Rimessione del processo e spese processuali: il principio delle Sezioni Unite 2025

Le Sezioni Unite 2025 escludono la condanna alle spese processuali in caso di rigetto o inammissibilità della richiesta di rimessione del processo.

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Corte di Cassazione -SS.UU. pen.- sentenza n. 37825 del 10-07-2025

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Indice

1. Il caso concreto e la richiesta di rimessione ex art. 45 c.p.p.


Un imputato del reato di cui all’art. 4 D.Lgs. 10 marzo 2000 n. 74 dinanzi al Tribunale di Verona, chiedeva, tramite il suo difensore e procuratore speciale, la rimessione del processo ad altro ufficio giudiziario ex art. 45 cod. proc. pen..
In particolare, l’istante deduceva, nella suddetta richiesta di rimessione, una grave situazione locale, estranea alla dialettica processuale, tale da turbare il regolare svolgimento del procedimento penale.
Ciò posto, dal canto suo, la Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione riteneva siffatta richiesta inammissibile. Per supporto ai professionisti, abbiamo preparato uno strumento di agile consultazione, il “Formulario annotato del processo penale 2025“, giunto alla sua V edizione, acquistabile sullo Shop Maggioli e su Amazon, e il Codice Penale e norme complementari 2026 – Aggiornato a Legge AI e Conversione dei decreti giustizia e terra dei fuochi, acquistabile sullo Shop Maggioli e su Amazon.

2. Il quesito rimesso alle Sezioni Unite: natura della richiesta e regime delle spese


Ritenuta l’inammissibilità della richiesta di cui sopra, la Terza Sezione Penale disponeva la rimessione dell’istanza in esame alle Sezioni Unite, rilevando l’esistenza di un contrasto interpretativo avente ad oggetto la necessità di irrogare, con il provvedimento della Corte di cassazione che dichiara inammissibile o rigetta la richiesta ex art. 45 cod. proc. pen., la condanna della parte istante al pagamento delle spese processuali.

3. Il ragionamento delle Sezioni Unite: natura non impugnatoria della rimessione e conseguenze


Le Sezioni unite – dopo avere compiuto una disamina dell’istituto della rimessione del processo, spiegate le ragioni perché l’istanza proposta nel caso di specie fosse inammissibile e delimitata la questione sottoposta al suo vaglio giudiziale (ossia: “se in caso di rigetto o di declaratoria d’inammissibilità della richiesta di rimessione, la parte privata richiedente debba essere condannata al pagamento delle spese processuali”), precisavano prima di tutto che, in tema di spese processuali il termine è generalmente riferito a tutti gli esborsi che costituiscono il costo del processo, cioè a tutti gli oneri economici relativi ad attività direttamente coordinate con lo svolgimento del processo; detti oneri vanno suddivisi in due distinte categorie, l’una riconducibile ad ogni esborso derivante da prestazioni del servizio giustizia ad opera dell’apparato pubblico, l’altra riferibile ad ogni compenso da corrispondere a soggetti privati per attività svolte nel processo o ad esso connesse.
In particolare, secondo l’art. 4 del D.P.R. n.115 del 2002 “le spese del processo penale sono anticipate dall’erario” e il relativo regolamento si rinviene per il giudizio di merito nell’art. 535 cod. proc. pen. a mente del quale ” la sentenza di condanna pone a carico del condannato il pagamento delle spese processuali” mentre per il giudizio di cassazione nell’art. 616 cod. proc. pen. in base al quale “con il provvedimento che dichiara inammissibile o rigetta il ricorso la parte privata che lo ha proposto è condannata al pagamento delle spese del procedimento”.
Oltre a ciò, veniva altresì fatto presente che, chiamate a pronunciarsi sul tema delle spese, le Sezioni unite (nella decisione n. 34559 del 26/06/2002) hanno individuato nell’art. 91 cod. proc. civ. la disposizione cardine dell’intero ordinamento giuridico che ne costituisce principio fondamentale, essendo ragionevolmente ispirato alla fondamentale regola del “chi perde paga”, salvo restando il potere discrezionale del giudice di stabilire la parziale o totale compensazione, in presenza di speciali esigenze di equità o della reciproca soccombenza, fermo restando che la stessa pronuncia ha affermato poi che il carico delle spese del procedimento, ove non trovi una specifica regolamentazione, segue il principio di causalità e soccombenza di cui è espressione non soltanto la previsione generale contenuta nell’art. 541 cod. proc. pen. ma ancor più l’art. 616 cod. proc. pen., secondo cui, con il provvedimento che dichiara inammissibile o rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto è condannata al pagamento delle spese del procedimento, tenuto conto altresì del fatto che le nozioni stabilite da detta pronuncia hanno trovato conferma ed approfondimento in Sez. U, n. 35760 del 09/07/2003, che in motivazione hanno ribadito che, per la regolamentazione delle spese di parte, deve trovare necessaria applicazione, come regola fondamentale dell’ordinamento, il principio di causalità, di cui la soccombenza è un elemento rilevatore (che opera anche in caso di azione necessaria ed al quale si conformano sia l’art. 91 cod. proc. civ. sia l’art. 541 cod. proc. pen.).
Fatta questa premessa, i giudici di piazza Cavour richiamavano i contrapposti orientamenti nomofilattici formatisi in subiecta materia, il che veniva fatto nei seguenti termini: “Secondo un primo indirizzo, nell’ipotesi di rigetto o di dichiarazione di inammissibilità della richiesta di rimessione presentata dall’imputato, consegue obbligatoriamente la sua condanna al pagamento delle spese del procedimento, oltre a quella facoltativa, prevista dall’art. 48, comma 6, cod. proc. pen., relativa al pagamento di una somma di denaro a favore della cassa delle ammende (Sez. 6, n. 46023 del 11/10/2023, omissis, non mass; Sez. 5, n.27453 del 17/02/2023, omissis, non mass; Sez. 5, n. 49692 del 04/10/2017, c., Rv. 271438 -01; Sez. 1, n. 944 del 09/02/2000, omissis, Rv. 216006 -01; Sez. 1, n. 4633 del 15/07/1996, omissis, Rv. 205587 -01). Tale soluzione muove dalla constatazione che in tema di procedimenti incidentali trova applicazione il principio generale, fissato per tutti i giudizi da celebrarsi davanti alla Corte di cassazione (ivi compresi quelli riservati alla sua competenza funzionale) dall’art. 616 cod. proc. pen., prima parte, per cui le spese processuali, anticipate dallo Stato, vanno poste a carico di chi ha dato infondatamente luogo al relativo incidente. Si osserva che la soluzione che esclude la condanna alle spese in caso di rigetto ovvero inammissibilità della richiesta di rimessione non tiene conto della circostanza che la previsione della condanna alle spese del procedimento è stabilita in via generale dalla prima parte dell’art. 616 cod. proc. pen., quale statuizione accessoria dei provvedimenti della Corte di cassazione: a fronte di tale dato testuale, la disciplina di cui all’art. 48, comma 6, cod. proc. pen. introduce una previsione speciale quanto all’entità della somma oggetto di condanna in favore della Cassa delle ammende, ma non priva la norma del Capo III del Titolo III, dedicato al ricorso per cassazione, della sua specifica valenza in relazione alle decisioni della Corte di cassazione. La tesi in esame richiama, a sostegno della condanna alle spese all’esito della dichiarazione di inammissibilità o rigetto della richiesta di rimessione, il principio espresso da Sez. U, n. 26 del 05/07/1995, omissis, Rv. 202014 -01 con riferimento ai procedimenti incidentali secondo cui, poiché il riesame ha natura di mezzo di impugnazione, deve trovare applicazione, anche con riguardo ad esso, il principio generale fissato dall’art. 592, comma 1, cod. proc. pen.; pertanto, atteso che l’ordinanza di rigetto o di inammissibilità del gravame, pronunziata dal Tribunale, esaurisce in via definitiva il procedimento incidentale e determina la soccombenza dell’istante, legittimamente viene disposta, con tale provvedimento, la condanna al pagamento delle spese processuali. Si afferma che, del tutto analogamente, anche nel caso di declaratoria di inammissibilità o rigetto pronunciata nel giudizio di rimessione, ricorrono entrambi i presupposti che, secondo Sez. U, G. fondano la condanna alle spese processuali: da un lato l’essere la statuizione contenuta in un provvedimento definitivo (nel senso che conclude il procedimento dinanzi al giudice che ne è stato investito) e, dall’altro, la soccombenza, non rilevando che essa riguardi il giudizio principale sulla responsabilità, o un procedimento incidentale. Va ricordato che il principio stabilito da Sez. U, G., risulta confermato da altro successivo intervento dello stesso organo che ha ribadito, in tema di riesame di misura cautelare reale, che poiché il riesame ha natura di mezzo di impugnazione, nel relativo procedimento si applica il principio generale delle impugnazioni, in virtù del quale al rigetto o alla dichiarazione di inammissibilità dell’istanza consegue di diritto la condanna alle spese (Sez. U, n. 22 del 20/11/1996, dep. 1997, omissis, Rv. 206485 -01).
Secondo l’orientamento favorevole alla condanna al pagamento delle spese processuali in caso di rigetto o di inammissibilità della richiesta ex art. 45 cod. proc. pen., il provvedimento pronunciato dalla Corte di cassazione in esito al giudizio di rimessione presenta il carattere della definitività e della soccombenza. (…) A tale indirizzo se ne contrappone altro secondo cui, in tema di rimessione del processo, la declaratoria di inammissibilità della richiesta non comporta la condanna al pagamento delle spese del procedimento, in quanto nulla prevede al riguardo l’art. 48, comma 6, cod. proc. pen. e tale disposizione è insuscettibile di integrazione mediante l’art. 616 cod. proc. pen., tenuto conto della peculiare natura dell’istituto e dell’atto introduttivo del relativo procedimento (Sez. 3, n. 42478 del 14/10/2024, c., Rv. 287141 -01; Sez. 7, n. 47089 del 08/11/2023, omissis, non mass.; Sez. 6, Ordinanza n. 43548 del 03/10/2023, omissis, non mass.; Sez. 6, n. 43540 del 19/09/2023, omissis, Rv. 285359 -01; Sez. 2, n. 15480 del 21/02/2017, omissis, Rv. 269969 -01). In tali pronunce viene sottolineato che l’art. 48, comma 6, cod. proc. pen. non prevede la condanna alle spese processuali e, che (vedi Sez. 2, n. 15480 del 21/02/2017, cit.) la richiesta di rimessione non è equiparabile ad un mezzo di impugnazione, trattandosi, piuttosto, di un mezzo a disposizione dell’imputato caratterizzato, nella sua funzione tipica di scongiurare il pericolo di condizionamento della funzione giudiziaria per effetto di gravi situazioni locali, dal concorso di un evidente interesse pubblico istituzionale, che trova specifico presidio costituzionale nel principio della terzietà e imparzialità del giudice fissato dall’art. 111 Cost.”.
Ebbene, concluso tale excursus giurisprudenziale, gli Ermellini reputavano di aderire al secondo degli orientamenti esposti, dovendosi affermare che alla dichiarazione di rigetto o di inammissibilità della richiesta di rimessione del processo ex art. 45 cod. proc. pen. non consegua la condanna al pagamento delle spese processuali.
Nel dettaglio, si addiveniva a siffatta conclusione, osservando prima di tutto come gli artt. da 45 a 49 del codice di rito, contenuti nel Libro I, Titolo I, Capo VIII, contengano una disciplina particolareggiata dei presupposti e delle forme della richiesta di rimessione, oltre che della relativa decisione. Tale articolato e specifico assetto normativo fa ritenere esaustiva la regolamentazione dell’istituto che non contiene alcun richiamo né alla disciplina generale delle impugnazioni né della trattazione e decisione dei ricorsi dinanzi la corte di legittimità.
In particolare, l’art. 46 cod. proc. pen. regola la forma della richiesta ed i provvedimenti del giudice di merito conseguenti alla sua presentazione stabilendo, al terzo comma, la competenza inderogabile ed in unico grado a decidere della Corte di Cassazione mentre l’art. 47 cod. proc. pen., a sua volta, disciplina gli effetti della richiesta con particolare riferimento alla sospensione del giudizio di merito in attesa della decisione sulla stessa, per poi l’art. 48 cod. proc. pen. disciplinare compiutamente il procedimento dinanzi la Corte di Cassazione, stabilendo lo svolgimento dello stesso con le forme dell’art. 127 cod. proc. pen., la decisione con ordinanza, la condanna, facoltativa, al pagamento di una somma in favore della cassa delle ammende, fermo restando che, infine, l’art. 49 cod. proc. pen. prevede la reiterabilità della rimessione in presenza di nuovi e differenti presupposti.
Orbene, per la Corte, tali norme, complessivamente considerate, costituiscono un sottosistema compiuto che dedica una disciplina specifica al procedimento di rimessione (artt. 45 e ss. cod. proc. pen.) e all’interno del quale assume pregnante rilievo il tenore letterale dell’art. 48, comma 6, cod. proc. pen. il quale esclude che alla dichiarazione di inammissibilità o di rigetto della richiesta di rimessione del processo segua la condanna al pagamento delle spese processuali prevedendo solamente la possibilità di irrogazione di una somma in favore della Cassa delle Ammende.
Precisato ciò, si notava oltre tutto come le Sezioni unite abbiano, in plurime occasioni, sottolineato come il criterio fondamentale cui occorre attenersi nell’interpretazione delle disposizioni di legge è quello del rispetto del dato letterale dei testi normativi (Sez. U, n. 42125 del 27/06/2024) laddove l’interpretazione letterale, nel costituire “un limite insuperabile anche quando si proceda ad una interpretazione estensiva” (Sez. U, n. 12759 del 14/12/2023), rappresenta, a loro avviso, il canone ermeneutico prioritario per l’interprete, pur ricavandosi dall’art. 12 preleggi che l’ulteriore canone dato dall’interpretazione logica e sistematica soccorre e integra il significato proprio delle parole, arricchendole della ratio della norma e del suo coordinamento nel sistema nel quale va ad inserirsi. Per la Suprema Corte, tale criterio, però, non può servire a travalicare il dato letterale, quando la disposizione idonea a decidere la controversia è chiara e precisa mentre, viceversa, solo se si riscontri un ingiustificato vuoto di disciplina capace di menomare la precisione della disposizione, l’interprete ha agio di ricorrere all’interpretazione estensiva o analogica (Sez. U, n. 46688 del 29/09/2016).
Del resto, per i giudici di legittimità ordinaria, una conclusione del genere è avvalorata dai principi enunciati da Sez. U, n. 8914 del 21/12/2017, che, nell’esaminare gli effetti innovativi derivanti dalla modifica dell’art. 613 cod. proc. pen. ad opera della legge 23 giugno 2017 n. 103 quanto alla eliminazione dell’imputato tra i soggetti legittimati alla proposizione personale del ricorso per cassazione anche in materia di provvedimenti cautelari personali, hanno testualmente precisato che “estranei all’ambito di applicazione della nuova disciplina risultante dal combinato disposto degli artt. 571, comma 1, e 613, comma 1, cod. proc. pen. devono ritenersi, di contro, quei casi (ad es., il procedimento incidentale originato da una richiesta di rimessione avanzata dall’imputato ai sensi dell’art. 45 cod. proc. pen.) in cui la Corte di cassazione sia investita di una particolare competenza non demandatale per effetto di un ricorso”.
Il mantenimento della legittimazione personale dell’imputato alla proposizione della istanza di rimessione affermato dalla suddetta pronuncia trova, quindi, per il Supremo Consesso, fondamento in una lettura dell’istituto della rimessione del processo che ne esclude la natura di mezzo di impugnazione, non proponendosi la rivalutazione di un precedente provvedimento, tenuto conto altresì del fatto che la stessa pronuncia esclude l’assimilabilità al ricorso per cassazione della richiesta avanzata ex art. 45 cod. proc. pen., finalizzata ad ottenere lo spostamento di competenza per effetto di una grave situazione locale.
D’altronde, affermata espressamente, da Sez. U, n. 8914 del 21/12/2017, la non applicabilità alla rimessione del processo della disciplina dettata dagli artt. 571 e 613 cod. proc. pen., deve parallelamente escludersi la possibilità di richiamare le previsioni dettate dall’art. 616 cod. proc. pen., e ciò perché non si verte, né in casi di ricorso per Cassazione, né in tema di impugnazione di precedente provvedimento, considerato per giunta che anche la collocazione sistematica dell’istituto deve fare propendere per la non applicabilità allo stesso delle regole dettate in tema di giudizi di impugnazione e di ricorso per Cassazione in particolare, il che veniva rappresentato nella susseguente maniera: “Gli artt. da 45 a 49 del codice di rito sono contenuti nel Libro I (dedicato ai soggetti del processo), Titolo I (dedicato alla figura del Giudice), Capo VIII (destinato proprio alla disciplina della rimessione causata dalla insorgenza di una grave situazione locale). Le norme seguono i principi dettati in tema di determinazione della competenza per materia, per territorio e per connessione, nonché la disciplina contenuta nel Capo VII riguardante l’incompatibilità del giudice determinata dal compimento di atti del procedimento (art. 34 cod. proc. pen.) ovvero da rapporti di parentela, affinità o coniugio con una delle parti (art. 35 cod. proc. pen.) ed i rimedi della astensione e della ricusazione (artt. 36 e 37 cod. proc. pen.) apprestati dall’ordinamento per risolvere le condizioni di difetto di imparzialità che possono eventualmente affliggere il singolo giudice chiamato a pronunciarsi nelle diverse fasi processuali”.
Ebbene, per gli Ermellini, a fronte di tali previsioni, riguardanti il possibile difetto di imparzialità del singolo giudice, le norme sulla rimessione trovano fondamento nella esistenza di una grave situazione locale che, in quanto tale, impone, una volta che ne sia stata accertata l’esistenza, la deroga alle norme sulla competenza territoriale e ciò perché il pericolo concreto dell’assenza d’imparzialità riguarda l’organo nel suo complesso e non il giudice o i giudici del processo (Sez. 3, n. 24050 del 18/12/2017; Sez. 3, n. 23962 del 12/05/2015; Sez. U, n. 13687 del 28/01/2003) dato che “solo se è interessato gravemente il territorio, che è ciò che sta intorno al processo, può dirsi,… a ragione, che anche ogni altro giudice del luogo -diversamente da quanto accade nella ricusazione -si sarebbe comportato, con alto grado di probabilità, come si sono comportati, con i loro provvedimenti, effetto della grave situazione e sintomatici della non imparzialità, i giudici del processo” (Sez. U, n. 13687 del 28/01/2003).
Appare pertanto evidente, per le Sezioni unite, che il presupposto oggettivo che impone l’intervento della Corte di Cassazione è l’insorgenza di quella “grave situazione locale” che giustifica la deroga alle ordinarie norme in tema di competenza e non il vaglio di legittimità di un precedente provvedimento.
Ciò posto, quanto alla individuazione del giudice competente a decidere nella Corte di Cassazione, per gli Ermellini, deve escludersi che la ratio di tale previsione vada collegata alla disciplina dettata dall’art. 111, comma 7, Costo secondo cui ogni cittadino può ricorrere alla Corte di Cassazione per violazione di legge contro i provvedimenti dell’autorità giudiziaria sulla libertà personale e contro le sentenze; viceversa l’attribuzione alla Corte si spiega nel senso della capacità di detto organo di vertice della giurisdizione nazionale di valutare obiettivamente la gravità della situazione locale; essa è cioè quell’osservatore esterno che può osservare e giudicare la sussistenza di condizioni talmente pregnanti ed eccezionali da pregiudicare l’imparzialità dell’intero organo giudicante dinanzi al quale è in corso il processo, facendosene conseguire da ciò come debba escludersi che la richiesta di rimessione sia in qualche modo assimilabile al ricorso per cassazione e si giustificano quelle affermazioni, anche dottrinali, secondo le quali nei casi disciplinati dall’art. 45 cod. proc. pen. la cassazione è giudice anche del fatto, potendo assumere opportune informazioni ex art. 48, comma l, cod. proc. pen. e ciò a dimostrazione della peculiarità dell’istituto e della sua eterogeneità rispetto ai casi di ricorso ex art. 606 cod. proc. pen., risultando a tal proposito efficacemente sottolineato, da parte di una delle pronunce favorevoli all’orientamento che si accoglie, che, se l’espresso riferimento normativo alla natura dell’atto introduttivo del procedimento quale richiesta e non ricorso comporta una differenza sostanziale e non meramente lessicale ed “esprime la differente funzione dell’atto introduttivo che, nel caso del ricorso per cassazione, rappresenta lo strumento attraverso il quale l’interessato deduce dinanzi al giudice di legittimità uno o più dei vizi indicati dall’art. 606 cod. proc. pen. da cui assume essere affetto il provvedimento impugnato, la “richiesta” di rimessione, invece, ha un contenuto rappresentativo degli elementi fattuali correlati ad una situazione esterna al processo” (Sez. 6, n. 43540 del 19/09/2023).
Chiarito ciò, si faceva per di più presente come la peculiarità del procedimento dinanzi la Corte di Cassazione quale giudice anche del fatto sia un tema affrontato dalla giurisprudenza di legittimità in alcune pronunce che hanno sottolineato gli aspetti distintivi della richiesta di rimessione rispetto alla trattazione ordinaria dei ricorsi ex artt. 606 e segg. cod. proc. pen., evidenziandosi a tal proposito come sia stati due gli aspetti maggiormente rilevanti sotto tale profilo sicuramente individuabili nella facoltà del giudice procedente di trasmettere eventuali osservazioni unitamente alla richiesta, prevista espressamente dall’art. 46, comma 3, cod. proc. pen., e nel potere della Corte di Cassazione di disporre l’acquisizione di “opportune informazioni” prima della decisione, stabilita dal comma 1 dell’art. 48 cod. proc. pen..
In particolare, sotto il primo profilo, si notava come sia stata prospettata la partecipazione diretta del giudice della cui imparzialità si dubita allo stesso procedimento di rimessione attraverso la presentazione di osservazioni che devono avere ad oggetto la sussistenza e permanenza di quelle “gravi situazioni locali” tali da pregiudicare l’imparzialità dell’intero ufficio giudicante che procede ovvero determinare “motivi di legittimo sospetto”, ricordandosi a tal proposito come le Sezioni Unite abbiano affermato che è legittima l’acquisizione agli atti del procedimento di rimessione di osservazioni del giudice del processo principale non trasmesse alla Corte di Cassazione contestualmente alla richiesta e ai documenti allegati, come prescritto dal comma 3 dell’art. 46 cod. proc. pen., ma in un momento successivo, in quanto il comma 4 del medesimo articolo prevede come causa di inammissibilità della richiesta l’inosservanza delle forme e dei termini previsti dai commi 1 e 2, ma non ricollega alcuna sanzione processuale al mancato rispetto delle forme e dei termini stabiliti nel comma 3 (Sez. U, n. 13687 del 28/01/2003), oltre che a dedurre, sempre in detta pronuncia, preso atto della trasmissione di osservazioni da parte del giudice del Tribunale procedente aventi ad oggetto proprio la questione del “legittimo sospetto” circa il difetto di imparzialità, il fatto che sia legittima la trasmissione di memorie aventi ad oggetto sempre il presupposto della richiesta da parte del pubblico ministero quando richiedente sia l’imputato osservando come se il pubblico ministero è parte non può non avvalersi della facoltà attribuita alle parti dall’art. 121 c.p.p., il quale, nel comma l, dispone, che, “in ogni stato e grado del procedimento, le parti e i difensori possono presentare al giudice memorie o richieste scritte, mediante deposito in cancelleria”, tanto più se si considera che, del resto, non ci sarebbe nemmeno ragione di notificare la richiesta al pubblico ministero se questo non avesse la possibilità di svolgere alcuna attività in difesa della propria posizione processuale.
Nel dettaglio, così come ricostruito dalle Sezioni Unite, pertanto, il contraddittorio processuale della richiesta di rimessione dinanzi la Corte di Cassazione assume certamente carattere peculiare poiché, a fronte della rappresentazione della grave situazione di fatto da parte dell’istante, si prospetta la facoltà di presentare memorie delle altre parti processuali e di “osservazioni” da parte del giudice che procede che sarà quindi libero di contestare la rappresentazione dei fatti contenuta nella istanza.
Tra l’altro, sempre secondo la Corte di legittimità, anche la facoltà di assumere informazioni espressamente disciplinata dal già citato comma 1 dell’art. 48 cod. proc. pen. evidenzia la peculiarità dell’istituto ed il differente ruolo svolto dalla Corte di Cassazione, essendo stato postulato al riguardo che, in materia di rimessione del processo, ai sensi degli artt. 45 e segg. cod. proc. pen., la Corte di Cassazione, come si desume dall’art. 48, comma l, stesso codice (nel quale è previsto il potere, per la Corte medesima, di assumere, se necessario, le opportune informazioni), è giudice anche del fatto; il che implica, fra l’altro, che essa ha poteri d’ufficio di ricerca della prova della effettiva esistenza dei presupposti legittimanti la rimessione, relativamente ai quali le parti sono invece tenute ad un mero onere di allegazione (Sez. l, n. 1290 del 16/03/1994), essendo proprio il riferimento espresso alla possibilità di ricerca di ufficio da parte della Corte di Cassazione della prova delle “gravi situazioni locali”, tali da causare il pregiudizio dell’indipendenza ed imparzialità dell’ufficio che procede od il legittimo sospetto dello stesso, a costituire un’ulteriore caratteristica che palesa la diversità strutturale tra la richiesta di rimessione ed il ricorso per Cassazione.
Precisato ciò, si stimava come dovesse essere poi escluso che all’istituto della rimessione del processo possano applicarsi i principi dettati da Sez. U, n. 26 del 05/07/1995, e successivamente da Sez. U, n. 22 del 20/11/1996, dep. 1997, frequentemente richiamate dalla tesi favorevole alla condanna al pagamento delle spese processuali in caso di inammissibilità o rigetto della richiesta di rimessione dato che le Sez. U, n. 26 del 1995, in tema di riesame personale, hanno precisato che la condanna alle spese processuali poggia su due presupposti, rispettivamente integrati dal dover essere tale statuizione contenuta in un provvedimento definitivo, per tale intendendosi quello che concluda il procedimento dinanzi al giudice che ne è stato investito, e dalla soccombenza, costituito dal mancato accoglimento dell’impugnazione proposta, attenga quest’ultima al giudizio principale sulla responsabilità, ovvero ad un procedimento incidentale.
D’altronde, si notava come siffatto principio risultasse essere stato esattamente ribadito successivamente da Sez. U, n. 22 del 20/11/1996, in tema di riesame cautelare reale, secondo le quali, poiché il riesame ha natura di mezzo di impugnazione, nel relativo procedimento si applica il principio generale delle impugnazioni, in virtù del quale al rigetto o alla dichiarazione di inammissibilità dell’istanza consegue di diritto la condanna alle spese, affermandosi in motivazione che, se la prima constatazione concerne la collocazione dell’istituto del riesame delle misure cautelari reali nel Libro IV Titolo II capo III intitolato “Impugnazioni”, così come quello (Titolo I capo VI) concernente le misure cautelari personali, ne consegue da ciò che, se anche la voluntas legis risulta evidenziata nella stessa dizione letterale, ne deriva, però, che, per tutto quanto non stabilito in modo espresso, valgono le regole generali in materia di gravame, dato che, a conferma di questa interpretazione, ma ad un “provvedimento”, nella cui nozione rientra la pronunzia de qua.
I casi presi in considerazione da dette sentenze, quindi, per la Corte, hanno sempre ad oggetto procedure in cui il ricorso è proposto contro un precedente provvedimento ed in cui la soccombenza è correlata al rigetto o alla inammissibilità dei rilievi proposti avverso di esso e, pertanto, in entrambe le pronunce, per gli Ermellini, è inequivocabile il richiamo alla soccombenza dell’impugnazione quale presupposto imprescindibile per la statuizione accessoria di condanna al pagamento delle spese processuali, avendo sia il riesame personale che quello reale proprio tale natura., fermo restando che anche le successive Sez. U, n. 41476 del 25/10/2005, 01 hanno ribadito il principio del necessario ed imprescindibile collegamento tra condanna al pagamento delle spese processuali e soccombenza nell’impugnazione; si è difatti affermato che in tema di condanna alle spese nei giudizi di impugnazione, il giudice ha l’obbligo di condannare la parte civile al pagamento delle spese del processo, nel caso in cui l’impugnazione da questa proposta contro la sentenza di assoluzione dell’imputato non sia stata accolta, anche quando sia stata proposta e disattesa analoga impugnazione del P.M.; in motivazione le Sezioni Unite osservavano in tale occasione “che nel codice di procedura penale vige al contrario un principio generale di responsabilità che pone le spese del processo a carico di tutte le parti private soccombenti. Così, lo stesso art. 592, comma 2, cod. proc. pen. stabilisce la responsabilità solidale per le spese processuali anche a carico dei coimputati che hanno partecipato attivamente al giudizio in conseguenza dell’effetto estensivo della impugnazione, quando questa sia stata rigettata o dichiarata inammissibile. Ciò significa che il legislatore pone a carico solidale dell’imputato le spese del giudizio di impugnazione, anche quando questi non promuove il giudizio, ma si limita a partecipare ad esso in virtù dell’effetto estensivo dell’impugnazione”.
Il principio del collegamento tra soccombenza nell’impugnazione e condanna al pagamento delle spese processuali risulta essere stato ribadito, infine, dalle successive Sez. U, n. 36541 del 26/06/2008, secondo cui il mancato accoglimento del ricorso per cassazione proposto dall’estradando contro la sentenza della corte di appello favorevole all’estradizione comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali; in tale occasione si affermava “la pacifica natura giurisdizionale del procedimento, nel quale l’estradando è parte, e quella di mezzo di impugnazione del ricorso per cassazione “anche per il merito” di cui all’art. 706 cod. proc. pen.; ne segue che la sentenza di rigetto o di inammissibilità del gravame, esaurendo in via definitiva la fase incidentale di competenza dell’Autorità giudiziaria, determina la soccombenza del ricorrente, onde legittimamente ne viene disposta la condanna al pagamento delle spese della procedura”.
Tal che se ne faceva discendere come possa, pertanto, affermarsi che, nell’elaborazione giurisprudenziale delle Sezioni Unite, sussiste uno stretto collegamento tra soccombenza nel giudizio di impugnazione e condanna al pagamento delle spese processuali non applicabile all’istituto della rimessione del processo ex artt. 45 ss. cod. proc. pen. privo della natura di mezzo di gravame ed attivato attraverso un atto, ovvero la richiesta di cui all’art. 46 cod. proc. pen., strutturalmente differente dal ricorso per cassazione in materia di procedimenti principali o incidentali.
Chiarito anche tale aspetto, si faceva infine presente come l’esclusione della condanna al pagamento delle spese processuali della parte privata che l’abbia proposta sia stata affermata dalla prevalente giurisprudenza di legittimità anche in analoghi casi nei quali alla Corte di Cassazione è stata assegnata una competenza funzionale a decidere al di fuori di un procedimento di impugnazione, ricordandosi a tal proposito come sia stato affermato che alla declaratoria di inammissibilità della richiesta di restituzione nel termine non consegue la condanna al pagamento delle spese del procedimento, non avendo tale richiesta natura di mezzo di impugnazione (Sez. S, n. 15776 del 16/01/2023; Sez. 4, n. 6442 del 24/01/2012).
Le Sezioni unite, di conseguenza, alla luce delle considerazioni sin qui esposte, enunciavano il seguente principio di diritto: “Alla declaratoria di inammissibilità o di rigetto della richiesta di rimessione del processo non segue la condanna della parte istante al pagamento delle spese processuali”.

4. Il principio di diritto: esclusa la condanna alle spese in caso di rigetto della rimessione


La decisione in esame desta un certo interesse in quanto, con essa, le Sezioni unite hanno composto il seguente contrasto giurisprudenziale: “se in caso di rigetto o di declaratoria d’inammissibilità della richiesta di rimessione, la parte privata richiedente debba essere condannata al pagamento delle spese processuali”.
Difatti, in codesto provvedimento, si fornisce risposta negativa a siffatto quesito essendo stato per l’appunto asserito, come già visto poco prima, che alla declaratoria di inammissibilità o di rigetto della richiesta di rimessione del processo non segue la condanna della parte istante al pagamento delle spese processuali.
Pertanto, alla luce di tale arresto giurisprudenziale, ne consegue che colui che chiede la remissione del processo, nel caso in cui tale richiesta sia dichiarata inammissibile o venga rigettata, non deve essere condannato al pagamento a siffatte spese.
Questa è dunque in sostanza la novità che connota siffatta ordinanza della Cassazione.

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

Avvocato e giornalista pubblicista. Cultore della materia per l’insegnamento di procedura penale presso il Corso di studi in Giurisprudenza dell’Università telematica Pegaso, per il triennio, a decorrere dall’Anno accademico 2023-2024. Autore di diverse pubblicazioni redatte per…Continua a leggere

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