(A cura di Avv. Ivano Ragnacci e Dott.ssa Paola Casale)
Partendo da una significativa e recentissima Sentenza, laNum. 1869/2024, pubblicata lo scorso 16 gennaio 2024, la Sez. 4^ Penale della Suprema Corte di Cassazione annullava senza rinvio l’Ordinanza di Inammissibilità del Tribunale delle Libertà adito, in merito alla richiesta di Riesame di un Decreto di Convalida avente ad oggetto il sequestro probatorio di un bene mobile, segnatamente di un’autovettura, con il presente articolo si vuol porre l’attenzione sul tema riguardante il principio della “unicità delle impugnazioni”, il quale, rappresenta la ragione erroneamente fondante della motivazione sottesa all’Ordinanza, Cassata senza rinvio, di inammissibilità emanata dal Tribunale Capitolino del Riesame a causa di una mera svista, poi prontamente rimediata, della firma digitale del difensore proponente: passando attraverso la narrazione di un caso concreto, si condivide l’assunto sostenuto dalla Cassazione, secondo il quale, sterili formalismi non possono avere effetti preclusivi rispetto ad istanze ritualmente proposte e non tardive.
Per approfondimenti si consiglia il seguente volume, il quale procede ad una disamina della novella, articolo per articolo: La Riforma Cartabia della giustizia penale
Indice
1. Il principio dell’unicità delle impugnazioni
Prima di procedere alla disamina del caso concreto, che ha fornito lo spunto per alcune riflessioni, si vuol rammentare sinteticamente e in via preliminare di una delle principali articolazioni del c.d. “principio di tassatività” delle impugnazioni, ossia, il canone della “unicità del mezzo d’impugnazione”, in virtù del quale, avverso un unico provvedimento è esperibile un unico mezzo d’impugnazione.
Analizzare tale segmento del procedimento penale, non è cosa di certo agevole, considerando le accese dispute che da sempre si accentrano sul tema. Stando a quanto elaborato dalla dottrina <<Il termine, dal punto di vista etimologico, viene dal latino pugnare, che significa lottare>> dunque, esattamente nella sentenza si identifica l’oggetto di suddetta lotta.
Notoriamente, l’impugnazione penale può essere definita come «quel rimedio esperibile da una parte al fine di rimuovere un provvedimento giurisdizionale svantaggioso, che si assume errato, mediante il controllo operato da un giudice differente da quello che ha emesso il provvedimento medesimo» [1].
È assolutamente evidente come il nostro sistema sia, pertanto, proiettato al rispetto dei diritti fondamentali dell’individuo e a perseguire il primario obiettivo di realizzare il valore costituito dalla giustizia della decisione giurisdizionale, che può definirsi tale – giusta, appunto – solo se sopravviene all’esito di un processo effettivamente garantista [2].
Sotteso a ciò, vi è conseguentemente, l’altrettanto chiaro intento di scongiurare il rischio di vedersi arbitrariamente dichiarato inammissibile l’atto d’impugnazione interposto.
Affinché tale eventualità non si verifichi, occorrono regole chiare e precise in merito all’ammissibilità dell’atto stesso, nonché la loro corretta applicazione da parte di chi è chiamato ad operare per una decisione, evidentemente.
Inoltre, val la pena rammentare, che anche per le impugnazioni de libertate vige il principio della unicità del diritto di impugnazione [3], in relazione al quale l’esaurimento del mezzo per primo scelto dalla parte o dal suo difensore consuma il diritto all’impugnazione anche nei confronti dell’altro soggetto legittimato.
Al principio appena enunciato, però, si correla un significativo correttivo costituito dall’esigenza, acciòche si verifichi tale consumazione del diritto ad impugnare, che l’organo competente per la decisione abbia già emesso un provvedimento decisorio nel merito e non limitato, dunque, agli unici profili di inammissibilità, poiché, solo in questo caso, si ammetterebbe una inutile duplicazione della medesima impugnazione, con il consequenziale rischio di pervenire a decisioni contraddittorie.
Proprio i Giudici della Suprema Corte, già dal 2019, hanno enunciato la massima da cui bisogna partire: “Il diritto d’impugnazione può essere esercitato autonomamente da ciascun difensore di uno stesso imputato, con la proposizione di autonomi atti, sempre che – in ossequio al principio di unicità dell’impugnazione – al momento di presentazione del successivo atto di appello o di ricorso non sia già decorso il termine per il gravame e non sia intervenuta una decisione sull’impugnazione proposta da uno dei soggetti legittimati” [4].
2. Riforma Cartabia sul processo telematico e firma digitale
Uno degli ambiti maggiormente investiti dalle novità introdotte dal D.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, c.d. Riforma “Cartabia”, è stato proprio quello del processo penale telematico, al fine di favorire l’efficienza del processo nonché la più celere definizione dei procedimenti giudiziari. L’auspicio, ormai notorio ai più, è quello di pervenire ad un migliore funzionamento della complessa e farraginosa macchina giudiziaria, anche per mezzo, appunto, della digitalizzazione della giustizia penale.
La redazione di atti in forma di documento informatico, la firma digitale, il deposito degli stessi in fascicoli altrettanto digitali, le notifiche nel domicilio informatico, la remotizzazione delle udienze, sono, tra le varie, innovazioni del tutto radicali, se non definibili più propriamente in termini rivoluzionari, che lentamente stanno prendendo piede nella quotidianità degli operatori del diritto e di quanti si trovano personalmente implicati in vicende processuali.
Il legislatore della riforma, attraverso gli artt. 6, comma 1, lett. a), e 11, comma 1, lett. a) e c), D.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, ha introdotto gli artt. 111 bis, 111 ter e 175 bis c.p.p., ed ha aggiunto due nuovi commi all’art. 172 c.p.p., regolando secondo i nuovi principi la fase relativa al deposito degli atti nel fascicolo informatico. Nello specifico, il neo introdotto art. 111 bis c.p.p., dispone che atti, documenti, richieste e memorie, salvi i casi di malfunzionamento dei sistemi informatici, debbono essere depositati «esclusivamente con modalità telematiche», tali da assicurare la certezza, anche temporale, dell’avvenuta trasmissione e ricezione degli atti, nonché l’identità del mittente e quella del destinatario.
Punto, questo della digitalizzazione e dell’assoluta necessità di disporre della certezza, nonché della prova tangibile – concretamente parlando, della firma digitale –, dell’autentica corrispondenza tra l’atto redatto e colui che ne è l’autore, che ha meritato menzione per quanto da qui a breve verrà trattato.
Per approfondimenti si consiglia il seguente volume, il quale procede ad una disamina della novella, articolo per articolo:
La Riforma Cartabia della giustizia penale
Al volume è associata un’area online in cui verranno caricati i contenuti aggiuntivi legati alle eventuali novità e modifiche che interesseranno la riforma con l’entrata in vigore.Aggiornato ai decreti attuativi della Riforma Cartabia, pubblicati in Gazzetta Ufficiale il 17 ottobre 2022, la presente opera procede ad una disamina della novella, articolo per articolo.Il Legislatore delegato è intervenuto in modo organico sulla disciplina processualpenalistica e quella penalistica, apportando considerevoli modificazioni nell’ottica di garantire un processo penale più efficace ed efficiente, anche attraverso meccanismi deflattivi e la digitalizzazione del sistema, oltre che ad essere rivolte al potenziamento delle garanzie difensive e della tutela della vittima del reato.La riforma prevede poi l’introduzione della giustizia riparativa, istituto in larga parte del tutto innovativo rispetto a quanto previsto in precedenza dall’ordinamento.Antonio Di Tullio D’ElisiisAvvocato iscritto presso il Foro di Larino (CB). Referente di Diritto e procedura penale della rivista telematica http://diritto.it. Membro del comitato scientifico della Camera penale di Larino. Collaboratore stabile dell’Osservatorio antimafia del Molise “Antonino Caponnetto”. Membro del Comitato Scientifico di Ratio Legis, Rivista giuridica telematica.
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3. Riesame nel merito: il caso
La questione che in tale scritto si vuol condividere, ha avuto ad oggetto una richiesta di Riesame cautelare reale avverso il Decreto di Convalida del sequestro probatorio di un’automobile – di proprietà del soggetto protagonista del caso oggetto di trattazione, indagato per il reato di cui all’art. 589 bis c.p. -, la quale, per un banalissimo errore riconducibile ad operazioni tecniche di segreteria di studio, risulta esser transitata dall’indirizzo PEC del difensore, a quello della Cancelleria addetta alla ricezione di suddetti ricorsi, priva di un indispensabile requisito che, ad oggi, alla luce della c.d. “Riforma Cartabia”, è specificatamente previsto a pena di inammissibilità.
A fronte della ricezione dell’Ordinanza d’Inammissibilità del ricorso, adottata – inaudita altera parte – ex art. 127, ultimo comma c.p.p., con motivazione riconducibile alla mancanza di sottoscrizione digitale dell’Atto d’Impugnazione da parte del difensore, quest’ultimo, esattamente entro lo spirare del termine massimo previsto dall’art. 309 c.p.p. per l’esercizio di tale facoltà, inoltrava all’indirizzo della Cancelleria la medesima PEC e, in tale occasione, con allegato l’Atto d’Impugnazione correttamente munito della firma digitale.
A seguito di ciò, il Tribunale del Riesame fissava un’udienza camerale, all’esito della quale, veniva statuita un’ulteriore inammissibilità rispetto alla nuova impugnazione – ovvero, la seconda –, questa volta motivata in considerazione del noto principio dell’“unicità dell’impugnazione” [5]: il diritto ad impugnare, in base a quanto erroneamente sostenuto dal Collegio giudicante, si sarebbe esaurito per effetto del primo proponimento di riesame pervenuto.
Premesso ciò, vi è da puntualizzare che nel caso in esame, il secondo atto d’impugnazione “presentato dal medesimo difensore che [non] aveva sottoscritto il precedente”, così come si può leggere nell’Ordinanza impugnata, innanzitutto, è stato sì presentato in un momento successivo ad un primo atto di impugnazione avanzato nell’interesse dello stesso soggetto indagato in suddetto procedimento, ma non vi è stata alcuna sottoscrizione di tale atto da parte del predetto difensore e dunque, non è possibile attestare quell’indispensabile collegamento tra redigente e relativo scritto, che invece deve necessariamente sussistere al fine di certificare la genuina provenienza di un’opera redatta e l’identificazione del suo autore.
Orbene, l’inoltro erroneo tramite PEC del contestato primo Atto d’impugnazione, non può in alcun modo essere preso in considerazione al fine del conteggio dei depositi pervenuti alla Cancelleria del Tribunale e men che mai, conseguentemente, come prima istanza di riesame avanzata del difensore, tale da rendere privo di diritto il secondo Atto d’impugnazione che, nei fatti, risulta essere l’unico valido perché munito dell’elemento essenziale della sottoscrizione.
Facendo richiamo all’art. 24, comma 6-sexies, del dl. n. 137/2020 [6], convertito con modifiche dalla l. n. 176/2020, è prevista tra le cause tassative di inammissibilità, alla lettera a), la “mancanza della sottoscrizione digitale dell’atto di impugnazione da parte del difensore”, pertanto, il primo Atto d’impugnazione pervenuto non può considerarsi ammissibile e quindi neppure valutabile nei termini delineati dal Collegio del Riesame, di istanza ulteriore, nonché antecedente, a quella validamente trasmessa.
