Riflessioni sulla rappresentanza politica: il Sovrano non è parte contrattuale?

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Nel leggere il lavoro del dott. Carlo Cerutti sulla rappresentanza politica – Nuova cultura, ho rilevato che esso ha formato oggetto di osservazioni da parte del dott. Tommaso Gazzolo nella “nota sulla rappresentanza politica” alla quale, conseguentemente, ho prestato attenzione. A sommesso avviso di chi scrive, il contributo del Cerutti, presenta toni assai più sommessi di quanto la “nota” non lasci intendere. E, come accade tutte le volte in cui la “critica” travalica il suo “oggetto” (come il pittore che “carica” il suo personaggio), quest’ultimo viene posto in “false light”, e il pensiero del suo Autore inevitabilmente alterato.

Nel distinguere i vari tipi (e connotazioni) di rappresentanza, Cerutti rinviene, invero, l’elemento tipico della rappresentanza politica nel fatto che i consociati delegano agli organi decisionali l’esercizio di attribuzioni per il governo dello Stato-Comunità.

Di ciò è traccia fin dall’epoca medievale – come ricordato dall’A. – epoca in cui i rappresentanti dei diversi ceti agivano in base a quanto era loro periodicamente “riferito” dai nunci: in questo contesto di considerazioni, ricorderei come lo stesso gubernaculum medievale era sovente attribuito ad organi espressivi del pluralismo sociale (es. priorato fiorentino su cui cfr. G. Salvemini).

Successivamente, il ruolo di queste Camere dei rappresentanti nell’assumere decisioni per conto di una comunità più vasta divenne stabile e continuo: nascono così i primi “parlamenti” come organi di rappresentanza.

E il contributo dell’A. si innesta proprio sull’indagine circa il carattere di questa decisione presa da alcuni “per conto” (e, quindi, nell’interesse) dell’intera comunità dei consociati.

A questa analisi puntuale resta estraneo, invero, qualsiasi riferimento al rapporto Popolo/Sovrano che non sia circoscritto a segnalare il passaggio da una rappresentanza “privatistica” ad una di carattere “pubblicistico”: il richiamo alla dialettica tra “Parlamenti” e Sovrano è servito all’A. per segnalare come, pur nella diversità delle esperienze, le forze sociali concentrate nei “Parlamenti” abbiano assunto in vario modo l’iniziativa (e la forza) di critica ed eversione del modello assolutistico, conservando le prerogative già acquisite nei confronti del sovrano, ma calandole in un contesto diverso (Sombart, Barringtone Moore). L’intero pensiero liberale, d’altronde, muove da tali premesse, per coltivare, come sua ricaduta “necessaria”, l’affermazione della persona (e delle sue libertà) prima e oltre l’ordine costituito (on. La Pira, intervento in Assemblea Costituente).

Il passaggio da una rappresentanza “privatistica” ad una rappresentanza “pubblicistica” è stato “letto” dal Cerutti in chiave giuridica: si può contestare la scelta di questa “chiave”, ma non cambiare la serratura di accesso al percorso argomentativo prospettato dall’A. che con raro garbo offre spunti utili di riflessione.

Questo decidere di alcuni “nell’interesse” di tutti (ormai, indistintamente [art. 3 Cost.]) connota, inevitabilmente, lo Stato democratico contemporaneo e, d’altronde, la stessa espressione “mandato elettorale” con cui si designa, anche nei mass media, l’impegno fiduciario assunto dall’Esecutivo verso le Camere, continuamente conforta l’identificazione di una Legislatura con un preciso “mandato” politico.

Il contributo sulla rappresentanza del Cerutti, poi, si innerva del tentativo di giustificare questo “mandato” sul piano del diritto costituzionale, quasi a “costituzionalizzare” il vincolo fiduciario tra Esecutivo e Camere, come tra queste ultime e il corpo elettorale: nel mandato a rappresentare (e, quindi, a governare) conferito dagli elettori si realizza un rigido trasferimento di poteri (sovrani ex art. 1 Cost.) per l’attuazione del programma elettorale o c’è anche un qualcosa che sfugge a questa rigida logica di mandato, e che si giustifica con una considerazione d’insieme degli interessi sociali?

Secondo l’ipotesi ricostruttiva preferita da autorevole studioso (Ostellino, P., Il nostro sistema istituzionale? Parodia delle vecchie monarchie, in Corriere della Sera 23 agosto 2010), la sovranità popolare “non deve trovare nelle procedure un ostacolo, bensì la propria piena realizzazione”. Nè si è mancato di rilevare, da parte del medesimo Ostellino, come la presenza di un vincolo di mandato integrerebbe una garanzia per l’indipendenza dei parlamentari rispetto all’influenza dei partiti.

Insomma: il circuito popolo-Camere-sovranità ha tutto l’aspetto di un circolo vizioso dalle logiche non sempre spiegabili e comprensibili alla luce dei canoni istituzionali ordinari. Rispetto a questo “stato dell’arte”, l’A. fornisce, anzi “tenta” di fornire, una risposta in qualche senso chiarificatrice, in un contributo che ha il sapore di un esperimento intellettuale e che segna una direttiva di ricerca per un’indagine che trovi spunto e alimento nelle dinamiche istituzionali attuali, senza scomodare antichi oracoli del pensiero filosofico: le varie “Repubbliche” di Platone, gli “Stati etici” di Hegel, la mitica “volontà generale” di Rousseau o il fantasioso “Governo del proletariato” vagheggiato da Marx.

 

Cori Alessandro

Cori Alessandro

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