L’ambito di applicazione della pena accessoria ex art. 34, 2 comma, c.p.

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La sospensione della responsabilità genitoriale.

L’art. 34 c.p. commina una pena accessoria peculiare avente ad oggetto la responsabilità genitoriale, ossia il potere-dovere dei genitori ben definito dalla disciplina privatistica, che viene sottratta, definitivamente o per un dato lasso temporale, al genitore che abbia commesso gravi reati.

Dal momento che con il termine decadenza si indica un provvedimento che perdura fino alla maggiore età del figlio e che importa la privazione di ogni diritto patrimoniale che spetti al genitore sui beni del minore, il primo comma dell’articolo in commento richiede che l’ambito di applicazione di tale pena accessoria sia specificatamente individuato dal legislatore. Di contro, quando al secondo comma il testo normativo prende in considerazione la sospensione, ossia quel provvedimento temporaneo che viene meno nel caso in cui manchino i presupposti che ne hanno permesso l’applicazione o sia trascorso il lasso di tempo richiesto, si fa un generico riferimento al concetto di abuso di responsabilità genitoriale.

Occorre allora definire quali fattispecie di reato rientrano nell’ambito di applicazione di questa misura accessoria. In primo luogo, è necessario definire quando si possa configurare un abuso. Richiamando alla memoria i doveri genitoriali stabiliti dalla disciplina privatistica, in combinato disposto con le norme di diritto internazionale che sanciscono particolari diritti dei minori, il genitore deve primariamente consentire al minore di crescere in un ambiente familiare equilibrato che non comprometta la sua integrità psicofisica e che tenga in debito conto le sue capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni. Dunque, riprendendo la definizione di abuso richiamata in dottrina con riferimento all’art. 330 c.c., si può affermare che esso si configura ogniqualvolta vi sia inosservanza o violazione delle disposizioni prima richiamate. È fondamentale, ovviamente, che esso causi un danno psicofisico al minore.

Definito il concetto di abuso, è opportuno chiarire il contenuto del provvedimento di sospensione della responsabilità genitoriale. Quest’ultimo comporta l’incapacità di esercitare, per tempo di applicazione della misura, qualunque diritto spettante sui beni del figlio, ma non importa una riduzione dei doveri in capo al genitore. La sua durata è pari al doppio di quella della pena principale.

La sospensione della responsabilità genitoriale discende automaticamente in caso di reato commesso con abuso della stessa ed è discrezionale qualora la condanna alla reclusione sia inferiore ai 5 anni. Un richiamo a tale misura è fatto anche nel codice civile laddove si afferma che, in caso di condotta del genitore pregiudizievole ai figli, il giudice può adottare i provvedimenti ritenuti necessari secondo le circostanze. La ratio della norma, infatti, trascende le formali distinzioni tra diritto penale e diritto civile richiedendo uno sforzo generale per tutelare la crescita di soggetti vulnerabili.

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La violenza assistita.

Sussiste, nell’ordinamento, un generale interesse dello Stato alla salvaguardia della famiglia da comportamenti vessatori e violenti nonché alla tutela dell’incolumità psicofisica dei soggetti legati da vincoli familiari. Proprio alla luce di ciò, una recente pronuncia della Corte di Cassazione, la n. 34504 del 3.12.2020, ha chiarito che la misura della sospensione della responsabilità genitoriale è applicabile anche nel caso in cui il reato di maltrattamenti in famiglia sia stato commesso solo nei confronti dell’altro genitore. All’esito dell’istruttoria era emerso, infatti, che, sebbene le condotte violente si fossero manifestate solo nei confronti del coniuge, i figli avevano più volte assistito ai maltrattamenti ed erano finanche intervenuti per evitare più tragici epiloghi.

Si configura in tali simili circostanze, secondo il Supremo Collegio, un’ipotesi di violenza assistita per come definita per la prima volta nel 1999 dal CISMAI (Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l’abuso all’Infanzia), ossia “il fare esperienza da parte del bambino di qualsiasi forma di maltrattamento, compiuto attraverso atti di violenza fisica, verbale, psicologica, sessuale ed economica, su figure di riferimento o su altre figure affettivamente significative adulte e minori”. Si può concludere, dunque, che il reato di maltrattamenti in famiglia è commesso anche nei confronti dei figli tutte le volte in cui i medesimi siano spettatori, consapevoli o meno, dell’episodio di violenza.

L’applicazione della misura ex art. 34, 2 comma, c.p.

L’istaurazione di un modello comportamentale negativo, quale l’abituale maltrattamento ai danni del coniuge, idoneo a condizionare pregiudizievolmente la vita dei figli rappresenta motivo sufficiente per l’applicazione della pena accessoria ex art. 34, 2 comma, c.p.

Invero, configurano ipotesi di abuso della responsabilità genitoriale non solo le condotte di reato direttamente rivolte contro i figli minori, ma anche quelle che li coinvolgono indirettamente, come nell’ipotesi in cui i medesimi siano costretti ad assistere ad una violenza e sopraffazione nei confronti dell’altro genitore. Tali episodi sono senza dubbio destinati ad avere inevitabilmente conseguenze sulla loro crescita ed evoluzione psicofisica, segnandone il carattere e la memoria. In definitiva, si ha violazione dei doveri genitoriali anche quando la violenza assistita sia configurata come aggravante di un reato commesso nei confronti del coniuge.

Tale ampliamento dell’ambito di applicazione della pena accessoria ex art. 34, 2 comma, c.p. richiede, tuttavia, di porre particolare attenzione alla peculiarità della stessa. Infatti, incidendo negativamente sulle relazioni familiari, non colpisce solo il reo, ma anche il figlio, che diviene immediatamente co-protagonista della vicenda. Come tutte le decisioni che hanno il potere di stravolgere la vita di un minore, il giudice è chiamato ad un attento bilanciamento tra il suo diritto a mantenere effettive relazioni con tutti i membri della famiglia, a crescere all’interno di essa nonché ad essere educato ed allevato da entrambi i genitori e l’interesse dello Stato alla salvaguardia dell’integrità psicofisica del minore e dei componenti della famiglia. A ragione di ciò, come evidenziato anche dalla Convenzione sui diritti del fanciullo, il rapporto genitore-figlio deve venire meno tutte le volte in cui, analizzate a fondo le circostanze del caso di specie, emerga che lo stesso sia pregiudizievole per il minore.

Preme all’uopo rammentare, come già accennato sopra, che vi sono delle fattispecie di reato che prevedono l’automatica sospensione dalla responsabilità genitoriale per il colpevole, senza che il giudice possa discrezionalmente decidere per la sua applicazione. Al fine di permettere un pieno contemperamento dei vari interessi coinvolti di volta in volta nelle circostanze fattuali che caratterizzano le diverse vicende, è stata sollevata questione di legittimità dell’art. 574-bis, 3 comma, c.p. nella parte in cui prevede che la condanna comporta l’automatica sospensione della responsabilità genitoriale. La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 102 del 29.05.2020, ha dichiarato illegittima la norma nella parte in cui imponeva l’automatica applicazione della pena accessoria, invece che semplicemente consentire al giudice di comminarla nei soli casi in cui la sospensione non pregiudica il preminente interesse del minore. Infatti, l’automatismo nell’an della pena accessoria della sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale sarebbe in contrasto con il principio di proporzionalità della pena desumibile dagli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. nonché con il principio della preminenza degli interessi del minore in ogni decisione pubblica che lo riguarda, principio a sua volta ricavabile da una pluralità di parametri costituzionali, e in particolare dagli artt. 2, 3, 30 e 31 Cost., nonché dall’art. 10 Cost., in relazione alla Convenzione sui diritti del fanciullo.

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