Non può porsi come ostacolo alla presentazione dell’istanza da parte del difensore, nonché al conseguente esame nel merito della questione, la predetta “consumazione-preclusione” del diritto ad impugnare, esercitato in concreto un’unica volta, da uno solo dei soggetti legittimati, entro lo spirare dei termini prefissati dalla legge per la presentazione.
Proprio avverso tale apodittico provvedimento, il difensore avanzava ricorso alla Suprema Corte di Cassazione, la quale, come già anticipato in premessa, accogliendo i motivi formulati, inerenti all’illegittima dichiarazione di inammissibilità della richiesta di riesame, ha provveduto ad annullare senza rinvio l’Ordinanza Impugnata, rimettendo gli atti al Tribunale Capitolino.
Di particolare interesse è proprio quanto deliberato dal Supremo Consesso [7], il quale, ha plasticamente affermato che rispetto al caso in esame, la decisione posta alla base dell’inammissibilità della prima richiesta di riesame fosse fondata in via esclusiva sulla constatazione dell’irritualità di suddetta proposta in quanto priva di sottoscrizione digitale, venendo meno ogni necessario apprezzamento attinente le ragioni di fatto e di diritto che hanno determinato l’edificazione del convincimento del Pubblico Ministero che ha poi convalidato il sequestro.
Prosegue, fondamentalmente, riconoscendo nella decisione assunta dal Collegio del Tribunale Capitolino, un formalismo inutile che, pertanto, “non può avere effetti preclusivi rispetto ad un’istanza di riesame ritualmente proposta e non tardiva”.
4. Brevi cenni sul dispositivo che annulla senza rinvio
Dalla decisione della Supremo Consesso Nomofilattico, deriva l’immediato dissequestro dell’autoveicolo che è stato posto in vinculis, con apposito provvedimento del Pubblico Ministero una volta preso atto del dispositivo de quo.
Singolare, come si potrà notare, è l’assunto degli Ermellini nella parte in cui prevedono la “restituzione degli atti al Riesame” nonostante vi sia stato un annullamento senza rinvio.
Invero, lo stesso articolo 311 c.p.p., al comma 5 bis [8], non fa alcun riferimento e non fornisce alcuna chiarificazione in merito alla circostanza poco prima menzionata, limitandosi a definire il caso, decisamente più frequente, dell’annullamento con rinvio.
Pacifico, nella situazione di rinvio al Giudice di merito, il traghettamento degli atti alla Cancelleria di chi è poi chiamato a decidere.
Lecito l’interrogativo che ci si pone, stando anche al disposto dell’art. 620 c.p.p. e alla pronuncia a Sezioni Unite della Corte di Cassazione, secondo cui:” pronuncia sentenza di annullamento senza rinvio se ritiene superfluo il rinvio e se, anche all’esito di valutazioni discrezionali, può decidere la causa alla stregua degli elementi di fatto già accertati o sulla base delle statuizioni adottate dal giudice di merito, non risultando perciò necessari ulteriori accertamenti di fatto” [9].
A ben guardare, tuttavia, come noto, nonostante l’apparente contraddizione in termini poc’anzi rievocata, la restituzione degli atti è stata disposta proprio perché il Tribunale del Riesame non si è mai calato in una concreta analisi della situazione nel merito, incaricando, per così dire, il formalismo di neutralizzare la decisione, circoscrivendo le pronunciate Ordinanze di inammissibilità, sostanzialmente, ad inutili questioni di forma – o meglio, di palesi “sviste”.
5. Le considerazioni conclusive
Con la narrazione di tale caso giurisdizionale si è voluto evidenziare, partendo dal noto fatto che il rispetto del principio dell’unicità dell’impugnazione ha come obiettivo quello di salvaguardia dall’alea di pronunce discordanti rispetto ad un medesimo fatto, di come la recentissima giurisprudenza di legittimità sia – de jure condito – intervenuta a riguardo.
