordinario, all’interno del quale i documenti oggetto della domanda di accesso possano essere acquisiti, in via istruttoria, dal giudice. La pendenza di un’azione giudiziaria non opera, quindi, in senso preclusivo né per quanto concerne la sussistenza del diritto di accesso previsto dalla l. n. 241 del 1990, né per quanto attiene all’ammissibilità dell’azione prevista dall’art. 25, della stessa legge, essendo rimessa al libero apprezzamento dell’interessato la scelta di avvalersi della tutela giurisdizionale ex art. 25, l. n. 241 citata o di tentare di conseguire la conoscenza dei documenti amministrativi nel giudizio pendente, mediante esibizione istruttoria>>. È irrilevante anche il fatto che il ricorrente potesse avanzare istanza di acquisizione di questi documenti in detto gravame. In conclusione non solo è palese la fondatezza del ricorso, ma anche la lesione dei menzionati diritti dovuta a tale rifiuto. Ora la PA, ex art. 116, comma IV, cpa ha tempo 30 giorni dalla notifica di questa sentenza per consentire la loro consultazione e l’estrazione di copia, pena la nomina di un commissario ad acta.

Dott.ssa Milizia Giulia

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento