Ricorso verso sentenza che omette la pena accessoria

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Il pubblico ministero può ricorrere per Cassazione avverso la sentenza che, all’esito di giudizio ordinario, abbia omesso l’applicazione di una pena accessoria

Indice

1. Il fatto

Il Tribunale di Cremona condannava l’imputato alla pena di anni tre e mesi uno di reclusione ed euro 1200 di multa per il reato continuato di cui all’art. 624-bis cod. pen..
Ciò posto, avverso detta sentenza ricorreva per Cassazione il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Brescia che deduceva la violazione di legge nell’omessa applicazione della pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici, prevista dall’art. 29 cod. pen., ove, come nel caso di specie, sia inflitta una condanna alla pena della reclusione non inferiore a tre anni, essendo per l’appunto di tale durata la pena-base irrogata, poi aumentata per la continuazione.

2. La questione prospettata nell’ordinanza di rimessione

La Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione, investita della decisione sul ricorso, rilevava l’esistenza di un contrasto nella giurisprudenza di legittimità sull’ammissibilità del ricorso per Cassazione del pubblico ministero nella fattispecie in esame.
Era infatti osservato che, secondo un primo orientamento, nel caso in cui con la sentenza di condanna non si sia provveduto all’applicazione della pena accessoria, pur conseguente di diritto alla pronuncia, il rimedio consentito al pubblico ministero è esclusivamente individuabile, in base al combinato disposto degli artt. 20 cod. pen., 662 e 676 cod. proc. pen e 183 disp. att. cod. proc. pen., nella richiesta al giudice dell’esecuzione.
Invece, secondo altro e più recente indirizzo, il ricorso alla Corte di Cassazione per l’applicazione della pena accessoria, omessa nel giudizio di merito, è consentito al pubblico ministero nell’ambito dell’ampliamento attribuito ai poteri decisori della Corte Suprema dall’art. 620, comma 1, lett. l) cod. proc. pen., mentre d’altra parte l’attivazione del procedimento di esecuzione, previsto dall’art. 183 disp. att. cod. proc. pen., presuppone che la condanna sia passata in giudicato.
Di conseguenza, alla luce di siffatto contrasto, tale Sezione semplice rimetteva il ricorso alle Sezioni Unite per la sua soluzione.

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3. La soluzione adottata dalle Sezioni unite

Le Sezioni unite – dopo avere delimitato la questione sottoposto al suo vaglio giudiziale (ossia se il pubblico ministero possa ricorrere per cassazione avverso la sentenza che, all’esito di giudizio ordinario, abbia omesso l’applicazione di una pena accessoria, ovvero debba investire il giudice dell’esecuzione ai sensi dell’art. 676 cod. proc. pen.[1]), proceduto ad una disamina delle fonti normative del potere di proporre detto ricorso, con particolar riguardo a quanto preveduto dagli articoli 593, co. 1[2], 608, co. 1[3], 570, co. 1[4] e 593-bis[5] cod. proc. pen. e esaminato i contrastanti orientamenti nomofilattici summenzionati – reputavano condivisibile il secondo approdo ermeneutico per le seguenti ragioni.
In particolare, si osservava prima di tutto che, nelle pronunce a sostegno della tesi dell’ammissibilità del ricorso per Cassazione del pubblico ministero, e segnatamente in quelle che sembrano articolare essenzialmente il loro ragionamento sul potere attribuito alla Corte Suprema dall’art. 620, lett. l), cod. proc. pen., ad avviso delle Sezioni unite, è in realtà sotteso un ulteriore e più incisivo argomento nel senso che esso era stato per il vero espresso in una precedente decisione (Sez. 1, n. 7909 del 22/01/2013), e richiamato in altra di poco successiva (Sez. 6, n. 3253 del 21/01/2016), quale elemento determinante per giungere alla conclusione della praticabilità del ricorso in sede di legittimità, trattandosi di una considerazione che valorizza in termini logico-sistematici proprio la previsione, ai sensi dell’art. 183 disp. att. cod. proc. pen., della possibilità di adire il giudice dell’esecuzione per rimediare all’omessa applicazione della pena accessoria.
Più nel dettaglio, se tanto è consentito in fase esecutiva dopo che la sentenza è divenuta irrevocabile — si osservava nelle decisioni appena citate — non vi è alcuna ragione, secondo il Supremo Consesso, per ritenere che analoga richiesta non possa essere proposta nel giudizio di cognizione, con i mezzi di impugnazione ivi previsti, prima che sulla decisione si sia formato il giudicato.
Orbene, dato che lo stesso percorso argomentativo è esplicitamente riproposto in una delle più recenti pronunce dell’orientamento favorevole all’ammissibilità del ricorso per Cassazione, ossia la sentenza n. 1578/2020 emessa dalla Sezione sesta, unitamente ai riferimenti alla facoltà della Corte di Cassazione di provvedere all’applicazione della pena accessoria con annullamento senza rinvio ai sensi dell’art. 620, lett. l), cod. proc. pen., ciò, per gli Ermellini, conferma che tale disposizione è intesa, nell’indirizzo giurisprudenziale in esame, come lo strumento normativo che consente, prima del passaggio alla fase esecutiva ed alla conseguente esperibilità del rimedio di cui all’art. 183 disp. att. cod. proc. pen., di svolgere una funzione correttiva dell’omissione già esistente ed operante nel giudizio di cognizione e, pertanto, siffatta funzione, o per meglio dire la sua sussistenza nella fase della cognizione fino al giudizio di legittimità, logicamente presupposta dalla possibilità di esercitarla anche nella fase dell’esecuzione, è sostanzialmente individuata come il reale fondamento della facoltà del pubblico ministero di proporre il ricorso per Cassazione in materia.
Precisato ciò, i giudici di piazza Cavour ritenevano altresì come tale ricostruzione sia logicamente rafforzata dalla considerazione, pure svolta dalla giurisprudenza di legittimità, per la quale la proponibilità della richiesta al giudice dell’esecuzione è limitata dall’art. 183 disp. att. cod. proc. pen. ai casi nei quali la pena accessoria omessa consegue di diritto alla condanna e ne sono predeterminate la specie e la durata, trattandosi di condizioni evidentemente ritenute dal legislatore necessarie per l’intervento in fase esecutiva, in quanto comportano l’insussistenza di alcuna valutazione discrezionale sull’applicabilità e la commisurazione della pena accessoria ma, tuttavia, la presenza di queste limitazioni dell’accesso al giudice dell’esecuzione, sempre ad avviso del Supremo Consesso, rende coerente la conclusione nei termini dell’esistenza di una ampia e completa facoltà di intervento riparatorio nella precedente fase della cognizione, nella quale è compresa la possibilità di far rilevare l’omissione, sfuggita al giudizio di merito, con il ricorso per Cassazione.
In altri termini, la previsione della possibilità di disporre l’applicazione della pena accessoria omessa con il procedimento di esecuzione, indicata quale dato di diritto positivo che dovrebbe sostenere l’orientamento contrario all’ammissibilità del ricorso per Cassazione nella fattispecie in esame, si rivela come il principale argomento che milita per la soluzione opposta così come, per la stessa sede esecutiva alla quale l’art. 183 disp. att. cod. proc. pen. riserva l’esperibilità di tale rimedio, oltre che per i limiti nei quali la stessa è consentita dalla norma citata, la richiesta al giudice dell’esecuzione manifesta la sua inidoneità ad esaurire l’ambito tassativo dei mezzi di impugnazione con i quali l’omissione può essere rilevata mentre tale delimitazione, nella fase procedimentale e nei casi di operatività, definisce invece detta richiesta come strumento con il quale la particolare disposizione attuativa rende proponibile la questione “anche“, ma non “esclusivamente” in sede esecutiva, prolungando anzi eccezionalmente a quest’ultima sede, a determinate condizioni, una possibilità di rimediare all’omissione nell’applicazione della pena accessoria che trova la sua naturale collocazione, in primo luogo, nel giudizio di cognizione.
Ebbene, per le Sezioni unite, le considerazioni sin qui esposte delineano complessivamente una visione sistematica nella quale il rimedio all’omessa applicazione della pena accessoria è innanzitutto quello fornito dalle ordinarie impugnazioni praticabili nel giudizio di cognizione, fino al ricorso per Cassazione fermo restando che, qualora la sentenza di condanna divenga definitiva senza che la pena accessoria sia stata disposta, il sistema consente tuttavia di intervenire sull’omissione anche nella fase esecutiva, purché ricorrano le condizioni che rendono tale intervento compatibile con detta fase, con riguardo all’automaticità della pena accessoria ed alla predeterminazione della sua specie e della sua durata in conseguenza della condanna.
Ad ogni modo, per la Corte di legittimità, contrariamente a quanto sostenuto dal primo dei due orientamenti in conflitto, questa possibilità non preclude il ricorso per Cassazione sul punto dal momento che i due rimedi sono anzi complementari, nelle diverse e successive fasi nelle quali si collocano, nel garantire la più ampia opportunità che la pena accessoria, prevista dalla legge, sia effettivamente applicata ove ne sussistano i presupposti.
In effetti, per gli Ermellini, tale obiettivo risponde indubbiamente alla necessità di assicurare la piena realizzazione del contributo alla funzione di individualizzazione del trattamento sanzionatorio, riconosciuto alla pena accessoria dalla Corte costituzionale (Corte cost., sent. n. 222 del 2018), con riguardo alla commisurazione non rigida della durata delle pene accessorie previste dalla legge fallimentare, mentre, dal punto di vista applicativo, il sistema in tal modo configurato è conforme ai principi individuati dalle Sezioni Unite in tema di eseguibilità, in caso di annullamento parziale della sentenza di condanna impugnata con ricorso per Cassazione, delle disposizioni sanzionatorie della sentenza relative a capi divenuti irrevocabili e non essenzialmente connessi con quelli oggetto dell’annullamento (Sez. U, n. 3423 del 29/10/2020), venendo in rilievo a questo proposito, in particolare, quanto osservato nella decisione appena menzionata sulle caratteristiche di eseguibilità della pena accessoria, quale effetto penale della sentenza di condanna, in qualsiasi momento successivo alla formazione del giudicato, fermo restando che rilevano, altresì, le osservazioni formulate in sede di legittimità sull’ininfluenza della pena accessoria rispetto all’esecuzione della pena principale, rimarcata dal non essere la prima soggetta alla prescrizione, e sulla mancanza di alcun profilo di interferenza, con l’esecuzione della pena principale, delle modalità esecutive della pena accessoria, che trovano il loro specifico statuto nella disciplina dettata dall’art. 662 cod. proc. pen..
Di conseguenza, per le Sezioni unite, nell’ambito di questa cornice sistematica, la risposta al quesito sull’ammissibilità del ricorso per Cassazione, al fine di far rilevare in sede di legittimità l’omessa applicazione di una pena accessoria, non può che essere positiva.
Detto questo, la completa definizione del quadro degli strumenti processuali, previsti per integrare la lacuna nella disposizione della pena accessoria derivante dalla sentenza di condanna, richiede, per la Suprema Corte, alcune ulteriori precisazioni in ordine alle modalità esecutive degli stessi.
