Riforma Cartabia: le novità dell’art. 414 cod. proc. pen.

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Le novità introdotte dalla riforma Cartabia in relazione all’art. 414 cod. proc. pen.: vediamo in cosa consistono.
La riforma Cartabia è intervenuta anche sull’art. 414 cod. proc. pen. che, come è noto, regola la riapertura delle indagini.
In particolare, l’art. 22, co. 1, lett. h), d.lgs., 10/10/2022, n. 150 dispone che “1) al comma 1, dopo il primo periodo, è aggiunto il seguente: «La richiesta di riapertura delle indagini è respinta quando non è ragionevolmente prevedibile la individuazione di nuove fonti di prova che, da sole o unitamente a quelle già acquisite, possono determinare l’esercizio dell’azione penale.»; 2) dopo il comma 2, è aggiunto il seguente: «2-bis. Gli atti di indagine compiuti in assenza di un provvedimento di riapertura del giudice sono inutilizzabili.»;”.
Orbene, scopo del presente scritto è vedere in cosa consistono siffatte novità normative.

Indice

1. Il “nuovo” secondo periodo del primo comma dell’art. 414 cod. proc. pen.

Come appena visto, al comma primo, dopo il primo periodo è stato inserito un secondo il quale stabilisce quanto segue: “La richiesta di riapertura delle indagini è respinta quando non è ragionevolmente prevedibile la individuazione di nuove fonti di prova che, da sole o unitamente a quelle già acquisite, possono determinare l’esercizio dell’azione penale”.
Ebbene, va prima di tutto rilevato che, come dedotto nella relazione illustrativa, per effetto di questo innesto legislativo, è stato introdotto un criterio di selezione volto a escludere la riapertura del procedimento penale in presenza di (positivi) elementi indicativi della sostanziale inutilità delle stesse, così prevenendo i possibili pregiudizi che dalla decisione di riapertura possono conseguire a carico della persona già in precedenza sottoposta a indagini.
Quindi, con “la nuova formulazione cambia la prospettiva del pubblico ministero: le indagini si possono riaprire soltanto se le nuove fonti di prova, da sole o unite alle precedenti, possono determinare l’esercizio dell’azione penale” (L. D’ANCONA, La riforma penale e la stretta sui tempi delle indagini, 18/01/2023, in https://www.questionegiustizia.it/articolo/riforma-penale-tempi-indagini, p. 14) e ciò “obbliga l’organo inquirente e, poi, il giudice a: prospettarsi i mezzi di prova da ricercare; rappresentarsi il possibile scenario processuale; infine, formulare una prognosi circa la ragionevole probabilità di condanna laddove l’elemento probatorio che si intende acquisire con la richiesta di autorizzazione alla riapertura delle indagini abbia la valenza che, ex ante, l’organo inquirente ipotizzava potesse avere” (L. D’ANCONA, La riforma penale e la stretta sui tempi delle indagini, cit., p. 14).
Siffatta riapertura, essendo richiesta per l’appunto l’individuazione di nuove fonti di prova posto che “il pubblico ministero, per riaprire le indagini, dovrebbe avere assicurazione circa la possibilità di acquisire specifiche fonti di prova, e prevedere che con tali nuovi elementi si potrà disporre o richiedere il rinvio a giudizio dell’indagato” (L. D’ANCONA, La riforma penale e la stretta sui tempi delle indagini, cit., p. 14), di conseguenza, “non sarà più possibile quando il p.m. prospetta soltanto una diversa interpretazione degli elementi di prova già acquisiti” (E. LUPO, Il processo penale alla luce della “riforma Cartabia”, in Cassazione Penale, fasc.12, 1 DICEMBRE 2022, pag. 4158), “risultando così escluso che, per riaprire l’indagine, basti una mera rivalutazione di elementi preesistenti, non sorretta da un quid novi” (M. GIALUZ, Per un processo penale più efficiente e giusto. Guida alla lettura della riforma Cartabia. Profili processuali, 2/11/2022, in sistema penale, p. 46).
