Sistema informatico: è reato accedervi abusivamente con la password ed il computer del collega

Redazione 27/04/12
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Biancamaria Consales

Così ha deciso la quinta sezione penale della Suprema Corte di cassazione, con sentenza 15016/2012, pronunciandosi su di un ricorso presentato da un impiegata, accusata di essersi abusivamente introdotta nel sistema informatico di una scuola dell’amministrazione penitenziaria, allo scopo di visionare la cartella personale dell’ispettore, utilizzando indebitamente la password rilasciata per l’assistenza tecnica alla ditta di manutenzione dei software,.

A nulla è valsa la difesa della donna, la quale, pur ammettendo gli accessi al sistema informatico, ne sottolineava da un lato la brevità e dall’altro la compatibilità con le funzioni da lei svolte all’interno della scuola, ossia quelle di direttore amministrativo-contabile.

La Suprema Corte, infatti, rigettando il ricorso proposto, ha ritenuto che ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 615ter del codice penale (accesso abusivo ad un sistema informatico e telematico), non rilevano le finalità specificamente perseguite dal soggetto agente, essendo viceversa determinante il profilo oggettivo dell’accesso o del trattenimento nel sistema informatico di un soggetto che a ciò non possa ritenersi sostanzialmente autorizzato o per la violazione delle prescrizioni impartite dal titolare del sistema ovvero per il compimento di operazioni ontologicamente diverse da quelle per le quali l’accesso è consentito.

La motivazione della sentenza impugnata, nell’escludere la prova evidente dell’insussistenza dell’addebito, si muoveva coerentemente all’interno di questa prospettiva giuridica, osservando come l’imputata avesse effettuato gli accessi da un computer attribuito in uso esclusivo ad altri, mediante una password rilasciata unicamente alla ditta incaricata dall’assistenza tecnica per funzioni diverse da quelle amministrative svolte dall’impiegata. Irrilevanti, infine, risultano i rilievi dell’imputata sulla durata degli accessi e sulla mancanza di prova della duplicazione dei dati contenuti nelle cartelle visionate, posto che la visione stessa dei dati è in sé inquadrabile come fatto penalmente rilevante in presenza delle descritte connotazioni di abusività dell’accesso.  

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