Con riguardo, in primo luogo, al ricorso per Cassazione, i giudici di legittimità ordinaria facevano presente come tali precisazioni siano rese necessarie dalla circostanza per la quale parte dell’orientamento favorevole a tale ammissibilità individua la norma applicativa del conseguente intervento della Corte di Cassazione nell’art. 619, comma 2, cod. proc. pen. posto che tale norma, nel prevedere la procedura di rettificazione, in sede di legittimità, delle statuizioni sanzionatorie oggetto del ricorso, dispone che «quando nella sentenza si deve soltanto rettificare la specie o la quantità della pena per errore di denominazione o di computo, la Corte di cassazione vi provvede senza pronunciare annullamento».
Chiarito ciò, la Corte di legittimità stimava necessario, a questo punto della disamina, una volta verificata l’ammissibilità del ricorso per Cassazione in tema di omessa applicazione della pena accessoria, stabilire se lo strumento normativo di intervento della Corte di legittimità, in accoglimento del ricorso, sia l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, previsto dall’art. 620 lett. l) cod. proc. pen., ovvero la rettificazione di cui all’art. 619, comma 2, cod, proc. pen., rilevandosi al contempo come sia necessario, a tal proposito, affrontare la questione della effettiva applicabilità della seconda norma al caso di specie e, quindi, della sussumibilità, o meno, nelle ipotesi normative di rettificazione pocanzi enunciate, della fattispecie concreta in cui la pena accessoria, prevista dalla legge quale effetto penale della condanna, non sia disposta.
Premesso ciò, per la Cassazione, si evidenziava che già alla immediata lettura, il testo dell’art. 619, comma 2, cod. proc. pen., appare essere descrittivo di situazioni che non comprendono la fattispecie in esame.
Presupposto della norma, innanzitutto, infatti, è la necessità di rettificare la specie o la quantità della pena, ma non di questo si tratta nel caso in cui una sanzione autonoma, quale la pena accessoria, sia totalmente assente nella disposizione di condanna, e non sia semplicemente indicata in termini o in misura difformi dalla previsione legislativa.
Ma, oltre a questo, gli Ermellini notavano come la norma attribuisca a tale presupposto una precisa qualificazione: l’essere, cioè, la difformità nella specie o nella quantità della pena dovuta ad un errore di denominazione o di computo e questa qualificazione delimita non solo l’origine eziologica della difformità, ma anche la sua natura nel senso che il requisito applicativo della rettificazione è complessivamente definito, in sostanza, nei limiti di un mero errore materiale, terminologico quanto al nomen juris della sanzione, ovvero aritmetico nella determinazione della stessa.
Il caso dell’omessa applicazione della pena accessoria, invece, esorbita chiaramente da questi limiti, costituendo esso, in realtà, un vero e proprio vizio della sentenza di condanna, che ne risulta privata di una sua disposizione necessaria per legge e, quindi, in quanto tale, lo stesso non è emendabile con una procedura di rettificazione che, nella stessa dizione normativa, si pone come alternativa al normale esito dell’accertamento di un vizio, ossia l’annullamento della sentenza impugnata, proprio in quanto destinata a rimediare a quelli che si presentano invece come meri errori materiali.
Del resto, evidenziavano sempre le Sezioni unite nella pronuncia qui in commento, la giurisprudenza di legittimità ha assunto questa posizione ermeneutica.
In particolare, con specifico riguardo all’art. 619 cod. proc. pen., le Sezioni Unite hanno infatti individuato la ratio della norma nell’esigenza di evitare l’annullamento della decisione impugnata in tutte le occasioni nelle quali si possa rimediare a errori o cadute di attenzione del giudice a quo lasciando inalterato il contenuto decisorio essenziale della sentenza impugnata (Sez. U, n. 9973 del 24/06/1998), oltre ad essere stato sottolineato in altre decisioni che la norma in esame, nel prevedere la rettificazione nel giudizio di legittimità, costituisce disposizione speciale e derogatoria della più generale disciplina della correzione di errori materiali dettata dall’art. 130 cod. proc. pen., nella parte in cui consente alla Corte di Cassazione di procedere direttamente alla correzione anche in presenza della condizione ostativa posta dall’art. 130 cod. proc. pen. nel precludere tale facoltà al giudice competente a conoscere dell’impugnazione, ove la stessa sia dichiarata inammissibile (Sez. 3, n. 30286 del 09/03/2022; Sez. 3, n. 19627 del 04/03/2003; Sez. 1, n. 2149 del 27/11/1998).
