Richiesta del detenuto a colloqui intimi: diritto o aspettativa?

La richiesta del detenuto a colloqui intimi con la moglie è un diritto o una mera aspettativa? Commento a sentenza.

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Corte di Cassazione -sez. I pen.- sentenza n. 8 dell’11-12-2024

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Indice

1. La questione: la richiesta di un detenuto ad avere colloqui intimi con la moglie: diritto o mera aspettativa?


L’Ufficio di sorveglianza di Torino dichiarava inammissibile un’impugnazione proposta avverso un provvedimento con cui la casa di reclusione di Asti aveva negato ad un detenuto un colloquio in intimità con la propria moglie, con la motivazione che la struttura non lo consentiva.
Ciò posto, avverso questa decisione proponeva ricorso per Cassazione il difensore, il quale deduceva violazione di legge e vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen..
In particolare, premessa una valutazione circa la ricorribilità in cassazione del provvedimento, ai sensi dell’art. 666, comma 2, cod. proc. pen., in quanto emesso de plano, il ricorrente richiamava il contenuto della sentenza della Corte Costituzionale n. 10/2024, che aveva ritenuto illegittima l’omessa previsione della possibilità di svolgere colloqui con la persona convivente senza il controllo a vista del personale di custodia, se non ostano ragioni di sicurezza, ovvero di ordine e disciplina.
Più nel dettaglio, tale pronuncia evidenziava che codesti colloqui non costituiscono una mera aspettativa, bensì un vero diritto per il detenuto, la cui fruizione può essere negata solo per ragioni attinenti la sua condotta.
La struttura carceraria, pertanto, per la difesa, appariva essere tenuta, secondo detta sentenza, ad adoperarsi per rendere possibile l’esercizio di tale diritto, e solo nei confronti di tale attività il diritto del detenuto può degradare ad interesse legittimo, ma mai ad una mera aspettativa.
Tal che se ne faceva discendere come il magistrato di sorveglianza, in applicazione dell’art. 69, comma 6, lett. b), Ord. pen., avrebbe dovuto ordinare all’Amministrazione penitenziaria di porre rimedio a detta situazione, entro un termine preciso, dal momento che dalla sua inerzia derivava al detenuto un attuale e grave pregiudizio all’esercizio di un suo diritto.
Oltre a ciò, sempre ad avviso dell’impugnante, il provvedimento era illegittimo anche perché motivava il diniego all’esercizio del diritto, di fatto, sulla base non dei comportamenti del detenuto, ma di situazioni a lui estranee. Per un valido supporto per professionisti consigliamo: Codice penale e di procedura penale e norme complementari -Edizione 2024. Aggiornato alla Riforma Nordio e al decreto Svuota Carceri

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2. La soluzione adottata dalla Cassazione


