Separazione personale: l’abbandono del tetto coniugale senza una valida ragione fa scattare in via automatica l’addebito

Redazione 16/02/12
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Anna Costagliola

L’abbandono del tetto coniugale prima della domanda di separazione e senza una valida ragione fa scattare automaticamente l’addebito. A maggior ragione se il coniuge che ha reciso la coabitazione lo ha fatto per intraprendere una convivenza more uxorio. È quanto stabilito dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 2059 del 14 febbraio 2012.

L’iter argomentativo seguito dalla Corte parte dalla previsione di cui all’art. 151, co. 2, c.c., il quale stabilisce che il giudice, pronunciandosi sulla separazione, dichiara, ove ne sia richiesto, a quale dei coniugi sia addebitabile l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza (o il grave pregiudizio che questa comporta all’educazione della prole), in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri del matrimonio. Sulla parte che richieda l’addebito della separazione all’altro coniuge grava l’onere di provare sia la contrarietà del comportamento di questi ai doveri che derivano dal matrimonio, sia l’efficacia causale di tale comportamento nel rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza.

Per consolidata giurisprudenza della stessa Corte di legittimità, in tema di separazione tra coniugi, l’inosservanza dell’obbligo di fedeltà coniugale rappresenta una violazione particolarmente grave, la quale, determinando normalmente la intollerabilità della convivenza, deve ritenersi, di regola, circostanza sufficiente a giustificare l’addebito della separazione al coniuge responsabile. Nella fattispecie in oggetto si aggiunge, poi, un ulteriore elemento, accanto alla violazione dell’obbligo di fedeltà, che vale a suffragare, ancor di più, la decisione di addebito della separazione. Risulta, infatti, dagli atti di causa che il marito aveva abbandonato il domicilio coniugale già anni prima dell’inizio della causa di separazione, proprio al fine di instaurare la relazione more uxorio con un’altra donna. Nella valutazione della cause della crisi coniugale l’abbandono del tetto coniugale, se volontario, unilaterale e definitivo, presenta dei connotati di particolare gravità che impediscono di ricondurlo al rango delle altre cause di addebito della separazione, non essendo predicabile per esso, come conseguenza, la intollerabilità della prosecuzione della convivenza, alla quale si pone, invece, direttamente fine mediante una decisione unilaterale. Questo è il motivo per cui a tale comportamento è normalmente riconducibile, in via automatica, l’addebito della separazione.

Tiene a precisare, tuttavia, la Corte come l’abbandono del tetto coniugale possa, anche al di fuori della separazione di fatto, avere delle giustificazioni. Innanzitutto l’art. 146 c.c. contiene la espressa previsione che la proposizione della domanda di separazione costituisce giusta causa dell’allontanamento dalla residenza familiare. Più in generale, poi, ci sono dei casi in cui tale contegno risulta non solo giustificato ma persino necessario per tutelare l’integrità psicofisica delle parti, come confermato da quella giurisprudenza per la quale, se i fatti accertati a carico di un coniuge violano norme imperative (andando a minare l’incolumità fisica, morale e sociale dell’individuo) e travolgono i basilari principi di solidarietà e rispetto doverosi nei confronti dell’altra persona, questi possono portare ad escludere, nel caso concreto, l’addebitabilità della separazione in capo al coniuge che a quei fatti tenti di sottrarsi allontanandosi.

Tanto premesso, gli Ermellini giungono ad affermare il principio di diritto in virtù del quale il coniuge, il quale provi che l’altro ha volontariamente e definitivamente abbandonato la residenza familiare senza aver proposto domanda di separazione, non deve ulteriormente provare l’incidenza causale di quel comportamento illecito sulla crisi del matrimonio, implicando esso la cessazione della convivenza e degli obblighi ad essa conseguenti. Grava, piuttosto, sull’altra parte l’onere di offrire la prova contraria, dimostrando che il comportamento tenuto sia stato sorretto dalla giustificazione della preesistenza di una situazione di intollerabilità della coabitazione, nonostante l’assenza della giusta causa prevista dall’art. 146 c.c.

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