Sentenza della Corte Costituzionale n. 340 del 16 dicembre 2009. Parziale illegittimità costituzionale dell’art. 58 del Decreto Legge 25 giugno 2008 n. 112, convertito con modificazioni in Legge 6 agosto 2008 n. 133

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La Corte Costituzionale, con sentenza n. 340 del 16 dicembre 2009, depositata il 30 dicembre 2009, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 58, comma 2, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, esclusa la proposizione iniziale: «L’inserimento degli immobili nel piano ne determina la conseguente classificazione come patrimonio disponibile e ne dispone espressamente la destinazione urbanistica».
 
            L’art. 58 del D. L. 112/2008 prevede che:
 
1.      Per procedere al riordino, gestione e valorizzazione del patrimonio immobiliare di Regioni, Province, Comuni e altri Enti locali, ciascun ente con delibera dell’organo di Governo individua redigendo apposito elenco, sulla base e nei limiti della documentazione esistente presso i propri archivi e uffici, i singoli beni immobili ricadenti nel territorio di competenza, non strumentali all’esercizio delle proprie funzioni istituzionali, suscettibili di valorizzazione ovvero di dismissione. Viene così redatto il piano delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari allegato al bilancio di previsione;
2.      L’inserimento degli immobili nel piano ne determina la conseguente classificazione come patrimonio disponibile e ne dispone espressamente la destinazione urbanistica; la deliberazione del consiglio comunale di approvazione del piano delle alienazioni e valorizzazioni costituisce variante allo strumento urbanistico generale. Tale variante, in quanto relativa a singoli immobili, non necessita di verifiche di conformità agli eventuali atti di pianificazione sovraordinata di competenza delle Province e delle Regioni. La verifica di conformità è comunque richiesta e deve essere effettuata entro un termine perentorio di trenta giorni dalla data di ricevimento della richiesta, nei casi di varianti relative a terreni classificati come agricoli dallo strumento urbanistico generale vigente, ovvero nei casi che comportano variazioni volumetriche superiori al 10 per cento dei volumi previsti dal medesimo strumento urbanistico vigente.
 
Come rivela il tenore testuale dell’articolo, si tratta di una norma che affida agli enti locali la formazione degli elenchi in essa previsti, sulla base di valutazioni demandate agli enti medesimi, con lo scopo di favorire su tutto il territorio nazionale l’individuazione di immobili suscettibili di «valorizzazione ovvero di dismissione», nella prospettiva di permettere il reperimento di ulteriori risorse economiche e quindi di ottenere l’incremento delle entrate locali.
 
La norma censurata stabilisce che «L’inserimento degli immobili nel piano ne determina la conseguente classificazione come patrimonio disponibile e ne dispone espressamente la destinazione urbanistica; la deliberazione del consiglio comunale di approvazione del piano delle alienazioni e valorizzazioni costituisce variante allo strumento urbanistico generale. Tale variante, in quanto relativa a singoli immobili, non necessita di verifiche di conformità agli eventuali atti di pianificazione sovraordinata di competenza delle Province e delle Regioni. La verifica di conformità è comunque richiesta e deve essere effettuata entro un termine perentorio di trenta giorni dalla data di ricevimento della richiesta, nei casi di varianti relative a terreni classificati come agricoli dallo strumento urbanistico generale vigente, ovvero nei casi che comportano variazioni volumetriche superiori al 10 per cento dei volumi previsti dal medesimo strumento urbanistico vigente».
 
Ad avviso della Corte Costituzionale, “ancorché nella ratio dell’art. 58 siano ravvisabili anche profili attinenti al coordinamento della finanza pubblica, in quanto finalizzato alle alienazioni e valorizzazioni del patrimonio immobiliare degli enti, non c’è dubbio che, con riferimento al comma 2 qui censurato, assuma carattere prevalente la materia del governo del territorio, anch’essa rientrante nella competenza ripartita tra lo Stato e le Regioni, avuto riguardo all’effetto di variante allo strumento urbanistico generale, attribuito alla delibera che approva il piano di alienazione e valorizzazione.
 
Ai sensi dell’art. 117, terzo comma, ultimo periodo, Cost., in tali materie lo Stato ha soltanto il potere di fissare i principi fondamentali, spettando alle Regioni il potere di emanare la normativa di dettaglio. La relazione tra normativa di principio e normativa di dettaglio va intesa nel senso che alla prima spetta prescrivere criteri ed obiettivi, essendo riservata alla seconda l’individuazione degli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere detti obiettivi (ex plurimis: sentenze nn. 237 e 200 del 2009).
 
