Specificità dei motivi d’appello nel processo amministrativo

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Sulla specificità dei motivi d’appello esistono invero varie pronunce dei Tribunali.

Il Consiglio di Stato, con le sentenze brevi gemelle nn. 5956 e 5957 dell’11/12/2013, ha rigettato due diversi ricorsi argomentando proprio sull’incorretta formulazione dei motivi di appello, esaminando solamente un unico profilo di doglianza, ritenuto correttamente formulato.

La fattispecie al vaglio è un tema di scottante attualità: quello dei Piani di Massima occupabilità che rivedono e gestiscono ex novo la configurazione del rilascio di occupazioni del suolo pubblico nel territorio del Centro Storico capitolino.

Venendo all’esame dei singoli motivi d’impugnazione, il Consiglio di Stato ha ritenuto violato il disposto dell’art. 73, III° comma del Codice del Processo Amministrativo.

In prima battuta, nel corso delle udienze cautelari e quindi comunque nel contraddittorio tra le parti, il Collegio ha dapprima sottoposto alle parti la questione in ordine alla possibile violazione da parte dell’appellante del principio di specificità dei motivi e poi ha rappresentato come conseguenza la possibile decisione con sentenze brevi in forma semplificata.

All’uopo, il Collegio, con le menzionate sentenze gemelle, ha evidenziato che l’art. 73, comma 3, c.p.a., sia applicabile anche in sede cautelare.

Motiva il Consiglio di Stato “a) la previsione di cui all’art. 73, comma 3, c.p.a. posta a tutela del diritto di difesa e del contraddittorio tra le parti, ogni qual volta il Giudice debba adottare una decisione, è manifestazione del principio del giusto processo; b) lo stesso art. 60 comma 3 c.p.a. prevede alcune ipotesi nelle quali il legislatore ha rimarcato l’importanza di sottoporre determinate questioni all’attenzione delle parti ex art. 73, comma 3, c.p.a., così chiarendo il suo rilievo anche in sede di appello cautelare su ordinanza; c) l’art. 98 c.p.a. richiama espressamente in quanto applicabili tutte le norme dettate nel Libro II, Titolo II e tra queste evidentemente quella contenuta nell’art. 60 c.p.a., che prevede la possibilità di definire il giudizio con sentenza breve all’esito dell’udienza cautelare, assicurando tra l’altro, come avviene grazie anche all’applicazione dell’art. 73, comma 3, c.p.a., il pieno rispetto del contraddittorio”.

Il Collegio quindi, chiarita la possibilità di pronunciarsi già in sede cautelare sull’inammissibilità dell’appello, prosegue con la disamina del ricorso.

Motivando diffusamente, il Consiglio di Stato rimarca i profili d’inammissibilità dei motivi.

Argomenta il Collegio infatti rappresentando la sola valutazione di un unico motivo, questo solo ritenuto ammissibile rispetto ai numerosi dispiegati.

Non possono, infatti, essere esaminati motivi di primo grado che sono stati oggetto di espressa valutazione nella pronuncia gravata, atteso che ai sensi dell’art. 101 c.p.a. l’appello deve contenere le specifiche censure contro i capi della sentenza gravata“.

Conseguentemente il Collegio ha esaminando, rigettandolo, uno solo dei numerosi motivi proposti nel ricorso.

A riguardo, la ratio risiede nella considerazione che l’art. 101 del Codice del Processo Amministrativo, nell’imporre l’obbligo di specificità dei motivi d’appello, di fatto consenta la mera riproposizione delle eccezioni formulate in primo grado solo laddove sulle stesse il Primo Giudice non si sia pronunciato o le abbia ritenute assorbite.

Tuttavia, chi scrive ritiene che anche in caso di mancata pronuncia o di assorbimento dei motivi di primo grado quest’ultimi non possono essere meramente riproposti sic et simpliciter ma opportunamente argomentati ed indicati quali vizi della sentenza sotto forma di omessa pronuncia.

Un’interpretazione più aderente all’art. 101 c.p.a. impone quindi, a parer dello scrivente, di criticare il ragionamento del Primo Giudice anche per aver omesso di attribuire importanza a determinati motivi risultando il suo iter logico argomentativo inficiato d’illegittimità o viziato.

Tra l’altro, ragionando altrimenti, si rischierebbe di rasentare proprio quell’omissione di specificità dei motivi avverso la sentenza censurata in questa sede dal Collegio.

Tuttavia, il Superiore Consesso, se mostra un’apertura ed una flessibilità interpretativa nei confronti delle eccezioni ritenute assorbite o su cui non v’è stata pronuncia, impone un’atteggiamento più rigoroso riguardo alle altre.