Ad ogni modo, come evidenziato dalla Procura generale presso la Corte di Cassazione nella relazione, intitolata “Primi orientamenti in tema di applicazione del d.lgs. n. 150/2022: iscrizione delle notizie di reato; conclusione delle indagini preliminari; avocazione e controlli da parte del giudice”, del 19 gennaio del 2023, a firma dell’Avvocato generale Pasquale Fimiani e del Procuratore generale Lugi Salvato, per comprendere cosa debbano intendersi per “nuove fonti di prova”, può soccorrere quell’orientamento nomofilattico, elaborato in materia di revisione, secondo il quale per prove nuove (e, quindi, argomentando a fortiori, anche per nuove fonti di prova), devono intendersi “non solo le prove sopravvenute alla sentenza definitiva di condanna e quelle scoperte successivamente ad essa, ma anche quelle non acquisite nel precedente giudizio ovvero acquisite, ma non valutate neppure implicitamente” (Cass. pen., Sez. Un., 26/09/2021, n. 624) “purché non si tratti di prove dichiarate inammissibili o ritenute superflue dal giudice, e indipendentemente dalla circostanza che l’omessa conoscenza da parte di quest’ultimo sia imputabile a comportamento processuale negligente o addirittura doloso del condannato, rilevante solo ai fini del diritto alla riparazione dell’errore giudiziario” (Cass. pen., sez. V, 9/01/2020, n. 12763).
Va infine rilevato che, come ritenuto dall’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione, tale disposizione, unitamente al “nuovo” comma 2-bis (che esamineremo da qui a breve), trova applicazione “solo per il procedimento nei confronti di soggetti individuati dovendosi ritenere, invece, che nel procedimento contro ignoti, «ove sia stato emesso provvedimento di archiviazione per essere rimasti sconosciuti gli autori del reato, non è richiesta l’autorizzazione alla riapertura delle
indagini del giudice per le indagini preliminari» e ciò in quanto, per tali procedimenti, l’archiviazione ha solo la funzione di legittimare il congelamento delle indagini e non preclude lo svolgimento di ulteriori attività investigative (ex multis, Sez. 1, n. 42518 del 14/07/2022 (…))” (Corte suprema di Cassazione, Ufficio del Massimario, rel. n. 2/2023 del 5 gennaio 2023, p. 75).
Pur tuttavia, non può sottacersi un diverso orientamento interpretativo secondo cui, invece, “è possibile sapere sin dall’inizio che un nuovo elemento, e nuove investigazioni, potranno condurre a individuare il colpevole fino a quel momento rimasto ignoto, e preconizzarne la condanna” (L. D’ANCONA, La riforma penale e la stretta sui tempi delle indagini, cit., p. 14) in quanto “la norma richiede che, una volta acquisiti i nuovi elementi, anche uniti ai precedenti, sia possibile e non probabile l’esercizio dell’azione penale” (L. D’ANCONA, La riforma penale e la stretta sui tempi delle indagini, cit., p. 14) e, quindi, il “range del criterio di possibilità è ben più ampio di quello di probabilità, ragion per cui sarà sufficiente prospettare che il rinvio a giudizio rientrerà nelle possibilità di esito del procedimento da riaprire” (L. D’ANCONA, La riforma penale e la stretta sui tempi delle indagini, cit., p. 14).
Non resta dunque che vedere quali di questi due indirizzi ermeneutici verrà recepito in sede giudiziale.

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2. Il “nuovo” comma 2-bis dell’art. 414 cod. proc. pen.

Il “nuovo” comma 2-bis, invece, statuisce che gli “atti di indagine compiuti in assenza di un provvedimento di riapertura del giudice sono inutilizzabili”.
Per effetto di questo inserimento legislativo, di conseguenza, è adesso stabilita “espressamente la sanzione dell’inutilizzabilità per gli atti di indagine compiuti in assenza di un provvedimento di riapertura del giudice” (M. GIALUZ, Per un processo penale più efficiente e giusto. Guida alla lettura della riforma Cartabia. Profili processuali, 2/11/2022, in sistema penale, p. 46), e ciò è stato fatto, come evidenziato nella relazione illustrativa, al fine di presidiare adeguatamente il rispetto della garanzia preveduta nel “nuovo” secondo periodo del primo comma dell’art. 414 cod. proc. pen..
Per quanto invece riguarda la tematica inerente l’applicabilità, o meno, di questo comma anche nel caso in cui si proceda contro ignoti, infine, si rinvia a quanto già enunciato in precedenza.

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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