Sono confiscabili soltanto i beni acquistati nell’arco di tempo in cui si è manifestata la pericolosità sociale?

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 Annullamento con rinvio)

Il fatto

La Corte di appello di Roma confermava, salvo che per due autoveicoli, il decreto con cui il Tribunale della stessa città aveva disposto la confisca di prevenzione dei beni nella disponibilità di talune persone consistenti in beni immobili, polizze assicurative, conti correnti bancari, denaro contante e orologi di lusso previo accertamento della pericolosità sociale, non più attuale, di uno di essi, per il periodo dagli anni ‘80 al 2005 e della moglie di questi, per il periodo dal 2000 al 2005, in riferimento alle attività di occultamento di considerevoli risorse economiche riconducibili ad una società poi dichiarata fallita con reiterati trasferimento di denaro in favore di altre società e poi da loro negoziati.

Respingeva inoltre l’appello proposto dal coniuge di uno di questi prevenuti in ordine alla confisca di un contro corrente intestato alla stessa e al coniuge.

La Corte di appello aveva a tal riguardo rilevato come la categoria di pericolosità applicata a costoro, di cui al D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 1, lett. b), fosse adeguata e sostenuta da compiuta e coerente motivazione.

Queste persone, difatti, ad avviso della Corte territoriale, commisero abitualmente condotte di rilievo penale per un significativo periodo di tempo con imponenti movimentazioni di denaro che consentirono la formazione di una consistente base patrimoniale con cui avevano poi operato gli acquisti e acceso i rapporti finanziari.

Tal che se ne faceva discendere come non fosse rilevante, nel caso di specie, l’intervenuta pronuncia di incostituzionalità della previsione dell’altra categoria di pericolosità conseguente all’essere dediti a traffici delittuosi non avendo inciso su quella su cui il decreto del Tribunale aveva argomentato.

Per quanto concerne la posizione di un altro dei prevenuti, si rilevava come in nessuno degli anni successivi alla cessazione del periodo di pericolosità e fino a quello dell’acquisto degli immobili, il 2010, il reddito prodotto fosse tale da giustificare l’operazione.

La conclusione era che l’acquisto fosse stato il frutto del reimpiego dei profitti illeciti derivati dalle pregresse attività delittuose che consentirono la formazione di una consistente provvista patrimoniale utilizzata poi per molteplici acquisti di beni.

Circa la posizione di uno di questi, negli anni successivi al 2005, il saldo dei conti correnti bancari fu, ad eccezione che per il 2012, sempre negativo dovendosi così trarre per i giudici di secondo grado la conclusione dell’impossibilità per lo stesso di eseguire gli incrementi patrimoniali di detti rapporti finanziari con somme di denaro che non costituissero il reimpiego di quelle originatesi dalle illecite attività degli altri, ancora, non avendo giustificato l’esistenza di rilevanti somme di denaro custodite nelle cassette di sicurezza e la provenienza con propri redditi delle provviste di cui ai conti correnti bancari data la modesta entità dei redditi dichiarati.

A fronte della riconosciuta gestione da parte del padre, dei conti correnti dei figli, si sarebbe dovuto dare giustificazione della provenienza delle somme di denaro utilizzate anche per l’acquisto dei beni immobili peraltro uno avvenuto nel 2005 e quindi entro il periodo di pericolosità accertata; in assenza di tale dimostrazione, era per la Corte di Appello capitolina confermata la conclusione che l’acquisto avvenne mediante il reimpiego dei profitti illeciti derivati dai delitti commessi dai genitori.

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso questo provvedimento proponevano ricorso per Cassazione i difensori di tre dei quattro prevenuti deducendo i seguenti motivi: 1) violazione di legge posto che la Corte di appello, nelle more del giudizio di primo grado la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità del D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 1, lett. a), avrebbe dovuto esaminare approfonditamente la questione se il decreto di confisca emesso dal Tribunale potesse reggere con il riferimento soltanto alla categoria di pericolosità di cui al D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 1, lett. b), mentre ciò era stato in modo del tutto assertivo e apodittico omettendo di spiegare in cosa consistano specificamente, nel caso in esame, i requisiti delle cd. attività delittuose, dell’abitualità, degli elementi di fatto da cui desumere che i proposti vivessero abitualmente dei proventi delle attività delittuose; 2) violazione di legge per difetto di correlazione temporale tra l’epoca della ritenuta pericolosità sociale e quello di acquisto dei beni mobili e immobili riconducibili ai tre proposti; 3) violazione di legge nella parte in cui taluni dei preposti erano stati ritenuti intestatari fittizi per conto di altri; 4) violazione di legge e difetto di motivazione nella parte in cui la Corte di appello, in modo apodittico, aveva affermato che i beni confiscati fossero di provenienza illecita ignorandosi i numerosi elementi di fatto addotti dalle difese da cui si traeva la dimostrazione della loro lecita provenienza così come poi sarebbe stata affetta da difetto di motivazione la decisione con cui la Corte di appello aveva rigettato la richiesta di rinnovazione istruttoria per l’espletamento di una perizia in merito all’asserita discrasia tra risorse disponibili e cespiti riconducibili ai ricorrenti.

Il difensore del quarto prevenuto, a sua volta, proponeva anch’esso ricorso per Cassazione deducendo violazione di legge poichè la Corte di appello, da un lato, aveva disatteso immotivatamente quanto affermato dal Tribunale in ordine alla sproporzione reddituale motivatamente esclusa in primo grado, dall’altro, aveva fondato le sue valutazioni su un presupposto errato ossia omettendo di considerare i risultati dell’informativa della Guardia di Finanza successiva a quella richiamata.

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

I ricorsi venivano ritenuti meritevoli di accoglimento per le ragioni di seguito esposte.

Si osservava a tal riguardo che, se la Corte di appello aveva ritenuto che l’illecita ricchezza prodotta negli anni precedenti fosse stata successivamente impiegata per gli acquisti per i quali è intervenuto il provvedimento di confisca confermato avendo così ritenuto implausibile ogni altra prospettazione circa la possibilità che la provvista e la ricchezza impiegata potesse provenire da altre fonti diverse da quelle attività illecite che avevano qualificato il periodo di pericolosità sociale, con questo modulo operativo la Corte territoriale si era significativamente discostata dal principio di diritto stabilito dalle Sezioni unite della Corte di cassazione secondo cui “la pericolosità sociale, oltre ad essere presupposto ineludibile della confisca di prevenzione, è anche misura temporale del suo ambito applicativo; ne consegue che, con riferimento alla c.d. pericolosità generica, sono suscettibili di ablazione soltanto i beni acquistati nell’arco di tempo in cui si è manifestata la pericolosità sociale…” (Sez. U, n. 4880 del 26/06/2014) rilevandosi al contempo come era stato a tal proposito ulteriormente chiarito dalla giurisprudenza di legittimità che, in difetto della correlazione temporale, la sproporzione di valori non dovrebbe nemmeno essere apprezzata in riferimento a beni la cui acquisizione non ricada nel periodo di pericolosità, “posto che quest’ultima non può tener luogo della previa verifica della pericolosità soggettiva nel periodo preso in esame” (Sez. 1, n. 13375 del 20/09/2017).

Orbene, a fronte di ciò, non sfuggiva ai giudici di Piazza Cavour il fatto che, muovendo da questa premessa, si possa correre il rischio di non poter incidere su manovre sostanzialmente elusive dei divieti di legge per quanti abbiano l’accortezza di sapientemente occultare la ricchezza illecitamente prodotta nel periodo di manifestazione della pericolosità sociale atteso il tempo necessario al disperdersi di tale connotato tipizzante utilizzare quanto al tempo accumulato, ma si rilevava al contempo come tale questione sia stata presa in esame della giurisprudenza di legittimità che aveva precisato quali siano le condizioni in presenza delle quali il nesso di derivazione diretta tra manifestazione della pericolosità sociale e acquisiti aggredibili con il provvedimento ablatorio non viene meno seppure la cd. finestra temporale di pericolosità appaia formalmente chiusa e ciò, seppure è stato fatto in un caso di pericolosità cd. qualificata, rileva anche sul terreno della pericolosità generica perché quel che importa è che vi sia una definizione netta e compiuta del termine iniziale e di quello finale della pericolosità.

Tal che ne discende che, “in tema di confisca di prevenzione disposta nei confronti di soggetto indiziato di appartenere ad una associazione mafiosa, anche nel caso in cui la fattispecie concreta consenta di determinare il momento iniziale e finale della pericolosità qualificata, è legittimo disporre la misura ablativa su beni acquisiti in periodo successivo a quello di cessazione della condotta permanente, ove ricorra una pluralità di indici fattuali altamente dimostrativi della diretta derivazione causale delle acquisizioni patrimoniali dalla provvista formatasi nel periodo di compimento dell’attività delittuosa” (Sez. 2, n. 14165 del 13/03/2018) posto che tale principio di diritto non si contraddice così l’assunto della necessità della correlazione temporale ma si introduce un criterio operativo che consente di tradurne il significato di garanzia senza esporlo al rischio di letture formalistiche.

Da ciò consegue che, per quanto attiene ai beni acquistati fuori del periodo di manifestazione della pericolosità sociale, devono essere individuati, con adeguata motivazione capace di illustrarne la consistenza, i dati di fatto rivelatori di una diretta provenienza di quei beni dalla illecita ricchezza formatasi in precedenza.

 

Conclusioni

La decisione in esame è assai interessante in quanto in essa si chiarisce come e in che termini la pericolosità sociale incida sulla confisca di prevenzione.

In tale pronuncia, se, difatti, si afferma che di norma sono suscettibili di ablazione soltanto i beni acquistati nell’arco di tempo in cui si è manifestata la pericolosità sociale (tenuto conto altresì del fatto che, in difetto della correlazione temporale, la sproporzione di valori non dovrebbe nemmeno essere apprezzata in riferimento a beni la cui acquisizione non ricada nel periodo di pericolosità), si può comunque ricorrere a questa misura ablativa anche quando i beni siano acquistati fuori del periodo di manifestazione della pericolosità sociale nella misura in cui siano individuati, con adeguata motivazione capace di illustrarne la consistenza, i dati di fatto rivelatori di una diretta provenienza di quei beni dalla illecita ricchezza formatasi in precedenza.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta sentenza, proprio perché fa chiarezza su tale tematica giuridica, dunque, non può che essere positivo.

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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