A sostegno dell’inedito indirizzo tracciato dalla Corte di Cassazione nella Sentenza di annullamento senza rinvio menzionata e chiamata ad archetipo in tale scritto, vi è anche un’altra pronuncia con la quale il Supremo Concesso Nomofilattico ha dichiaratamente espresso un nuovo principio di diritto, secondo cui si “… dichiara che il principio di consumazione dell’impugnazione non opera se il giudizio originato dalla presentazione di un primo atto di impugnazione è stato definito in termini meramente formali e procedurali e un secondo atto di impugnazione è validamente proposto nel rispetto del termine dalla legge originariamente stabilito” [10], proprio nel caso oggetto di analisi.
Dunque, chiaro è che il principio di consumazione del mezzo d’impugnazione non può dirsi operante qualora il giudizio frutto della presentazione di un primo atto d’impugnazione sia caratterizzato da una declaratoria d’inammissibilità derivante da questioni meramente formali e procedurali, mentre un secondo atto d’impugnazione sia proposto validamente e tempestivamente, privo dei vizi formali originariamente rilevati.
Del resto, ragionando diversamente, si consentirebbe che i presidi costituzionali del giusto processo e del diritto di difesa in particolare, siano sacrificabili a cospetto di meri vizi formali od irregolarità facilmente sanabili e superabili, che per quanto gravi, non debbono o possono mettere a repentaglio i diritti e le libertà degli abitanti in uno Stato di Diritto.
- [1]
Tonini, “Manuale di procedura penale”, Ed. XIX, Milano, 2018, pag. 919.
- [2]
Leonardo Suraci, “Il sistema delle impugnazioni nel processo penale”, Pacini Editore.
- [3]
Per un maggiore approfondimento, sul tema, ex multis: in tal senso, cfr. Cass., sez. I, sent. 16 settembre 2008, Sposito, in CED Cass., m. 241137 e Cass., sez. IV, sent. 5 aprile 2013, Colonna, in Cass. pen., 2014, p. 3356 ss., con nota di G.Colaiacovo; contra, v. Cass., sez. III, sent. 14 febbraio 2013, Dines, in Giur. it., 2013, p. 2364 ss., con nota di E.N. La Rocca.
- [4]
Corte di Cassazione, sezione prima penale, Sentenza 15 marzo 2019, n. 11600.
- [5]
Cfr. Seconda Ordinanza d’Inammissibilità del Tribunale del Riesame: “Una volta che l’impugnazione sia stata proposta da uno qualsiasi dei soggetti legittimati, indagato o suo difensore, e sia intervenuta una qualche decisione, il diritto si consuma, con la conseguenza che ne è precluso l’ulteriore esercizio da parte dell’altro legittimato”.
- [6]
Il cui contenuto è sovrapponibile a quanto previsto dall’art. 5-quinquies del D.L. n. 162 del 2022, con cui è stato introdotto “a regime” l’art. 87-bis D.Lgs. n. 150 del 2022.
- [7]
Cfr. Allegata Sentenza della Suprema Corte di Cassazione, pag. 3.
- [8]
“Se è stata annullata con rinvio, su ricorso dell’imputato, un’ordinanza che ha disposto o confermato la misura coercitiva ai sensi dell’articolo 309, comma 9, il giudice decide entro dieci giorni dalla ricezione degli atti e l’ordinanza è depositata in cancelleria entro trenta giorni dalla decisione. Se la decisione ovvero il deposito dell’ordinanza non intervengono entro i termini prescritti, l’ordinanza che ha disposto la misura coercitiva perde efficacia, salvo che l’esecuzione sia sospesa ai sensi dell’articolo 310, comma 3, e, salve eccezionali esigenze cautelari specificamente motivate, non può essere rinnovata”.
- [9]
Cfr. Cassazione Penale, Sezioni Unite, 24 gennaio 2018 (ud. 30 novembre 2017), n. 3464
Presidente Canzio, Relatore Zaza. - [10]
Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza (ud. 19 maggio 2023) 26 luglio 2023, n. 32593.
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