Rimessa alla Corte costituzionale la decisione sul carcere obbligatorio per i reati di mafia

Redazione 12/09/12
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Lucia Nacciarone

Con l’ordinanza n. 34473 del 10 settembre 2012 le Sezioni Unite della Cassazione hanno rimesso alla Consulta la questione di legittimità relativa all’articolo 275, comma 3, del codice di procedura penale che prevede l’obbligatorietà, per alcune categorie di reati, della custodia cautelare in carcere.

La censura riguarda proprio questo aspetto ed in particolare quella parte delle norma che non fa salva, per l’associazione mafiosa, l’ipotesi che le esigenze cautelari possano essere soddisfatte con una misura alternativa al carcere.

L’articolo 275, comma 3, del codice di procedura penale, era stato modificato dal D.L. 23 febbraio 2009, n. 11 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori), e già ha subito numerose censure d’incostituzionalità in epoche recentissime per esito delle quali è venuta a cadere, per i reati contemplati, la presunzione di adeguatezza della custodia cautelare in carcere: ciò riguarda, nello specifico, i reati a sfondo sessuali, l’omicidio volontario, il reato di spaccio di sostanze stupefacenti.

Dunque, premesso il venir meno del carcere obbligatorio per tali fattispecie, ora la cesura ipotizzata riguarda addirittura i reati di mafia, quelli per i quali si è sempre ritenuto, anche in condivisione con la giurisprudenza EDU, che il carcere preventivo fosse necessario in considerazione della «natura specifica del fenomeno della criminalità organizzata e soprattutto di quella di stampo mafioso», e segnatamente in considerazione del fatto che la carcerazione provvisoria degli imputati accusati dei delitti de quibus fosse utile e recidere i legami esistenti fra le persone interessate e il loro ambito criminale di origine, al fine di minimizzare il rischio che esse mantenessero contatti personali con le strutture delle organizzazioni criminali e potessero nel frattempo commettere delitti.

Ora però l’articolo rischia di subire la censura anche per ciò che concerne i reati di mafia.

Nell’ordinanza di rimessione gli ermellini quindi sollevano la questione di costituzionalità della norma, per violazione del principio di uguaglianza, nonché di presunzione di non colpevolezza, in relazione a quella parte di norma che, – nel prevedere che, quando sussistano gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti commessi al fine di agevolare le attività delle associazioni previste dall’articolo 416 bis del codice penale, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi specifici in relazione al caso concreto, dai quali risulti che non sussistano esigenze cautelari, – non fa salva, altresì, l’ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possano essere soddisfatte con altre misure.

Non solo, per la Suprema Corte «analoghe considerazioni ben possono valere anche con riferimento alla forma aggravatrice del cd. metodo mafiosa.

Infine, gli ermellini affermano il nuovo principio di diritto: « la presunzione di adeguatezza della custodia cautelare in carcere ex articolo 275, comma 3, del codice di procedura penale, opera non solo in occasione dell’adozione del provvedimento genetico della misura coercitiva, ma anche delle vicende successive che attengono alla permanenza delle esigenze cautelari».

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