A prescindere da quest’ultimo aspetto, l’art. 619 cod. proc. pen., per la Corte, riprende pertanto dall’art. 130 cod. proc. pen. il fondamento definitorio dell’errore che giustifica la mera correzione in luogo dell’annullamento fermo restando che questi tratti fondamentali sono stati nitidamente delineati, ancora dalle Sezioni unite, nella definizione dell’errore correggibile quale divergenza evidente e casuale fra la volontà del giudice e il correttivo mezzo di espressione, della quale costituiscono manifestazioni tipiche l’errore linguistico e quello immediatamente rilevabile dal contesto interno della sentenza (Sez. U, n. 7945 del 31/01/2008).
Ciò posto, si denotava oltre tutto che, se il limite dell’errore rilevabile con la procedura di correzione e, nel giudizio di legittimità, di rettificazione, rispetto al vizio che impone viceversa l’annullamento della sentenza impugnata, viene ad esserne ricostruito, in negativo, nell’ininfluenza sul contenuto decisorio della sentenza impugnata e, in positivo, nell’evidente divergenza fra il dato testuale e l’effettiva volontà del decidente, entrambe queste condizioni risultano invece assenti nel caso dell’omessa applicazione della pena accessoria atteso che tale omissione incide, per un verso, sul contenuto decisorio della sentenza, rendendola carente di una disposizione necessaria, per altro verso, non è immediatamente rilevabile come effetto di una resa testuale difforme dalla volontà del decidente.
Tal che se ne faceva conseguire come l’omissione in esame non sia rimediabile procedendo ai sensi dell’art. 619, comma 2, cod. proc. pen..
Chiarito ciò e, dunque, una volta esclusa la possibilità di considerare l’omissione in esame come un errore materiale correggibile con lo strumento offerto al giudice di legittimità, a questi fini, dal citato art. 619, per la Suprema Corte, non rimane che considerare la stessa come un vizio rimediabile con l’ordinario esito dell’annullamento della sentenza impugnata in accoglimento del ricorso e, di conseguenza, questo esito può assumere la forma dell’annullamento senza rinvio, ove ricorrano i requisiti previsti per tale provvedimento dall’art. 620, lett. l), cod. proc. pen., nell’attuale formulazione introdotta dall’art. 1, comma 67, legge 23 giugno 2017, n. 103, rilevandosi al contempo come tali requisiti siano stati definiti dalle Sezioni unite come sussistenti in tutti i casi nei quali il rinvio sia superfluo, potendo la Corte di cassazione decidere anche con valutazioni discrezionali, purchè condotte sulla base degli elementi di fatto accertati e delle statuizioni adottate dal giudice di merito, e a condizione che non siano necessari ulteriori accertamenti (Sez. U, n. 3464 del 30/11/2017, dep. 2018).
Orbene, per il Supremo Consesso, non vi è dubbio che siffatte condizioni siano ravvisabili ove, come nel caso di specie, la pena accessoria omessa segua di diritto alla condanna e sia predeterminata nella specie e nella durata dato che, in questa fattispecie concreta, la statuizione di condanna, già pronunciata dal giudice di merito, implica l’irrogazione di una determinata pena accessoria per una durata altrettanto determinata, e nessun ulteriore accertamento è necessario e, pertanto, in base a quella statuizione, non può giungersi ad altro risultato che all’applicazione della pena accessoria, annullando senza rinvio la sentenza impugnata nella parte in cui tale applicazione non sia stata disposta mentre diversamente deve concludersi, naturalmente, nelle situazioni in cui l’applicazione della pena accessoria non sia automatica per effetto della sola condanna, o la pena abbia una durata non fissa, ma determinabile in concreto dal giudice visto che, in questi casi, se gli accertamenti e le statuizioni del giudice di merito non consentono di assumere in sede di legittimità determinazioni sull’applicazione della pena accessoria, o sulla quantificazione della sua durata, in base ad una valutazione discrezionale che sia vincolata in senso univoco dal contenuto di tali accertamenti e statuizioni, l’annullamento della sentenza impugnata non potrà che essere pronunciato con rinvio, affidando al giudice a quo tali determinazioni.
