Riforma Cartabia: i nuovi rimedi per l’esecuzione delle decisioni CEDU

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 Per effetto della riforma Cartabia, è stata introdotta una nuova impugnazione straordinaria, denominata rimedi per l’esecuzione delle decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo.

Indice

1. L’intervento della riforma

L’art. 36, co. 1, d.lgs., 10/10/2022, n. 150, infatti, prevede che dopo “il Titolo III del Libro IX del codice di procedura penale è inserito il seguente: «Titolo III-bis Rimedi per l’esecuzione delle decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo Art. 628-bis (Richiesta per l’eliminazione degli effetti pregiudizievoli delle decisioni adottate in violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali o dei Protocolli addizionali). – 1. Il condannato e la persona sottoposta a misura di sicurezza possono richiedere alla Corte di cassazione di revocare la sentenza penale o il decreto penale di condanna pronunciati nei loro confronti, di disporre la riapertura del procedimento o, comunque, di adottare i provvedimenti necessari per eliminare gli effetti pregiudizievoli derivanti dalla violazione accertata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, quando hanno proposto ricorso per l’accertamento di una violazione dei diritti riconosciuti dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali o dai Protocolli addizionali alla Convenzione e la Corte europea ha accolto il ricorso con decisione definitiva, oppure ha disposto la cancellazione dal ruolo del ricorso ai sensi dell’articolo 37 della Convenzione a seguito del riconoscimento unilaterale della violazione da parte dello Stato. 2. La richiesta di cui al comma 1 contiene l’indicazione specifica delle ragioni che la giustificano ed è presentata personalmente dall’interessato o, in caso di morte, da un suo congiunto, a mezzo di difensore munito di procura speciale, con ricorso depositato presso la cancelleria del giudice che ha emesso la sentenza o il decreto penale di condanna nelle forme previste dall’articolo 582, entro novanta giorni dalla data in cui è divenuta definitiva la decisione della Corte europea che ha accertato la violazione o dalla data in cui è stata emessa la decisione che ha disposto la cancellazione del ricorso dal ruolo. Unitamente alla richiesta sono depositati, con le medesime modalità, la sentenza o il decreto penale di condanna, la decisione emessa dalla Corte europea e gli eventuali ulteriori atti e documenti che giustificano la richiesta. 3. Le disposizioni del comma 2, primo periodo, si osservano a pena di inammissibilità. 4. Sulla richiesta la Corte di cassazione decide in camera di consiglio a norma dell’articolo 611. Se ne ricorrono i presupposti, la corte dispone la sospensione dell’esecuzione della pena o della misura di sicurezza ai sensi dell’articolo 635. 5. Fuori dei casi di inammissibilità, la Corte di cassazione accoglie la richiesta quando la violazione accertata dalla Corte europea, per natura e gravità, ha avuto una incidenza effettiva sulla sentenza o sul decreto penale di condanna pronunciati nei confronti del richiedente. Se non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto o comunque risulta superfluo il rinvio, la Corte assume i provvedimenti idonei a rimuovere gli effetti pregiudizievoli derivanti dalla violazione, disponendo, ove occorra, la revoca della sentenza o del decreto penale di condanna. Altrimenti trasmette gli atti al giudice dell’esecuzione o dispone la riapertura del processo nel grado e nella fase in cui si procedeva al momento in cui si è verificata la violazione e stabilisce se e in quale parte conservano efficacia gli atti compiuti nel processo in precedenza svoltosi. 6. La prescrizione riprende il suo corso dalla pronuncia della Corte di cassazione che dispone la riapertura del processo davanti al giudice di primo grado. 7. Quando la riapertura del processo è disposta davanti alla corte di appello, fermo restando quanto previsto dall’articolo 624, si osservano le disposizioni di cui ai commi 1, 4, 5, 6 e 7 dell’articolo 344-bis e il termine di durata massima del processo decorre dal novantesimo giorno successivo alla scadenza del termine di cui all’articolo 128. 8. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche quando la violazione accertata dalla Corte europea riguarda il diritto dell’imputato di partecipare al processo.»;”.
Orbene, scopo del presente scritto è quello di procedere ad una breve disamina dei tratti salienti che connotano questa nuova disciplina giuridica, procedendo ad una sintetica disamina di tale disposizione legislativa, comma per comma.

