Riduzione chance di sopravvivenza: risarcimento ridotto

Il risarcimento per la perdita del rapporto parentale è ridotto se la condotta della struttura sanitaria ha solo ridotto le chance di sopravvivenza.

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Il risarcimento per la perdita del rapporto parentale è ridotto se la condotta della struttura sanitaria ha solo ridotto le chance di sopravvivenza del familiare. Per approfondire questa materia, consigliamo il volume Manuale pratico operativo della responsabilità medica

Tribunale di Benevento -sez. I civ.- sentenza n. 246 del 24-02-2025

SENTENZA_TRIBUNALE_DI_BENEVENTO_N._246_2025_-_N._R.G._00002489_2023_DEL_24_02_2025_PUBBLICATA_IL_24_02_2025.pdf 220 KB

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Indice

1. I fatti: la riduzione delle chance di sopravvivenza


Il figlio di una anziana donna morta presso un ospedale campano, adiva il Tribunale di Benevento per chiedere la condanna di una struttura sanitaria al risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale.
In particolare, l’attore sosteneva che la madre novantaduenne veniva colta da stato confusionale che aveva indotto il figlio a chiamare il 118. I sanitari del 118, giunti presso l’abitazione della signora 20 minuti dopo la chiamata, avevano riscontrato un’insufficienza renale della paziente e diagnosticando una mera ipotensione, si erano limitati a somministrare dell’idrocortisone in una soluzione fisiologica, rifiutando il ricovero ospedaliero della paziente nonostante le insistenze del figlio.
A causa dell’aggravarsi delle condizioni della donna, nel tardo pomeriggio, il figlio portava la madre al pronto soccorso del locale ospedale, dove la paziente veniva sottoposta a vari esami che evidenziavano una sofferenza renale, iperglicemia e iperpotassemia. Nonostante ciò, i sanitari dell’ospedale decidevano di non effettuare alcun trattamento correttivo degli squilibri elettrolitici fino alla tarda sera, allorquando la paziente veniva sottoposta ad emo-gasanalisi e una terapia di bicarbonato. Soltanto alle 23:49 dello stesso giorno, la paziente veniva ricoverata presso il reparto di medicina con diagnosi si insufficienza renale cronica e veniva disposta terapia antibiotica e diuretica. Un paio di ore dopo, infine, un nuovo esame emo-gasanalisi evidenziava un aggravio dell’acidosi della paziente, che decedeva subito dopo a causa di un’aritmia.
L’attore riteneva quindi che vi erano stati plurimi inadempimenti dei sanitari dell’ospedale, che non avevano correttamente diagnosticato le patologie della paziente e poi non avevano eseguito il trattamento medico corretto. Infatti, secondo l’attore, i sanitari del 118 avevano errato nel somministrare l’idrocortisone, in quanto questo aveva comportato delle gravi conseguenze cardiache alla paziente quali le aritmie poi dimostratesi fatali; mentre i sanitari del pronto soccorso avevano errato nell’omettere ogni trattamento utile per compensare lo squilibrio elettrolitico della paziente che era stato poi responsabile dell’aritmia fatale. Per approfondire questa materia, consigliamo il volume Manuale pratico operativo della responsabilità medica   

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2. Le valutazioni del Tribunale


Il Tribunale di Benevento ha preliminarmente valutato la sussistenza del nesso di causalità tra le condotte inadempienti dedotte dall’attore e l’evento mortale subito dalla madre. Secondo il giudice, infatti, la valutazione in ordine alla risarcibilità del danno da perdita del rapporto parentale invocato dall’attore, passa prima dall’accertamento della sussistenza di detto nesso di causalità.
A tal proposito, il giudice ha ricordato che l’attore, paziente danneggiato, deve provare l’esistenza del contratto e allegare l’inadempimento della struttura sanitaria che abbia determinato l’aggravamento della situazione patologica del paziente oppure l’insorgenza di nuove patologie. In particolare, l’attore non può limitarsi ad allegare un qualsiasi inadempimento, ma deve allegare un inadempimento qualificato, cioè tale che costituisca la causa o concausa astrattamente efficiente alla produzione del danno. Anche se tale onere probatorio non si spinge fino alla necessità di enucleazione e indicazione di specifici e peculiari aspetti tecnici di responsabilità professionale, conosciuti e conoscibili soltanto agli esperti del settore.
L’attore, invece, non deve provare la colpa o il dolo del sanitario.
La prova della sussistenza di detto nesso di causalità tra inadempimento qualificato e evento lesivo deve essere fornita dimostrando che la condotta del sanitario è stata la causa del danno secondo il criterio del “più probabile che non”.
Una volta che l’attore abbia fornito detta prova, graverà sul medico o sulla struttura sanitaria convenuti l’onere di provare che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente e che gli esiti peggiorativi che ha avuto il paziente siano stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile.
In altri termini, il convenuto dovrà dimostrare che vi è stata una causa non prevenibile e improbabile che ha reso impossibile la prestazione sanitaria.
Per quanto riguarda, invece, il danno da perdita del rapporto parentale invocato dall’attore, il giudice ha evidenziato che il rapporto parentale si sostanzia nell’affettività, nella condivisione e nella quotidianità di rapporti tra due familiari e che la sua lesione si contraddistingue nel fatto che i congiunti non possono più fare ciò che hanno fatto per anni e nell’alterazione dei rapporti personali che produce nel congiunto superstite la scomparsa di un familiare.

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3. La decisione del Tribunale


Nel caso di specie, il giudice ha ritenuto che l’attore ha parzialmente assolto all’onere sul medesimo gravante. In particolare, egli ha allegato e provato l’errore in cui sono incorsi i sanitari del 118, i quali hanno diagnosticato l’ipotensione della paziente e le hanno somministrato del cortisteroide che ha come effetto quello di determinare delle disfunzioni elettrolitiche con gravi conseguenze cardiache come aritmie fatali. Tra l’altro, anche dai successivi controlli e rilievi di laboratorio è emersa la causalità tra il predetto errato trattamento terapeutico e l’aggravarsi delle condizioni della paziente.
Invece, l’attore non ha provato il nesso di causalità rispetto alla condotta dei sanitari del pronto soccorso.
Dopo aver quindi accertato la sussistenza del nesso d causalità, il giudice è passato all’esame della sussistenza del danno da perdita del rapporto parentale.
A tal proposito, il Tribunale ha ritenuto che l’attore ha allegato e provato la propria convivenza con la madre, attraverso il certificato storico di residenza e il certificato di stato di famiglia, nonché di essere l’unico figlio ed erede e di avere avuto con la madre un rapporto molto stretto (infatti i testi hanno confermato la convivenza tra madre e figlio e il fatto che quest’ultimo se ne occupasse personalmente). Secondo il giudice la prova della convivenza e del fatto che il figlio si occupasse della madre dimostra anche l’affettività, la condivisione e la quotidianità di rapporti tra i due familiari che costituisce il presupposto del danno da perdita del rapporto parentale.
Pertanto, la morte della madre ha determinato il danno da perdita di detto rapporto parentale.
Per quanto riguarda la sua quantificazione però il giudice ha evidenziato che, nel caso di specie, la CTU ha ritenuto che la causa dell’aritmia che ha portato alla morte della paziente è imputabile allo squilibrio elettrolitico (dipeso dalla errata scelta terapeutica dei sanitari) soltanto in virtù di un criterio di semplicistica probabilità (e non di certezza). Comunque, secondo i periti l’errata diagnosi e il conseguente errato trattamento terapeutico hanno influito negativamente sull’iter prognostico, compromettendo le condizioni generali della paziente e causando indubbiamente una riduzione delle chances di sopravvivenza in misura pari al 30%.
In considerazione del fatto che l’errore medico ha causato una mera perdita di chance di sopravvivenza, peraltro relativamente modesta, il giudice ha ritenuto equo stimare il danno da perdita del rapporto parentale in maniera equitativa nell’importo di €. 35.000,00.

Avv. Muia’ Pier Paolo

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