Chiarito anche tale profilo interpretativo, venendo ad esaminare il procedimento di esecuzione, esperibile ai sensi dell’art. 183 disp. att. cod. proc. pen. dopo il passaggio in giudicato della sentenza di condanna priva della disposizione della pena accessoria, le Sezioni unite stimavano opportuno precisare quale fosse lo strumento procedurale con il quale il giudice dell’esecuzione può provvedere sul punto poiché, anche per questa fase processuale, se una parte della giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che in tal caso il giudice dell’esecuzione possa valersi della procedura della correzione di errore materiale ai sensi dell’art. 130 cod. proc. pen. (Sez. 1, n. 23661 del 29/04/2014; Sez. 1, n. 43085 del 17/10/2012), tale orientamento è stato tuttavia superato dalle Sezioni unite, riconducendo l’intervento in materia alle competenze specificamente attribuite al giudice dell’esecuzione dall’art. 676, comma 1, cod. proc. pen. con l’esplicito riferimento, fra le stesse, alla facoltà di decidere «in ordine alle pene accessorie» (Sez. U, n. 6240 del 27/11/2014) fermo restando che questa conclusione, successivamente riproposta nell’ambito dell’indirizzo tendente a ravvisare nel procedimento di esecuzione l’unico rimedio consentito all’omessa applicazione della pena accessoria (Sez. 5, n. 47604 del 28/10/2019), è stata recentemente ribadita — con riguardo all’omessa disposizione della sanzione amministrativa accessoria della revoca dell’indennità di disoccupazione e della pensione sociale o di indennità civile — sottolineando che la richiamata previsione dell’art. 676 cod. proc. pen. individua il procedimento di esecuzione come esclusivo mezzo di esercizio del potere di applicare la pena accessoria nella fase successiva al giudicato, escludendo di contro la possibilità di ricorrere in quella fase alla procedura di correzione dell’errore materiale (Sez. 1, n. 3627 del 11/01/2022).
Ebbene, per le Sezioni unite, tale principio doveva essere ribadito.
Si osservava a tal proposito in via preliminare che l’ammissibilità del ricorso in sede esecutiva alla procedura di cui all’art. 130 cod. proc. pen., nel caso di specie, è stata sostenuta da decisioni che, oltre ad essere state pronunciate prima del citato arresto delle Sezioni Unite, si limitavano ad una generica asserzione in tal senso, al più accompagnata da un riferimento all’art. 183 disp. att. cod. proc. pen.; disposizione, quest’ultima, il cui contenuto si limita a consentire la richiesta al giudice dell’esecuzione di applicare la pena accessoria omessa, ma nulla dice in ordine alle forme procedurali da adottare.
Con riguardo a tali forme, secondo le pertinenti osservazioni formulate nella sentenza n. 3627/2022 (emessa dalla Sezione prima), non vi è dubbio, per la Corte di legittimità, che, se è vero il giudice dell’esecuzione possa adottare, eventualmente ex officio, lo schema procedimentale dell’art. 130 cod. proc. pen., ove si tratti di correggere l’errore materiale contenuto in un provvedimento da lui emesso in tale qualità, è altrettanto indiscutibile che l’errore contenuto nella sentenza della cui esecuzione si tratta, una volta che la stessa sia passata in giudicato, non è più suscettibile di correzione da parte del giudice della cognizione, poiché la competenza funzionale a provvedervi spetta a quel punto al giudice dell’esecuzione il quale, a sua volta, esercita le sue attribuzioni unicamente attraverso lo strumento del procedimento di esecuzione disciplinato dall’art. 666 cod. proc. pen., che deve essere preceduto da una richiesta di parte; procedimento nell’oggetto del quale si colloca, fra le altre, la materia delle pene accessorie, in forza dell’espresso richiamo alla stessa, contenuto nell’art. 676 cod. proc. pen., fra le competenze del giudice di esecuzione che detta norma aggiunge a quelle singolarmente menzionate nei precedenti articoli.
Le Sezioni unite, di conseguenza, alla luce delle argomentazioni sin qui esposte, enunciava i seguenti principi di diritto: “La sentenza che abbia omesso di applicare una pena accessoria è ricorribile per cassazione per violazione di legge da parte sia del Procuratore della Repubblica che del Procuratore generale a norma dell’art. 608 cod. proc. pen. La Corte di cassazione, ove rilevi l’illegittima applicazione di pena accessoria predeterminata nella durata, pronuncia l’annullamento senza rinvio ex art. 620 lett. l) della sentenza impugnata. Resta impregiudicato il potere del pubblico ministero, una volta passata in giudicato la sentenza, di attivare, a norma degli artt. 662 e 183 disp. att. cod. proc. pen., nei casi di pena accessoria predeterminata nella durata, il procedimento di esecuzione, da tenersi nelle forme dell’art. 676 cod. proc. pen., non trovando applicazione l’art. 130 cod. proc. pen.”.