Osta, infatti, ad un’interpretazione meno rigorosa la lettera chiara della norma codicistica che non consente la semplice riproposizione delle censure spiegate innanzi al Primo Giudice

Di talchè il ragionamento nella massima che segue appare pienamente condivisibile.

In questo caso, infatti, la critica al ragionamento giuridico esposto nella pronuncia gravata deve essere portato con censure specifiche, altrimenti il ricorso al Giudice di primo grado verrebbe svuotato di contenuto sostanziale, apparendo quale mera condizione per poter ottenere una seconda valutazione dei vizi oggetto del ricorso introduttivo“.

Tra l’altro, non è la prima volta che il Consiglio di Stato giunge a decisioni così rigorose in tema d’inammissibilità d’appello.

Ed infatti, le due sentenze gemelle contengono un richiamo autorevole ad importante precedente che già tempo addietro ha esaminato il tema della specificità dei motivi di appello.

Si rimanda infatti all’Adunanza Plenaria del 3 giugno 2011, n. 10.

E’ stato infatti statuito dall’Adunanza Plenaria richiamata che la mera riproposizione dei motivi di primo grado può essere giustificata solo quando manchi un’espressa ponderazione degli stessi da parte del Giudice di primo grado, non quando una valutazione vi sia stata.

In particolare, nella detta Adunanza si evidenzia che l”‘appello al Consiglio di Stato non può limitarsi ad una generica riproposizione dei motivi di ricorso disattesi dal giudice di primo grado, ma deve contenere una critica ai capi di sentenza appellati; la mera riproposizione dei motivi è ammessa solo se il giudice di primo grado non li abbia esaminati o li abbia disattesi con argomenti palesemente inconferenti, nel qual caso, però, il ricorrente dovrebbe comunque contestare la mancanza o la non pertinenza della motivazione“.

Invero, il principio è già stato cristallizzato in ulteriori pronunce del Superiore Consesso.

La sentenza 2170 del 18/04/14 ha sottolineato che “La specificità dei motivi esige che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengano contrapposte quelle dell’appellante, volte ad incrinare il fondamento logico-giuridico delle prime, non essendo le statuizioni di una sentenza separabili dalle argomentazioni che la sorreggono

Motivando analogamente si è detto che “alla “parte volitiva” dell’appello deve sempre accompagnarsi una “parte argomentativa” che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice; pertanto, è necessario, pur quando la sentenza di primo grado sia stata censurata nella sua interezza, che le ragioni sulle quali si fonda il gravame siano esposte con sufficiente grado di specificità, da correlare, peraltro, con la motivazione della sentenza impugnata“.

In questo senso si è ritenuto che l’art. 101, co. 1, c.p.a. abbia introdotto una previsione che deve ritenersi di carattere ricognitivo del prevalente orientamento giurisprudenziale sopra riportato, statuendo per l’effetto che l’appello deve contenere “le specifiche censure contro i capi della sentenza gravata”.

Oggetto delle pronunce indicate sono quindi stati più casi in cui il grado di specificità dei motivi di appello non è stato ritenuto sufficientemente parametrato e vagliato alla luce del grado di specificità della sentenza contestata, e pertanto una critica generica, o una lagnanza generica sull’ingiustizia della sentenza, non è adeguata e ammissibile se la sentenza confuta puntualmente i motivi di cui al ricorso di primo grado.

Alla luce di quanto esposto si ricavano ormai principi che è opportuno rispettare in toto et in singulis pena la declaratoria d’inammissibilità dell’appello.

Non può, innanzitutto, ritenersi sufficiente davanti al Consiglio di Stato il riepilogo delle censure di primo grado.

Giustifica la mera riproposizione delle eccezioni sollevate in primo grado la sola mancata pronuncia sulle stesse o la circostanza che queste siano state ritenute assorbite.

Esprimere la propria diffusa critica al ragionamento logico ed argomentativo del Primo Giudice appare quindi ormai imprescindibile

Le linee guida sopra indicate, se correttamente eseguite, dovrebbero porre al riparo da “sorprese” in appello.

Oppure, ad avviso di chi scrive, per maggiore sicurezza, potrà, in aggiunta, censurarsi in maniera analitica, come vizio che inficia la sentenza appellata, anche l’ omessa pronuncia oltre che l’aver il Primo Giudice erroneamente ritenuto assorbiti dei motivi, anche se il Giudice di Primo Grado abbia posto in essere tale decisione come conseguente effetto del contestato rigetto di altra eccezione, valutando tale reiezione come dirimente dell’esame delle successive doglianze.

Andrea Ippoliti

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