2. Il comma primo

Al primo comma è prima di tutto previsto che il condannato e la persona sottoposta a misura di sicurezza possono richiedere alla Corte di Cassazione di revocare la sentenza penale o il decreto penale di condanna pronunciati nei loro confronti, di disporre la riapertura del procedimento o, comunque, di adottare i provvedimenti necessari per eliminare gli effetti pregiudizievoli derivanti dalla violazione accertata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, quando hanno proposto ricorso per l’accertamento di una violazione dei diritti riconosciuti dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali o dai Protocolli addizionali alla Convenzione e la Corte europea ha accolto il ricorso con decisione definitiva, oppure ha disposto la cancellazione dal ruolo del ricorso ai sensi dell’articolo 37 della Convenzione a seguito del riconoscimento unilaterale della violazione da parte dello Stato.
Spetta quindi solo al condannato e alla persona soggetta ad una misura di sicurezza, e sono quindi “esclusi i “parenti” (“fratelli minori” o “cugini”)” (M. GIALUZ, Per un processo penale più efficiente e giusto. Guida alla lettura della riforma Cartabia. Profili processuali, 2/11/2022, in Sistema penale, p. 84) nonché i terzi non impugnanti che avrebbero potuto vantare la medesima violazione (così: la relazione illustrativa) ivi compresa “la persona offesa dal reato nel caso in cui abbia ottenuto dalla Corte EDU il riconoscimento di una violazione convenzionale” (Ufficio del Massimario presso la Corte di Cassazione, Rel. n. 2/2023, p. 178), la possibilità di adire la Suprema Corte per chiedere la revoca della sentenza penale o il decreto penale di condanna pronunciati nei loro confronti, la riapertura del procedimento o, comunque, di adottare i provvedimenti necessari, nella misura in cui ciò sia necessario per elidere gli effetti pregiudizievoli derivanti dalla violazione accertata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.
Siffatta richiesta, tuttavia, non può avvenire sempre e comunque, essendo infatti necessario che: a) sia stato proposto ricorso per l’accertamento di una violazione dei diritti riconosciuti dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali o dai Protocolli addizionali alla Convenzione; b) la Corte europea abbia accolto il ricorso con decisione definitiva, oppure abbia disposto la cancellazione dal ruolo del ricorso ai sensi dell’articolo 37 della Convenzione a seguito del riconoscimento unilaterale della violazione da parte dello Stato.
Orbene, si tratta di due requisiti che devono ricorrere congiuntamente e, quindi, se, ad esempio, sia stato proposto il ricorso di cui alla lettera a), ma la Corte europea non ha ancora deciso, non è possibile ancora proporre il rimedio qui in commento.

3. Il comma secondo

Il comma secondo “si preoccupa di stabilire alcuni requisiti di forma della richiesta, che il successivo comma terzo specifica sono posti a pena di inammissibilità” (L. RAPISARDA, Il nuovo art. 628-bis c.p.p.: l’ordinamento italiano dispone finalmente di un istituto per l’esecuzione dei provvedimenti della Corte di Strasburgo, in GIURISPRUDENZA PENALE WEB, 2023, 1, p. 16).
In particolare, la richiesta deve necessariamente essere presentata personalmente dall’interessato, ma se questi è deceduto è ammessa richiesta da parte di un congiunto tramite difensore cui sia stata rilasciata procura speciale” (L. RAPISARDA, op. cit., 1, p. 16) e “non va presentata nella cancelleria della Corte di cassazione, bensì presso quella del giudice che ha emesso la sentenza e devono altresì essere rispettati i requisiti imposti in generale per le impugnazioni dall’art. 582 c.p.p.” (L. RAPISARDA, op. cit., p. 16) fermo restando che, assieme alla richiesta devono essere depositati, con le medesime modalità, non però a pena di inammissibilità, visto che, come vedremo da qui a poco, il terzo comma prevede l’inammissibilità solo per la mancata osservanza delle disposizioni prevedute nel primo periodo del comma secondo, e non pure in quelle contemplate nel secondo periodo, la sentenza o il decreto penale di condanna, la decisione emessa dalla Corte europea e gli eventuali ulteriori atti e documenti che giustificano la richiesta.
Di conseguenza, dalla “non tempestiva produzione della documentazione non scaturirà (…) l’inammissibilità della domanda, in quanto è stato ritenuto che il materiale posto a sostegno della medesima possa essere depositato anche successivamente alla proposizione dell’istanza” (Ufficio del Massimario presso la Corte di Cassazione, op. cit., p. 179).
Ad ogni modo, la richiesta “è inammissibile se non «contiene l’indicazione specifica delle ragioni che la giustificano» o se non è formulata entro novanta giorni dalla data in cui la decisione della Corte di Strasburgo ha acquisito definitività, ovvero, nell’ipotesi di cui all’art. 37 CEDU – cioè di riconoscimento unilaterale da parte dello Stato della violazione convenzionale –, dalla decisione con cui è stata disposta la cancellazione del ricorso dal ruolo” (L. RAPISARDA, op. cit., p. 16 e p. 17).
E’ dunque onere del richiedente “illustrare in quali termini le violazioni convenzionali riscontrate dalla Corte EDU incidano sulle decisioni (sentenze/decreti penali) che sono state pronunciate e sono divenute definitive nei confronti dell’interessato, non già limitarsi ad illustrare il contenuto della decisione della Corte EDU che va peraltro allegata al ricorso” (Ufficio del Massimario presso la Corte di Cassazione, op. cit., p. 178).

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4. Il comma terzo

Come già visto, perlomeno in parte già in precedenza, il terzo comma, a sua volta, prevede che le “disposizioni del comma 2, primo periodo, si osservano a pena di inammissibilità”.
Il legislatore, quindi, ha espressamente stabilito l’inammissibilità del rimedio qui in esame ogni volta non siano osservate le disposizioni che prevedono che siffatta richiesta: I) debba essere presentata unicamente dall’interessato o, in caso di morte, da un suo congiunto, a mezzo di difensore munito di procura speciale; II) sia esperita mediante un ricorso depositato presso la cancelleria del giudice che ha emesso la sentenza o il decreto penale di condanna nelle forme previste dall’articolo 582 cod. proc. pen. e tale deposito debba avvenire entro novanta giorni dalla data in cui è divenuta definitiva la decisione della Corte europea che ha accertato la violazione o dalla data in cui è stata emessa la decisione che ha disposto la cancellazione del ricorso dal ruolo.

5. Il comma quarto

Al comma quarto è disposto che sulla richiesta la Corte di Cassazione decide in camera di consiglio a norma dell’articolo 611 cod. proc. pen. fermo restando che, se ne ricorrono i presupposti, la Corte di legittimità dispone la sospensione dell’esecuzione della pena o della misura di sicurezza ai sensi dell’articolo 635 cod. proc. pen..
Tale comma, dunque, così strutturato, “disciplina le modalità di trattazione della revisione europea, richiamando il giudizio camerale previsto dall’art. 611” cod. proc. pen. (così: la relazione illustrativa) fermo restando che, come appena visto, è anche “integralmente richiamata la disposizione dell’articolo 635 c.p.p., in tema di sospensione della pena o della misura di sicurezza” (ibidem) e, nel caso di sospensione, potranno essere applicate “misure cautelari coercitive, analogamente a quanto è previsto per il procedimento di revisione” (Ufficio del Massimario presso la Corte di Cassazione, op. cit., p. 179).