4. Conclusioni

Con la decisione in esame, le Sezioni unite, componendo un pregresso contrasto giurisprudenziale, sono intervenute ad affrontare la seguente questione: se il pubblico ministero possa ricorrere per Cassazione avverso la sentenza che, all’esito di giudizio ordinario, abbia omesso l’applicazione di una pena accessoria, ovvero debba investire il giudice dell’esecuzione ai sensi dell’art. 676 cod. proc. pen..
Difatti, in tal decisione, viene fornita risposta a tale quesito, stabilendosi che la sentenza, che abbia omesso di applicare una pena accessoria, è ricorribile per Cassazione per violazione di legge da parte sia del Procuratore della Repubblica che del Procuratore generale a norma dell’art. 608 cod. proc. pen. fermo restando che la Corte di Cassazione, ove rilevi l’illegittima applicazione di pena accessoria predeterminata nella durata, pronuncia l’annullamento senza rinvio ex art. 620 lett. l), cod. proc. pen. della sentenza impugnata che, come è noto statuisce che, oltre “che nei casi particolarmente previsti dalla legge, la corte pronuncia sentenza di annullamento senza rinvio: (…) se la corte ritiene di poter decidere, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, o di rideterminare la pena sulla base delle statuizioni del giudice di merito o di adottare i provvedimenti necessari, e in ogni altro caso in cui ritiene superfluo il rinvio”.
Ad ogni modo, alla luce di un altro principio di diritto sempre formulato dalle Sezioni unite nel caso di specie, resta comunque impregiudicato il potere del pubblico ministero, una volta passata in giudicato la sentenza, di attivare, a norma degli artt. 662 e 183 disp. att. cod. proc. pen., nei casi di pena accessoria predeterminata nella durata, il procedimento di esecuzione, da tenersi nelle forme dell’art. 676 cod. proc. pen., non trovando applicazione l’art. 130 cod. proc. pen. che, invece, come è risaputo, regolamenta la procedura avente ad oggetto la correzione di errori materiali.
Tale provvedimento, quindi, chiarisce in sostanza che: 1) la sentenza, che abbia omesso di applicare una pena accessoria, è ricorribile per Cassazione per violazione di legge, sia da parte del Procuratore della Repubblica, che del Procuratore generale; 2) la Cassazione, avverso una sentenza di questo genere, ove rilevi l’illegittima applicazione di pena accessoria predeterminata nella durata, l’annulla senza rinvio; 3) nel caso in cui una sentenza, connotata da questa omissione, sia divenuta definitiva, la pubblica accusa può comunque esperire il procedimento di esecuzione.
Il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, pertanto, proprio perché fa chiarezza su siffatte tematiche procedurali sotto il profilo giurisprudenziale, non può che essere che positivo.