Il Supremo Consesso riteneva il ricorso suesposto fondato.
In particolare, per gli Ermellini, non era corretta l’affermazione decisoria, contenuta nel provvedimento impugnato, secondo cui la richiesta del detenuto avrebbe rappresentato una mera «aspettativa» e non un diritto, per cui lo stesso strumento del reclamo giurisdizionale da lui adottato sarebbe stato errato.
Invero, i giudici di piazza Cavour, dopo essersi fatto presente che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 10 emessa il 26 gennaio 2024, ha stabilito l’illegittimità dell’art. 18 Ord. pen. «nella parte in cui non prevede che la persona detenuta possa essere ammessa (…) a svolgere i colloqui con il coniuge, la parte dell’unione civile o la persona con lei stabilmente convivente, senza il controllo a vista del personale di custodia», notavano come il Giudice delle leggi avesse ritenuto, peraltro riprendendo valutazioni già esposte nella precedente sentenza n. 301/2012 di esito contrario, che la libertà di godimento delle relazioni affettive costituisce un diritto costituzionalmente tutelato, diritto che lo stato di detenzione può comprimere quanto alle modalità di esercizio, ma non può totalmente annullare, con una previsione astratta e generalizzata, che non tenga conto delle condizioni individuali del detenuto e delle sue prospettive di risocializzazione, in quanto ciò si tradurrebbe in una lesione della dignità della persona.
Per la Consulta, quindi, l’obbligo di controllo visivo del personale di custodia, durante i colloqui del detenuto, previsto come assoluto e inderogabile, costituisce una compressione sproporzionata e irragionevole della dignità del detenuto e della libertà della persona a questi legata da una stabile relazione affettiva, che risulta limitata, anche per anni, a coltivare detta relazione, pur essendo estranea al reato e alla condanna, facendosene discendere da ciò che l’impossibilità, per il detenuto, di esprimere una normale affettività con il partner, si traduce in un vulnus dei suoi rapporti familiari e in un pregiudizio nelle relazioni nelle quali si svolge la sua personalità che, se non giustificato da ragioni di sicurezza o di mantenimento dell’ordine e della disciplina, ovvero dalla pericolosità sociale del detenuto o da ragioni giudiziarie per l’imputato, viola gli artt. 27 Cost. e 117 Cost., in relazione all’art. 8 CEDU.
Di conseguenza, ad avviso della Cassazione, alla luce delle esplicite valutazioni contenute in questa pronuncia, non poteva ritenersi come la richiesta di poter svolgere colloqui con la propria moglie in condizioni di intimità, avanzata dal detenuto ricorrente, costituisse una mera aspettativa, essendo stato affermato che tali colloqui costituiscono una legittima espressione del diritto all’affettività e alla coltivazione dei rapporti familiari, e possono essere negati, secondo l’esplicito dettato della sentenza citata, solo per «ragioni di sicurezza o esigenze di mantenimento dell’ordine e della disciplina», ovvero per il comportamento non corretto dello stesso detenuto o per ragioni giudiziarie, in caso di soggetto ancora imputato.
Il reclamo proposto dal detenuto ricorrente, pertanto, non era dichiarato inammissibile ma, essendo relativo all’esercizio di un diritto che il detenuto riteneva illegittimamente pregiudicato dal comportamento dell’istituto penitenziario di appartenenza, doveva essere valutato dal magistrato di sorveglianza ai sensi dell’art. 35-bis Ord. pen.
Il provvedimento impugnato, pertanto, era annullato con rinvio al Magistrato di sorveglianza di Torino, perché provveda sul reclamo proposto.

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3. Conclusioni: la richiesta di un detenuto ad avere colloqui intimi con la moglie costituisce un diritto


Con la decisione in esame, la Cassazione, in linea con quanto affermato dalla Corte costituzionale, nella sentenza n. 10 del 26 gennaio 2024, ha ribadito quanto già enunciato dai giudici di legittimità costituzionale, ossia che la richiesta di poter svolgere colloqui con la propria moglie in condizioni di intimità costituisce, non una mera aspettativa (come ritenuto dal giudice di merito nel caso di specie), ma un diritto, e segnatamente il diritto all’affettività e alla coltivazione dei rapporti familiari.
Orbene, stante le evidenti ricadute applicative, che siffatto pronuncia avrà non solo nel caso di specie, ma ogni volta verranno formulate nel futuro, da parte dei carcerati, richieste di analogo tenore, si pone ovviamente un problema, adombrato anche nella fattispecie in esame ove risulta che una richiesta di questo genere è stata disattesa, non in quanto mera aspettativa, ma per motivi piuttosto logistici (“la struttura non lo consentiva”), di natura prettamente pratica, cioè si devono garantire appositi spazi affinché una domanda di questo tipo possa ricevere un effettivo accoglimento.
Non è quindi peregrino, pur a fronte di siffatto orientamento nomofilattico, ritenere che analoghe istanze continuino a non trovare accoglimento per la semplice ragione che, all’interno delle strutture carcerarie, non vi sono appositi spazi all’interno dei quali possano “aversi” questi colloqui famigliari di natura intima.
Ad avviso dello scrivente, si renderà pertanto necessario un intervento “politico” al fine di reperire le risorse economiche necessarie per mettere in condizioni le strutture detentive di potere avere a disposizioni appositi luoghi ove tali colloqui possano avvenire.
Il riconoscimento “formale” di codesto diritto, difatti, anche se avvenuto da parte della Corte costituzionale, prima, e dalla Cassazione, poi, rimarrà tale, ossia formale, sino a quando non verranno soddisfatte le condizioni per rendere effettivo il suo esercizio.

Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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