Sanzione disciplinare e contestazione addebito (Cass., n. 14880/2013)

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Massima

La previa contestazione dell’addebito, necessaria in funzione dei licenziamenti qualificabili come disciplinari, ha lo scopo di consentire al lavoratore l’immediata difesa e deve conseguentemente rivestire il carattere della specificità, che è integrato quando sono fornite le indicazioni necessarie ed essenziali per individuare, nella sua materialità, il fatto o i fatti nei quali il datore di lavoro abbia ravvisato infrazioni disciplinari o comunque comportamenti in violazione dei doveri di diligenza e fedeltà

 

1. Questione

Il dipendente presso un Comune propone ricorso per chiedere l’annullamento della sanzione disciplinare della “censura” inflittagli dal suddetto Comune e chiede anche il risarcimento del danno. La Corte di appello accoglie parzialmente la domanda, annullando solo la sanzione disciplinare inflitta e respingendo la domanda di risarcimento del danno, in quanto l’esistenza del danno e della sua natura va concretamente provata, non potendosi essa risolvere in un mero automatismo.

Il comune ricorre per cassazione, per due motivi:

1)     si denuncia – in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ. – la violazione e la falsa applicazione dell’art. 7 della legge 20 maggio 1970 n. 300, in relazione agli articoli 2104 e 2106 del cod. civ., nonché in relazione agli artt. 24 e 25 del C.C.N.L. per il personale del comparto delle regioni e autonomie locali del 22 gennaio 2004, relativamente al requisito della specificità delle contestazioni addebitate al controricorrente. In particolare, si contesta la sentenza impugnata nella parte relativa all’affermata violazione del principio di necessaria specificità della contestazione della sanzione. Si sostiene che a tale conclusione la Corte veneziana sarebbe giunta senza considerare il complessivo contenuto della lettera di contestazione degli addebiti, del tutto idoneo ad assolvere alla funzione sua propria di consentire al lavoratore di esercitare il proprio diritto di difesa, senza dover rispettare rigidi canoni di specificità, pari a quelli che presiedono la formulazione dell’accusa nel processo penale. La censura appare infondata, in quanto il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità nella materia delle sanzioni disciplinari, come regolata dall’art. 7 St. lav., è nel senso che la previa contestazione dell’addebito ha lo scopo di consentire al lavoratore l’immediata difesa e deve conseguentemente rivestire il carattere della specificità, integrato esclusivamente qualora vengano fomite le indicazioni necessarie ed essenziali per individuare, nella sua materialità, il fatto o i fatti nei quali il datore di lavoro abbia ravvisato infrazioni disciplinari. L’accertamento relativo alla sussistenza di tale requisito costituisce, tuttavia, oggetto di un’indagine di fatto, incensurabile in sede di legittimità, salva la verifica di logicità e di congruità delle ragioni esposte dal giudice del merito (ex multis, Cass. 6 maggio 2011, n. 10015; Cass. 30 marzo 2006, n. 7546; Cass. 16 dicembre 1988, n. 6877);

2)     si lamenta, in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., l’omessa e l’insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, relativo alla omessa valutazione delle risultanze istruttorie che confermerebbero la specificità e l’immutabilità delle contestazioni disciplinari addebitate al lavoratore. Tale motivo si appalesa inammissibile. Com’è noto, relativamente al vizio di motivazione questa Corte ha costantemente rilevato che spetta esclusivamente al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, dì assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere dalle risultanze del processo quelle ritenute più idonee a dimostrare la veridicità dei fatti (ex multis, Cass. 9 agosto 2007, n. 17477; Cass. 22 marzo 2007, n. 7065; Cass. 24 maggio 2006, n. 12362; Cass. 20 ottobre 2005, n. 20322; Cass. 12 agosto 2004, n. 15675).

La Cassazione rigetta il ricorso.

 

2. Contestazione dell’addebito

In tema di sanzioni disciplinari, l’esigenza della specificità della contestazione non obbedisce ai rigidi canoni che presiedono alla formulazione dell’accusa nel processo penale, nè si ispira ad uno schema precostituito e ad una regola assoluta e astratta, ma si modella in relazione ai principi di correttezza che informano un rapporto interpersonale che già esiste tra le parti ed è funzionalmente e teleologicamente finalizzata alla esclusiva soddisfazione dell’interesse dell’incolpato ad esercitare pienamente il diritto di difesa (v. Cass. 27842/2009). Inoltre, come più volte affermato da questa Corte, “la previa contestazione dell’addebito, necessaria in funzione dei licenziamenti qualificabili come disciplinari, ha lo scopo di consentire al lavoratore l’immediata difesa e deve conseguentemente rivestire il carattere della specificità, che è integrato quando sono fornite le indicazioni necessarie ed essenziali per individuare, nella sua materialità, il fatto o i fatti nei quali il datore di lavoro abbia ravvisato infrazioni disciplinari o comunque comportamenti in violazione dei doveri. L’accertamento relativo al requisito della specificità della contestazione costituisce oggetto di un’indagine di fatto, incensurabile in sede di legittimità, salva la verifica di logicità e congruità delle ragioni esposte dal giudice di merito” (ex multis, v. Cass. 7546/2006). Inoltre, coerentemente e in funzione di garanzia, si pone l’operatività del principio di immutabilità dei fatti contestati, non risultando precluse dall’applicabilità degli stessi principi (di contestazione specifica preventiva dell’addebito e, appunto, di immutabilità dei fatti contestati) le modificazioni dei fatti contestati che non configurino elementi integrativi di una fattispecie di illecito disciplinari diversa e più grave, ma riguardino circostanze prive di valore identificativo della stessa fattispecie e, perciò, tali da non precludere la difesa del lavoratore sulla base delle conoscenze acquisite e degli elementi a discolpa apprestati, a seguito della contestazione dell’addebito (ex multis, Cass. 21912/2010).

Rocchina Staiano
Dottore di ricerca; Docente all’Univ. Teramo; Docente formatore accreditato presso il Ministero di Giustizia e Conciliatore alla Consob con delibera del 30 novembre 2010; Avvocato. E’ stata Componente della Commissione Informale per l’implementamento del Fondo per l’Occupazione Giovanile e Titolare di incarico a supporto tecnico per conto del Dipartimento della Gioventù.

Sentenza collegata

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Staiano Rocchina

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