FORMATO CARTACEO

Compendio di Procedura penale

Il presente testo affronta in modo completo e approfondito la disciplina del processo penale, permettendo uno studio organico e sistematico della materia. L’opera è aggiornata alla L. n. 7 del 2020 di riforma della disciplina delle intercettazioni, al D.L. n. 28 del 2020 in tema di processo penale da remoto, ordinamento penitenziario e tracciamento di contatti e contagi da Covid-19 e alla più recente giurisprudenza costituzionale e di legittimità.   Giorgio SpangherProfessore emerito di procedura penale presso l’Università di Roma “La Sapienza”.Marco ZincaniAvvocato patrocinatore in Cassazione, presidente e fondatore di Formazione Giuridica, scuola d’eccellenza nella preparazione all’esame forense presente su tutto il territorio nazionale. Docente e formatore in venti città italiane, Ph.D., autore di oltre quattrocento contributi diretti alla preparazione dell’Esame di Stato. È l’ideatore del sito wikilaw.it e del gestionale Desiderio, il più evoluto sistema di formazione a distanza per esami e concorsi pubblici. È Autore della collana Esame Forense.

Marco Zincani, Giorgio Spangher | Maggioli Editore 2021

  1. [1]

    Ai sensi del quale: “1. Il giudice dell’esecuzione è competente a decidere in ordine all’estinzione del reato dopo la condanna, all’estinzione della pena quando la stessa non consegue alla liberazione condizionale o all’affidamento in prova al servizio sociale, in ordine alle pene accessorie, alla confisca o alla restituzione delle cose sequestrate. In questi casi il giudice dell’esecuzione procede a norma dell’articolo 667 comma 4. 2. Qualora sorga controversia sulla proprietà delle cose confiscate, si applica la disposizione dell’articolo 263 comma 3. 3. Quando accerta l’estinzione del reato o della pena, il giudice dell’esecuzione la dichiara anche di ufficio adottando i provvedimenti conseguenti”.

  2. [2]

    Secondo cui: “Salvo quanto previsto dagli articoli 443, comma 3, 448, comma 2, 579 e 680, l’imputato può appellare contro le sentenze di condanna mentre il pubblico ministero può appellare contro le medesime sentenze solo quando modificano il titolo del reato o escludono la sussistenza di una circostanza aggravante ad effetto speciale o stabiliscono una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato”.

  3. [3]

    Alla stregua del quale: “Il procuratore generale presso la corte di appello può ricorrere per cassazione contro ogni sentenza di condanna o di proscioglimento pronunciata in grado di appello o inappellabile”.

  4. [4]

    Per cui: “Il procuratore della Repubblica presso il tribunale e il procuratore generale presso la corte di appello possono proporre impugnazione, nei casi stabiliti dalla legge, quali che siano state le conclusioni del rappresentante del pubblico ministero. Salvo quanto previsto dall’articolo 593-bis, comma 2, il procuratore generale può proporre impugnazione nonostante l’impugnazione o l’acquiescenza del pubblico ministero presso il giudice che ha emesso il provvedimento”.

  5. [5]

    Secondo il quale: “1. Nei casi consentiti, contro le sentenze del giudice per le indagini preliminari, della corte d’assise e del tribunale può appellare il procuratore della Repubblica presso il tribunale. 2. Il procuratore generale presso la corte d’appello può appellare soltanto nei casi di avocazione o qualora il procuratore della Repubblica abbia prestato acquiescenza al provvedimento”.

Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio