Richiesta di misure alternative: necessaria l’elezione di domicilio

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La richiesta di misure alternative alla detenzione è inammissibile quando, contestualmente alla domanda, non sia effettuata la indicazione o elezione di domicilio

    Indice

  1. La questione
  2. La soluzione adottata dalla Cassazione
  3. Conclusioni

(Riferimento normativo: Cod. proc. pen., art. 677, co. 2-bis)

1. La questione

Il Presidente del Tribunale di sorveglianza di Firenze dichiarava inammissibile una istanza formulata dal condannato, tendente a ottenere la concessione dell’affidamento in prova al servizio sociale o della detenzione domiciliare, ovvero della semilibertà, perché manifestamente infondata per difetto delle condizioni di legge, in specie relative al dettato di cui al comma 2-bis dell’art. 677 cod. proc. pen., per non avere il condannato dichiarato o eletto domicilio.

Avverso questo provvedimento proponeva ricorso per Cassazione il difensore del condannato che deduceva violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e) e c) cod. proc. pen. in relazione al disposto di cui all’art. 677 comma 2-bis cod. proc. pen.. 

2. La soluzione adottata dalla Cassazione 

Il ricorso era rigettato.

In particolare, gli Ermellini osservavano prima di tutto come non ricorresse il vizio della violazione di legge, né sotto il profilo della inosservanza (per non avere il giudice a quo applicato una determinata norma in relazione all’operata rappresentazione del fatto corrispondente alla previsione della disposizione, ovvero per averla applicata sul presupposto dell’accertamento di un fatto diverso da quello contemplato dalla fattispecie), né sotto il profilo della erronea applicazione, avendo il giudice a quo esattamente interpretato la norma di cui all’art. 677, comma 2-bis, cod. proc. pen. alla luce dei principi di diritto fissati dalla Cassazione, rientrando, infatti, nell’ambito delle “condizioni di legge” anche l’obbligo imposto dalla norma citata a pena di inammissibilità a carico del condannato non detenuto “di fare la dichiarazione o elezione di domicilio con la domanda con la quale chiede una misura alternativa alla detenzione o altro provvedimento attribuito dalla legge alla magistratura di sorveglianza”.

Oltre a ciò, era altresì fatto presente come la tassatività di detto adempimento, discendente dal chiaro dettato normativo, sia stata affermata dalla pronuncia n. 18775 del 17/12/2009, così massimata: “la richiesta di misura alternativa alla detenzione, ai sensi dell’art. 656, comma sesto, cod. proc. pen., deve essere corredata, a pena di inammissibilità, anche se presentata dal difensore, dalla dichiarazione o dalla elezione di domicilio effettuata dal condannato non detenuto. (In motivazione la Corte ha chiarito che il principio non trova applicazione per il condannato latitante o irreperibile)”.


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Ciò posto, si evidenziava per di più come, a tale principio di diritto, la giurisprudenza di legittimità abbia dato continuità con altre pronunce, tra cui si segnalava la sentenza di questa stessa sezione n. 30779 del 13/01/2016, pur a fronte del diverso orientamento di cui alla sentenza del 12/02/2013, n. 20479 (richiamata dal ricorrente) il quale, però, ad avviso del Supremo Consesso, non si era confrontato con la precedente decisione delle Sezioni Unite.

Chiarito questo aspetto di ordine prettamente giuridico, gli Ermellini rilevano oltre tutto come nessuna contraddittorietà fosse ravvisabile nel testo del provvedimento impugnato per avere affermato che il condannato non aveva effettuato alcuna elezione di domicilio nell’avanzare la propria richiesta di concessione di misure alternative e, nel contempo, che lo stesso aveva eletto domicilio presso lo studio del difensore di fiducia in quanto, come osservato anche dal Procuratore generale nella propria requisitoria, dal testo dell’istanza emergeva come essa non contenesse alcuna indicazione del domicilio e la dizione contenuta nella prima parte del decreto di inammissibilità in cui si affermava che il condannato era elettivamente domiciliato presso l’avvocato, riguardando ciò un dato tratto dalla sentenza di cognizione (espressamente citata), del tutto irrilevante nel procedimento di sorveglianza visto che, secondo la giurisprudenza della Cassazione, “in forza del disposto dell’art. 677, comma secondo bis, cod. proc. pen., la richiesta di misure alternative alla detenzione è inammissibile quando, contestualmente alla domanda, non sia effettuata la indicazione o elezione di domicilio. È pertanto irrilevante, ai fini dell’osservanza della norma citata, la precedente dichiarazione o elezione di domicilio fatta nel procedimento di cognizione” (Cass. Sez. 1, n. 46265 del 23/10/2007).

3. Conclusioni

La decisione in esame desta un certo interesse essendo ivi chiarito che la richiesta di misure alternative alla detenzione è inammissibile quando, contestualmente alla domanda, non sia effettuata la indicazione o elezione di domicilio.

Difatti, fermo restando che l’art. 677, co. 2-bis, primo periodo, cod. proc. pen., come è noto, stabilisce che il “condannato, non detenuto, ha l’obbligo, a pena di inammissibilità, di fare la dichiarazione o l’elezione di domicilio con la domanda con la quale chiede una misura alternativa alla detenzione o altro provvedimento attribuito dalla legge alla magistratura di sorveglianza”, si precisa in tale pronuncia, sulla scorta di un precedente conforme, che la richiesta di misure alternative alla detenzione è inammissibile quando, contestualmente alla domanda, non sia effettuata la indicazione o elezione di domicilio, essendo pertanto irrilevante, ai fini dell’osservanza della norma citata, la precedente dichiarazione o elezione di domicilio fatta nel procedimento di cognizione.

E’ dunque sconsigliabile per il legale, perlomeno alla luce di siffatto approdo ermeneutico, non fare eleggere domicilio al proprio assistito, condannato non detenuto, ove costui voglia chiedere una misura alternativa alla detenzione, solo perché vi sia stata una antecedente dichiarazione o elezione di domicilio compiuta nel procedimento di cognizione.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su tale tematica procedurale sotto il profilo giurisprudenziale, dunque, non può che essere positivo.

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