6. Il comma quinto

Nel comma quinto è introdotta “la regola fondamentale sulla decisione della Corte” (M. GIALUZ, op. cit., p. 85), essendo ivi stabilito “che – laddove non debba pronunciare l’inammissibilità – la Corte accoglie la richiesta anzitutto quando «la violazione accertata dalla Corte europea, per natura e gravità, ha avuto una incidenza effettiva sulla sentenza o sul decreto penale di condanna pronunciati nei confronti del richiedente»” (M. GIALUZ, op. cit., p. 85).
Spetta pertanto alla Corte di Cassazione “non solo verificare il rispetto delle regole procedurali per la regolare incardinazione del processo, ma anche, nel merito, “l’effettiva incidenza” che la violazione della Convenzione ha prodotto sulla condanna” (Parere del C.S.M. del 21 settembre 2022, relatore Consigliere CELENTANO, Consigliere MICCICHE’, Consigliere CERABONA, p. 51) posto che non è “sufficiente lamentare una violazione sic et simpliciter della Convenzione ai fini della proposizione del ricorso, ma occorre che la stessa risulti decisiva ai fini della condanna” (Parere del C.S.M. , op. cit, p. 51).
Orbene, come fatto presente da taluni studiosi (RAPISARDA), codesta disposizione “non fa altro che positivizzare il concetto di margine di valutazione o di apprezzamento riservato ai giudici interni, i cui contorni sono di recente già stati definiti dalla Corte di Strasburgo nel caso Moreira Ferreira c. Portogallo: «a finding by the Court of a violation of Article 6 of the Convention does not automatically require the reopening of the domestic criminal proceedings. Nevertheless, this is, in principle, an appropriate, and often the most appropriate, way of putting an end to the violation and affording redress of its effects. […] The reopening of proceedings […] is subject to admissibility criteria, whose observance is supervised by domestic courts, which have a broader margin of appreciation in that sphere»” (L. RAPISARDA, op. cit., p. 15).
Chiarito ciò, per quanto riguarda che tipologia di provvedimenti la Suprema Corte è tenuta ad adottare in tali ipotesi, sempre al comma quinto è preveduto che la Cassazione, una volta ritenuto sussistente un vizio rilevante, ossia dotato di efficacia causale, può alternativamente procedere ad una delle seguenti scelte decisorie “(ispirate al canone di economia processuale): a. Se non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto o comunque risulta superfluo il rinvio, la Corte assume i provvedimenti idonei a rimuovere gli effetti pregiudizievoli derivanti dalla violazione, disponendo, ove occorra, la revoca della sentenza o del decreto penale di condanna.  b. Altrimenti trasmette gli atti al giudice dell’esecuzione o dispone la riapertura del processo nel grado e nella fase in cui si procedeva al momento in cui si è verificata la violazione e stabilisce se e in quale parte conservano efficacia gli atti compiuti nel processo in precedenza svoltosi” (M. GIALUZ, op. cit., p. 85).
Di conseguenza, in tale caso, è consentito alla Suprema Corte “valutare il tipo di provvedimento da adottare: revoca della sentenza nell’ipotesi in cui ai fini della rimozione degli effetti pregiudizievoli non sono necessari ulteriori accertamenti, oppure trasmissione al giudice dell’esecuzione o riapertura del processo nella fase e nel grado in cui si è verificata la violazione, stabilendo anche quale siano gli atti che conservano efficacia” (Parere del C.S.M., op. cit, p. 51).
Orbene, è stato a tal proposito giustamente rilevato che è “improntata a una logica di economia processuale quella parte del quinto comma che demanda alla Cassazione il compito di decidere in ordine alla conservazione degli effetti di quegli atti compiuti precedentemente ma che non sono affetti da “divergenza convenzionale”, originaria o derivata che sia” (L. RAPISARDA, op. cit., p. 15 e p. 16), essendo del tutto rispondente a siffatta finalità non vanificare quegli atti già compiuti, ma per l’appunto non viziati da codesta divergenza.

7.  I commi sesto e settimo

Il comma 6 stabilisce che, se è disposto rinvio presso il giudice di primo grado, la prescrizione ricomincia a decorrere dal momento della pronuncia della Cassazione mentre, se, invece, è disposto rinvio al giudice d’appello, “il successivo comma 7 rende operativo l’istituto dell’improcedibilità, in quanto «fermo restando quanto previsto dall’articolo 624, si osservano le disposizioni di cui ai commi 1, 4, 5, 6 e 7 dell’articolo 344-bis e il termine di durata massima del processo decorre dal novantesimo giorno successivo alla scadenza del termine di cui all’articolo 128»” (L. RAPISARDA, op. cit., p. 15).
Quindi, se “la riapertura avviene davanti al giudice di primo grado, in coerenza con le norme sulla prescrizione, la stessa comincerà nuovamente a decorrere a partire dalla pronuncia della Corte di cassazione, mentre se il processo viene rimesso davanti alla Corte d’appello, occorre computare i termini di durata massima del processo (art. 344 bis c.p.p.), a decorrere dal novantesimo giorno successivo alla scadenza del termine per il deposito del provvedimento ex art. 128 c.p.p.” (Parere del C.S.M., op. cit, p. 51).

8. Il comma ottavo

Infine, “l’ultimo comma dell’art. 628-bis c.p.p. prevede che l’istituto trovi applicazione – in luogo della rescissione – anche quando la Corte di Strasburgo ha disposto la rinnovazione del processo, ossia quando ha accertato la violazione del diritto a partecipare personalmente al procedimento” (M. GIALUZ, op. cit., p. 85) ma, come rilevato in sede scientifica (GIALUZ), in “tal caso, (…) non sembra esservi spazio per un’autonoma valutazione da parte della Corte dell’incidenza causale dell’assenza involontaria” (M. GIALUZ, op. cit., p. 85).
Ad ogni modo, se questo rimedio è esperibile “a fronte dell’accertata violazione da parte della Corte EDU dei diritti dell’imputato di partecipare al processo” (Ufficio del Massimario presso la Corte di Cassazione, op. cit., p. 179), “la rescissione del giudicato (di competenza delle corti d’appello) costituisce rimedio rispetto alla mancata partecipazione al processo conseguente alla violazione delle norme nazionali nel corso del procedimento” (Ufficio del Massimario presso la Corte di Cassazione, op. cit., p. 179).
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Terminata la disamina di questa disposizione legislativa, non resta dunque che attendere come tale precetto normativo verrà interpretato in sede giudiziale.

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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