Smartphone a scuola, la circolare e qualche riflessione

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 La circolare del Ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara, contenente le indicazioni sull’utilizzo dei telefoni cellulari e di analoghi dispositivi elettronici nelle classi, ha, prevedibilmente, scatenato una serie di reazioni, molte delle quali polemiche, ed ha soffiato su un fuoco che difficilmente potrà spegnersi, ma che al contrario è destinato a divampare.
Il Ministro ha confermato il contenuto di una circolare risalente all’ormai lontano 2007, che stabiliva il divieto di utilizzare il telefono durante le ore di lezione, che a sua volta riprendeva lo Statuto degli studenti del 1998 (sì, pare che i telefoni cellulari esistessero già alla fine degli anni ’90, anche se nella forma non ancora smart, e sì, anche io sono andata a controllare).
Lo scopo della permanenza degli studenti in classe è di imparare, ha affermato il Ministro, e distrarsi con i telefoni non è contemplato: del resto, ai nostri tempi ci si distraeva con giornalini, bigliettini, letterine che passavano di mano in mano (oggi sorpassate dallo scambio compulsivo di messaggi istantanei) e se qualche professoressa o professore ci “beccava” erano dolori, quindi, effettivamente, il ragionamento del Ministro non fa una piega.
Peraltro, se è in generale maleducazione spolliciare sul telefono mentre qualcuno ci sta parlando, fenomeno che ormai si verifica piuttosto spesso, ma purtroppo non si possono emettere circolari ministeriali sulla buona creanza, a maggior ragione si dimostra una mancanza di rispetto verso gli insegnanti farlo in classe, ed è fuori di dubbio che ai docenti vada restituita l’autorevolezza che meritano e di cui hanno bisogno per svolgere il lavoro più difficile e più importante che ci sia, cioè quello di formare le generazioni del futuro.
Il Ministro non si è tuttavia limitato, nella circolare, a evidenziare gli aspetti educativi e pedagogici del divieto, ma ha giustamente sottolineato quelli che sono gli effetti dannosi che l’utilizzo scriteriato dei dispositivi elettronici può avere su concentrazione, memoria, spirito critico dei ragazzi, oltre che su postura, vista e fisico in generale.

Indice

1. I danni fisici e mentali dei device nei ragazzi

Già nel “lontano” 2019, studi scientifici condotti in tutti il mondo hanno portato alla presentazione di un Position Statement della Società Italiana di Pediatria che ha analizzato gli effetti dell’utilizzo dei device elettronici della fascia di età 11-17 anni, evidenziando, tra gli altri, danni alle spalle, alle mani (al pollice in particolare), alla schiena ed alla postura in generale, obesità, danni alla vista, nonché isolamento sociale, irritabilità, perdita di concentrazione e di sonno, depressione ed aumento delle tendenze suicide, anche tra i giovanissimi.
Alcuni Paesi, come la Corea, hanno denunciato una vera e propria dipendenza parificata a quella da alcool e droga, mentre nel nostro Paese non si è ancora arrivati a catalogarla come vera e propria patologia, ma è certo che i dati degli adolescenti connessi sono in continuo aumento. Due anni di pandemia e di “distanziamento sociale”, che si è tradotto in distanziamento fisico, emotivo e spirituale, hanno fatto il resto, ed oggi il tema degli adolescenti e della dipendenza dal web e dai social è un problema che non ci possiamo più permettere di ignorare.
La circolare del Ministro Valditara, pur non aggiungendo di fatto nulla a quanto già stabilito ed attuato nelle scuole italiane, con il Patto di corresponsabilità tra genitori e docenti (non vengono, ad esempio, ipotizzate sanzioni disciplinari nel caso di violazione del divieto, che quindi sono lasciate all’iniziativa personale della scuola e del singolo insegnante), va nella direzione giusta, ma è necessario andare oltre.  
La tecnologia va veloce, molto più di noi, ed è giusto che i giovani la imparino, la dominino e la usino per costruirsi il futuro: nelle ricerche dei lavori maggiormente richiesti e meglio retribuiti da qui ai prossimi dieci, venti, trenta anni, figurano sempre ed in ogni ambito, dal legale al sanitario, professioni che con la tecnologia hanno rapporti indissolubili. E la tecnologia non ha connotazione, non è buona o cattiva, non pensa da sola: è l’uso che ne viene fatto dall’essere umano, che determina effetti positivi o negativi sui suoi utilizzatori.

2. Educazione e consapevolezza digitali

Educazione e consapevolezza sono le parole chiave. Mancano, nelle scuole, ma anche nei contesti in cui i giovani esprimono la propria personalità, come ad esempio i club sportivi o ricreativi, per non parlare nelle famiglie, i presupposti per creare una sana educazione digitale, che porti ad un utilizzo consapevole delle risorse incredibili che il web porta con sé.
Vanno educati i genitori, che per primi utilizzano smartphone e tablet come baby sitter, fin da età tenerissime dei figli, per intrattenerli, per convincerli a buttare giù quel cucchiaio di passata di broccoli che proprio non scende, per trascorrere per una volta una serata tranquilla al ristorante. I device diventano un’arma, utilizzata a seconda dei casi come ricompensa o punizione. Lo abbiamo fatto tutti, e sono la prima a fare coming out.
Un altro tema che si ripropone spesso è l’esempio; come possiamo risultare credibili dicendo ai nostri figli “lascia quello schermo, vai a giocare fuori, se noi per primi abbiamo sempre il telefono in mano, quasi fosse un’appendice inscindibile dalle nostre estremità?
Vanno educati gli insegnanti, che purtroppo non hanno a loro volta le competenze per trasmettere agli studenti le nozioni base non dell’informatica, che quella ormai la diamo per acquisita un po’ come gli Assiri e i Babilonesi, ma della consapevolezza digitale: la netiquette, il pericolo che si cela dietro le fake news, il cyberbullismo, e soprattutto l’utilizzo consapevole delle informazioni.
Il web è una fonte inesauribile di notizie, ma i nostri figli sono abituati a prendere per buono tutto ciò che leggono online. Come fai a saperlo? L’ho letto su Google, è la risposta. Google è l’oracolo di Delfi, la soluzione di tutti i problemi, ma cercare un’informazione su Google è un’arma a doppio taglio dagli effetti potenzialmente dirompenti. È come se un uomo che sta morendo di sete, invece che con una caraffa d’acqua, venisse dissetato con un idrante di acqua frizzante e fresca: l’acqua è squisita, ma il getto dell’idrante, lungi dal dissetare l’uomo, finirebbe quasi di sicuro per travolgerlo e non risolverebbe il suo problema

3. Il problema della privacy e dei dati

C’è poi il problema della privacy, della gestione e protezione dei dati, che ancora lungi dall’aver acquisito l’importanza che merita, viene costantemente sottovalutato: troppi giovani sono sui social anche ben prima dell’età giusta per esprimere il consenso digitale (che in Italia, lo ricordo, è di 14 anni), troppi genitori condividono ogni istante della vita dei loro rampolli, anche piccolissimi, ignari e incuranti dei rischi che corrono: ci sono troppe informazioni su di noi, non esiste più quella sfera di intimità e quello spazio in cui possiamo e dobbiamo “essere lasciati soli”, con tutti i pericoli che ne conseguono.

4. Nessuna guerra alla tecnologia, ma condivisione ed esempio

Ed infine vanno educati i ragazzi. Quella con la tecnologia è una guerra che non possiamo vincere, ma che non ci possiamo permettere di perdere. Sembra un controsenso, ma non lo è. Il fascino dello schermo, del condividere, del guardare, del sapere, dell’essere sempre connessi è paragonabile solo a quello che le sirene esercitavano nei confronti di Ulisse. Ma invece di farci legare all’albero maestro ed assistere impotenti al richiamo, impariamo a dominarlo. Come?
Con l’esempio, che noi per primi dobbiamo dare ai nostri ragazzi, con la condivisione, perché se impariamo a guardare con loro, a giocare con loro, a scoprire i trend con loro, che cosa piace e che cosa no, impareremo non solo a conoscerli meglio, condivideremo del tempo prezioso, ma potremo anche esercitare un controllo silenzioso e “mascherato”: come dire, se non puoi sconfiggerlo (il web), fattelo amico.
Ed infine, e questa è la cosa più difficile, ma è necessario almeno provarci, spegniamo anche noi ogni tanto il telefono.
Lasciamolo a casa, stacchiamoci noi per primi dallo schermo. Se proviamo a fare vedere che al di sopra del bordo nero del device ci sono cose anche più interessanti (che ne so, una bella ragazza o ragazzo, una nevicata, una partita di calcio, un ottimo bicchiere di vino, una cena luculliana, una lezione di letteratura spiegata magistralmente), chissà magari anche i figli a casa e gli studenti in classe se ne convinceranno.
E potrebbe non esserci più bisogno di circolari ministeriali.

Avv. Luisa Di Giacomo

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