Orbene la norma in esame, stabilendo l’effetto di variante sopra indicato ed escludendo che la variante stessa debba essere sottoposta a verifiche di conformità, con l’eccezione dei casi previsti nell’ultima parte della disposizione (la quale pure contempla percentuali volumetriche e termini specifici), introduce una disciplina che non è finalizzata a prescrivere criteri ed obiettivi, ma si risolve in una normativa dettagliata che non lascia spazi d’intervento al legislatore regionale, ponendosi così in contrasto con il menzionato parametro costituzionale (sentenza n. 401 del 2007).
 
Alla stregua di queste considerazioni deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 58, comma 2, del d.l. 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, per contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost., restando assorbito ogni altro profilo.
 
Da tale declaratoria, tuttavia, resta esclusa la proposizione iniziale del comma 2, secondo cui «L’inserimento degli immobili nel piano ne determina la conseguente classificazione come patrimonio disponibile e ne dispone espressamente la destinazione urbanistica». Infatti, in primo luogo, la suddetta disposizione non risulta oggetto di specifiche censure. In secondo luogo, mentre la classificazione degli immobili come patrimonio disponibile è un effetto legale conseguente all’accertamento che si tratta di beni non strumentali all’esercizio delle funzioni istituzionali dell’ente, la destinazione urbanistica va ovviamente determinata nel rispetto delle disposizioni e delle procedure stabilite dalle norme vigenti”.
 
 
Effetti della sentenza
 
A seguito della sentenza della Corte Costituzionale permane l’impianto generale delineato dall’art. 58 e quindi:
1)      Regioni, Province, Comuni e altri Enti Locali, con deliberazioni dei rispettivi organi consiliari, redigono il piano delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari allegato al bilancio di previsione che consiste in un apposito elenco, sulla base e nei limiti della documentazione esistente presso i propri archivi e uffici, dei singoli beni immobili ricadenti nel territorio di competenza, non strumentali all’esercizio delle proprie funzioni istituzionali, suscettibili di valorizzazione ovvero di dismissione;
2)      L’inserimento degli immobili nel piano ne determina la conseguente classificazione come patrimonio disponibile e ne dispone espressamente la destinazione urbanistica.
 
A seguito della sentenza della Corte tuttavia l’inserimento nel piano e la previsione della destinazione urbanistica non costituiscono immediatamente variante allo strumento urbanistico generale, come originariamente previsto dalla seconda parte del comma 2, dichiarato incostituzionale (“la deliberazione del consiglio comunale di approvazione del piano delle alienazioni e valorizzazioni costituisce variante allo strumento urbanistico generale. Tale variante, in quanto relativa a singoli immobili, non necessita di verifiche di conformità agli eventuali atti di pianificazione sovraordinata di competenza delle Province e delle Regioni (…)”).
 
E’ necessario invece che la deliberazione che dispone la destinazione urbanistica dell’immobile inserito nel piano delle alienazioni sia sottoposta alle procedure previste dalle disposizioni regionali vigenti in materia di governo del territorio e di varianti agli strumenti urbanistici comunali.
 
Nel rispetto della ratio della previsione dell’art. 58, in cui si ravvisano chiaramente profili attinenti al coordinamento della finanza pubblica, in quanto finalizzato alle alienazioni e valorizzazioni del patrimonio immobiliare degli enti, di competenza statale, appare urgente che le singole Regioni procedano ad adottare con urgenza i necessari atti di indirizzo che disciplinino in modo rapido e semplificato la verifica e l’approvazione delle deliberazioni comunali, attraverso una procedura idonea a verificare esclusivamente “la conformità agli eventuali atti di pianificazione sovraordinata di competenza delle Province e delle Regioni”.
 
Sono facilmente immaginabili le conseguenze sui bilanci degli Enti Locali in caso di ritardi nei provvedimenti regionali, in particolare per quei Comuni e Province che hanno già approvato il piano delle alienazioni, ai sensi e con gli effetti previsti dall’art. 58, allegato al bilancio di previsione 2009 o 2010 e ancor di più per quegli Enti che hanno già provveduto ad alienare immobili valorizzati ai sensi del medesimo art. 58 e che potrebbero trovarsi esposti a prevedibili contenziosi.
 
Com’è noto l’art. 136 della Costituzione prevede che “Quando la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale di una norma di legge o di atto avente forza di legge, la norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione”; e l’art. 30 della Legge 11 marzo 1953 n. 87 disciplina ulteriormente gli effetti della pronuncia di illegittimità costituzionale.
 
La Cassazione ha più volte ribadito che “Le pronunce di accoglimento della Corte Costituzionale hanno effetto retroattivo, inficiando fin dall’origine la validità e l’efficacia della norma dichiarata contraria alla Costituzione, salvo il limite delle situazioni giuridiche “consolidate” per effetto di eventi che l’ordinamento giuridico riconosce idonei a produrre tale effetto, quali le sentenze passate in giudica, l’atto amministrativo non più impugnabile, la prescrizione e la decadenza”.
 
Pertanto quando un ente o un’amministrazione dello Stato revoca un atto ormai perfetto valido ed efficace basandosi sull’assunto che l’atto risulta essere in vigore in base ad una norma incostituzionale, nonostante che l’atto stesso risulti avere tali requisiti sin dall’inizio o li abbia acquisiti nel corso del tempo e, comunque, prima della sentenza d’incostituzionalità ovvero, in caso di vizi, quest’ultimi non siano stati fatti valere nella sede opportuna rispettando i modi e i tempi dell’impugnazione, è possibile ricorrere ai T.A.R. per l’annullamento del provvedimento.
 
Questo significa che una legge, anche se dichiarata incostituzionale, continua ad esplicare i suoi effetti per quei rapporti costituitisi prima della sentenza della Corte Costituzionale per un principio che può definirsi “di legalità”.
 
La stessa legge dovrà comunque essere disapplicata per i rapporti non ancora costituiti o in corso di perfezionamento.
 
In ogni caso si avrà come risultato di ritenere, comunque, abrogata la norma incostituzionale nei confronti di eventuali nuovi rapporti o nei confronti di quelli in corso di costituzione e non ancora perfetti; sarà valida ed efficace per quelli perfezionatisi in momenti precedenti al giudizio della Corte Costituzionale.
 
Pertanto se per le deliberazioni già adottate ed efficaci non si porrebbero problemi, va risolto il problema per gli atti in itinere o di prossima adozione.
 
Una possibile soluzione potrebbe essere quella di ritenere come soddisfacente la modalità già contenuta nell’ultima parte del comma 2 dell’art. 58.
 
Le Regioni potrebbero, con proprio atto di indirizzo, stabilire una procedura di esame e ritenere soddisfatto l’esercizio del proprio potere di governo del territorio a seguito della trasmissione da parte degli Enti Locali della deliberazione adottata ai sensi dell’art. 58 e della successiva verifica di conformità agli strumenti di pianificazione territoriale vigenti, con le modalità ritenute più opportune, entro termini brevi che potrebbero essere di trenta giorni come già previsto dalla norma statale soggetta a sindacato di costituzionalità da parte della Corte.
 
Si potrebbero, altresì, inquadrare – con il solo limite del tempo necessario al perfezionamento della procedura – le varianti adottate ai sensi e per gli effetti dell’art. 58 comma 2 come comuni varianti parziali agli strumenti urbanistici comunali e, in quanto tali, soggette alla procedura prevista da ciascuna legge regionale in materia di governo del territorio.
 
 
Conclusioni
 
            Alla luce di quanto sopra esposto si può ritenere che ai sensi dell’art. 58 del D. L. 12/2008, convertito in Legge 133/2008, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 340/2009:
 
1)      Regioni, Province, Comuni e gli altri Enti Locali, con deliberazione consiliare, redigono il piano delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari allegato al bilancio di previsione;
2)      Gli Enti di cui al punto 1) inseriscono nel piano un apposito elenco, sulla base e nei limiti della documentazione esistente presso i propri archivi e uffici, dei singoli beni immobili ricadenti nel territorio di competenza, non strumentali all’esercizio delle proprie funzioni istituzionali, suscettibili di valorizzazione ovvero di dismissione;
3)      L’inserimento degli immobili nel piano ne determina la conseguente classificazione come patrimonio disponibile;
4)      Contestualmente all’inserimento nel Piano, la deliberazione dispone espressamente la destinazione urbanistica di ogni singolo immobile da valorizzare ovvero da dismettere;
5)      Qualora la destinazione urbanistica disposta per il singolo immobile costituisce variante allo strumento urbanistico generale, è necessario – ai fini dell’efficacia definitiva della variante – che questa sia determinata nel rispetto delle disposizioni e delle procedure stabilite dalle norme regionali.
Al riguardo va precisato che:
a)      È da considerare comunque ammissibile l’adozione della variante specifica adottata dall’Ente Locale ai sensi dell’art. 58 del D. L. 112/2008 anche se non espressamente prevista in tale forma dalla vigente normativa regionale; la legittimazione ad indicare espressamente la destinazione urbanistica di ogni singolo immobile da valorizzare ovvero da dismettere è attribuito all’Ente Locale dall’art. 58, comma 2, nella parte ritenuta costituzionalmente legittima dalla Corte, tenendo conto del fatto che nella ratio dell’art. 58 sono ravvisabili anche profili attinenti al coordinamento della finanza pubblica, in quanto finalizzato alle alienazioni e valorizzazioni del patrimonio immobiliare degli enti;
b)      E’ auspicabile l’emanazione da parte delle singole Regioni di atti di indirizzo e procedurali che individuino le modalità per l’esercizio della verifica di conformità delle deliberazioni dei Consigli Comunali agli atti di pianificazione sovraordinata di competenza regionale e provinciale;
c)       In assenza di specifiche indicazioni regionali, le deliberazioni consiliari adottate ai sensi dell’art. 58 saranno soggette all’iter previsto per le varianti ordinarie agli strumenti di pianificazione comunale;
6)      E’ fatta salva la legittimità degli atti di approvazione del piano delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari adottate dagli Enti Locali già perfezionati ed efficaci, comprensivi dell’indicazione espressa della destinazione urbanistica.
7)      Gli atti in itinere, di prossima adozione o non ancora perfezionati ed efficaci, vanno assoggettati alle procedure regionali di approvazione delle varianti urbanistiche.
 
 
 
La disciplina della Regione Veneto
 
Nel caso specifico della Regione Veneto, le deliberazioni assunte ai sensi dell’art. 58 del D. L. 112/2008, per i Comuni sprovvisti di PAT approvato, in considerazione dell’interesse pubblico perseguito con il suddetto atto, sono da considerare come varianti parziali al PRG ammesse ai sensi dell’art. 48 della L. R. 11/2004 e soggette – in assenza di diversa indicazione procedurale da parte della Giunta Regionale – alla procedura di approvazione prevista dall’art. 50, comma 3, della L. R. 61/1985, come espressamente previsto dal citato art. 48 “Disposizioni transitorie” ad esempio per le varianti relative al recupero funzionale dei complessi immobiliari dismessi dal Ministero della difesa di cui all’articolo 1, comma 259, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)”.
 
Infatti il citato art. 48 della L. R. 11/2004 dopo aver fissato il principio secondo il quale fino all’approvazione del primo piano di assetto del territorio (PAT), il comune non può adottare varianti allo strumento urbanistico generale vigente indica le eccezioni ex lege relative alle varianti finalizzate, o comunque strettamente funzionali, alla realizzazione di opere pubbliche e di impianti di interesse pubblico nonché altre ipotesi specifiche.
 
Non v’è dubbio che le modifiche alle destinazioni d’uso degli immobili inseriti nel piano di cui all’art. 58 del D. L. 112/2008 perseguano l’interesse pubblico, sancito dalla stesa norma, alla valorizzazione del patrimonio disponibile di proprietà pubblica e alla sua eventuale alienazione i cui proventi sono destinati alla realizzazione di opere pubbliche o a spese di investimento.
 
L’espressa previsione contenuta nel comma 2 dell’art. 58 del D. L. 112/2008 dell’indicazione della destinazione urbanistica per ogni singolo immobile inserito nel piano, ne legittima pienamente l’adozione da parte del Consiglio Comunale e rappresenta una delle eccezioni ex lege al divieto di adozione di varianti ai PRG prima dell’approvazione dei PAT.
 
            Non sussistono altresì questioni di vuoto normativo relativo alla procedura da seguire in quanto, in assenza di espressa specifica previsione regionale, si applica la procedura di cui all’art. 50, comma 3, della L. R. 61/1985.
 
            In alternativa, ricorrendone i presupposti, potrebbe essere attivata la procedura dell’accordo di programma ai sensi dell’art. 32 della legge regionale del Veneto 29 novembre 2001, n. 35, che prevede che per l’attuazione organica e coordinata di piani e progetti che richiedono per la loro realizzazione l’esercizio congiunto di competenze regionali e di altre amministrazioni pubbliche, anche statali ed eventualmente di soggetti privati, il Presidente della Giunta regionale può promuovere la conclusione di un accordo di programma, anche su richiesta di uno o più dei soggetti interessati, per assicurare il coordinamento delle azioni e per determinarne i tempi, le modalità, il finanziamento ed ogni altro connesso adempimento.
Per verificare la possibilità di concordare l’accordo di programma, il Presidente della Giunta regionale convoca una conferenza fra i soggetti interessati. L’accordo consiste nel consenso unanime dei soggetti interessati, autorizzati a norma dei rispettivi ordinamenti in ordine alla natura e ai contenuti dell’accordo stesso. Esso è reso esecutivo con decreto del Presidente della Giunta regionale ed è pubblicato nel Bollettino Ufficiale della Regione del Veneto. L’accordo sostituisce ad ogni effetto le intese, i pareri, le autorizzazioni, le approvazioni, i nulla osta previsti da leggi regionali. Esso comporta, per quanto occorra, la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera, nonché l’urgenza e l’indifferibilità dei relativi lavori, e la variazione integrativa agli strumenti urbanistici senza necessità di ulteriori adempimenti.
 
 
 
Dott. Carlo Rapicavoli
Direttore Generale e Dirigente del Settore Ambiente
e Pianificazione Territoriale della Provincia di Treviso

Avv. Rapicavoli Carlo

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