Tutela del patrimonio storico-artistico: giustificata restrizione dei servizi

La conservazione del patrimonio storico e artistico nazionale giustifica una restrizione della libera prestazione dei servizi.

La conservazione del patrimonio storico e artistico nazionale giustifica una restrizione della libera prestazione dei servizi. Note a margine della sentenza della Corte di appello di Bologna, 1^ sezione civile, del 10 settembre 2024, nr.1792, estensore Consigliere Annarita Donofrio. Per approfondire consigliamo il volume in materia: Codice dei beni culturali

Indice

1. La sentenza: tutela del patrimonio storico-artistico


La sentenza emarginata in epigrafe si connota per aver offerto un contributo chiaro e preciso, redatto con fulgida prosa, sulla spinosa tematica dell’indebito utilizzo, da parte di un soggetto privato, dell’immagine artistica – nel caso di specie un dipinto – di proprietà di un ente pubblico, riferentesi al ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo.
Il tribunale di Bologna adito in prime cure, condannava la società convenuta dal Ministero al pagamento di una somma per ogni anno di utilizzazione dell’immagine, lamentata dal dicastero culturale quale indebita.
Avverso la sentenza di primo grado la società interponeva gravame adducendo una serie di motivi; tutti oggetto di puntuale disamina da parte dei giudici di appello dell’Emilia Romagna che, nella redazione della sentenza, ad opera del Consigliere Donofrio, ricostruiscono con acume e massima intellegibilità il sistema giuridico in materia. 
In estrema sintesi si eccepiva, dal ricorrente, la nullità della sentenza, giacché la materia sarebbe stata di competenza della sezione specializzata in materia di impresa; si adombrava un insussistente diritto dello Stato all’uso esclusivo del bene immateriale, ritenendo che quest’ultimo andasse identificato con l’effige del dipinto da distinguere dal medesimo, in quanto bene materiale; si chiedeva la censura, in ordine a questioni rituali di matrice prescrizionale, del diritto al risarcimento e di quantificazione del danno.
In disparte tali due ultime questioni, merita sicuramente menzione il provvedimento giurisdizionale in commento, per quanto riguarda la prima e, soprattutto la seconda delle questioni sollevate, in quanto involgente un’area tematica di ben più ampio rilievo e del massimo interesse giuridico e sociale. Per approfondire consigliamo il volume in materia: Codice dei beni culturali

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Codice dei beni culturali

Il Codice dei beni culturali, nella sua nuova edizione, offre un assetto organico e sistematico della normativa che disciplina un fondamentale settore dell’ordinamento giuridico, di particolare importanza per l’Italia, in quanto Paese depositario di una parte ingente del patrimonio culturale mondiale. La normativa di tutela dei beni culturali è ordinata secondo una struttura che riconosce ampio spazio agli strumenti di protezione internazionali (trattati, convenzioni), alle norme dell’Unione europea (trattati, Carta dei diritti fondamentali, diritto derivato) e a quelle nazionali, secondo una prospettiva multilivello e integrata che metodologicamente appare imprescindibile in considerazione del fenomeno della globalizzazione che ha pienamente investito anche la cultura e i beni culturali. Luca Mezzetti Professore ordinario di Diritto Costituzionale presso il Dipartimento di Scienze giuridiche dell’Università di Bologna. Francesca Polacchini Ricercatrice di Diritto Costituzionale presso il Dipartimento di Scienze giuridiche dell’Università di Bologna.

a cura di Luca Mezzetti e Francesca Polacchini | Maggioli Editore 2021

2. Il problema della competenza in materia di indebito utilizzo dell’immagine artistica


La società ricorrente eccepiva innanzi ai giudici del gravame la nullità della sentenza, sul presupposto dell’incompetenza dell’organo giurisdizionale adito, in favore della sezione specializzata in materia di impresa; ciò anche in considerazione del fatto che vi era stata una richiesta di inibitoria incidente sull’uso del marchio registrato.
A fronte di tale prospettazione di deficit di competenza, la relatrice Donofrio sagacemente rileva che il rapporto tra sezioni ordinarie e sezioni specializzate in materia di impresa[1], nella specifica ipotesi in cui entrambe le sezioni si appartengano, come nel caso che ci occupa, al medesimo ufficio giudiziario non attiene alla competenza, bensì rientrando nella mera ripartizione degli affari interni dell’ufficio giurisdizionale adito, laddove rientra nell’ambito della competenza proprio jure la relazione tra la sezione specializzata in materia di impresa e l’ufficio giudiziario, solo ed esclusivamente, allorquando quest’ultimo sia diverso da quello ove è istituita la prima[2].
L’estensore della brillante sentenza che si propone, non ferma qui la propria riflessione. Anche volendo ritenere l’eccezione di nullità della sentenza emessa da giudice monocratico, anziché collegiale, ritualmente proposta dalla società appellante, la redattrice Donofrio evidenzia che oggetto della vertenza sottoposta alle sue cure è il risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, conseguenti alla lesione del diritto all’immagine in conseguenza dell’indebito utilizzo per scopi commerciali di un bene culturale, con richiesta di inibitoria strettamente connessa, <<… ragion per cui si è totalmente al di fuori della competenza della sezione specializzata di impresa, giacché l’amministrazione non ha mai contestato la validità del marchio… >>[3].
La relatrice-estensore della pregevole sentenza qui proposta rappresenta efficacemente che << … al pari del diritto all’immagine della persona disciplinato dall’articolo 10 Codice civile, può sicuramente configurarsi un diritto all’immagine con riferimento ad un bene culturale, in considerazione del suo valore collettivo, che trova il proprio fondamento normativo in un’espressa previsione legislativa, ovvero negli articoli 107 e 108 del decreto legislativo 42 del 2004 quale norma di diretta attuazione dell’articolo 9 della Costituzione … >>[4]
La giurisprudenza di legittimità – rammenta con acume e lungimiranza la redattrice dott.ssa Donofrio – ha inoltre affermato la configurabilità del diritto all’immagine, anche in relazione a soggetti privi di personalità fisica, con conseguente diritto al risarcimento dei danni nel caso di lesione, essendo in presenza di diritti di una persona giuridica o di un ente collettivo che rappresentano l’equivalente dei diritti della persona fisica, aventi fondamenti diretto nella Costituzione e precisamente nella fattispecie della Carta fondamentale inerente ai diritti inviolabili dell’uomo anche nelle formazioni sociali.
Nel caso di specie, evidenzia ancora con pertinenza l’estensore della sentenza, il marchio registrato, attesa la sua descrizione, non ha alcuno specifico riferimento al quadro dedotto in causa al suo autore o al soggetto ritratto, facendosi riferimento a un triduo di colori sicuramente esiguo numericamente e perciò incompatibile con l’importante opera della cui immagine si discute.
Ma è sull’efficacia ricognizione della normativa di riferimento in materia che si apprezza l’elevata qualità della sentenza nr.1792/2024 della 1^ sezione civile della Corte di appello di Bologna.

3. Costituzione e normativa primaria nel quadro delle fonti unionali nella sentenza 1792/24 della 1^ sezione civile della Corte di appello di Bologna


<< … gli articoli 106, 107 e 108 del decreto legislativo 42/2004 sono volti alla tutela dei beni culturali quale patrimonio storico artistico aventi valore identitario per la nazione e come tali destinati a essere fruiti da parte dell’intera collettività in forme volte allo sviluppo della cultura ed alla promozione della conoscenza da parte del pubblico>>[5]. Con la consueta precisione e massima chiarezza espositiva la redattrice della sentenza 1792 in rassegna chiosa da par suo le fattispecie normative del Codice dei beni culturali or ora citate. L’esito dello scrutinio ermeneutico è, nelle felici parole dell’estensore della sentenza, il seguente: << … il divieto di utilizzo dell’immagine di beni culturali senza specifica autorizzazione si ricollega direttamente al principio per cui i beni culturali qualora toccati da dinamiche di mercato perderebbero il loro valore come individuato e ritenuto meritevole di tutela dal legislatore; solo un’autorizzazione amministrativa può rimuovere il limite all’esercizio dell’attività economica del privato previa valutazione tecnico discrezionale della compatibilità dell’uso dell’immagine con la destinazione culturale del bene …>>. Con decisamente encomiabile congruenza e consequenzialità la redattrice Donofrio ne ricava che: << … in mancanza di detta autorizzazione e in spregio alle modalità espresse dall’amministrazione l’uso dell’immagine è illecito e come tale fonte di danno risarcibile ai sensi dell’articolo 2043 Codice civile …>>.
L’assimilazione prospettata dagli appellanti, in ordine alla tutela legale dei beni culturali con quella del diritto d’autore, ovvero delle opere dell’ingegno, sino al punto di parlare della creazione di un nuovo diritto immateriale al di fuori di quelli riconosciuti dalla legge, viene smontata con meticoloso tecnicismo dalla relatrice-redattrice Donofrio in termine di assoluta inconferenza laddove << … non si può ritenere che le due discipline sul diritto d’autore e quella contenuta nel Codice dei beni culturali interferiscano tra loro giacché l’una è volta a garantire la protezione delle opere dell’ingegno di carattere creativo e dei loro autori, mentre l’altra preserva la memoria della comunità nazionale e del suo territorio unitamente alla promozione dello sviluppo della cultura in attuazione dell’articolo 9 della Costituzione … >>
Felicissima l’intuizione della redattrice sulla connotazione del marchio in rapporto al tema della tutela mirante ad evitarne la confondibilità; << … se il marchio è un segno distintivo idoneo a consentire al pubblico dei consumatori di distinguere i prodotti o servizi di un imprenditore da quelli simili di un altro imprenditore la cui disciplina rientra nell’ambito dei meri rapporti commerciali tra privati, la disciplina dettata in materia di beni culturali, trae invece origine, dall’esigenza di protezione pubblica del patrimonio artistico storico e archeologico. … >>.
Con elevata sensibilità giuridica e consolidata empiria giurisdizionale la redattrice Donofrio nella sentenza in rassegna ne deriva la totale infondatezza del preteso contrasto della disciplina legale di cui al decreto legislativo 42/2004 col numero chiuso della proprietà intellettuale industriale, posto che se la normativa in materia di beni culturali è finalizzata alla migliore e più efficiente conservazione e gestione del patrimonio culturale per la pubblica fruizione per la finalità costituzionale dello sviluppo della cultura e della ricerca scientifica, la disciplina in materia di proprietà intellettuale è volta a tutelare i diritti di un’opera dell’ingegno. 

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4. Segue. La disciplina sui beni culturali e l’attuazione dei principi costituzionali


Nel prosieguo del provvedimento giurisdizionale in disamina viene, con la consueta e sempre apprezzabile chiarezza espositiva, operata un’intelligente armonizzazione tra normativa primaria, principi di attuazione costituzionali e giurisprudenza UE. Essa richiederebbe, per la pregevolezza del lavoro, un’autonoma trattazione. Cionondimeno, ai fini del presente scritto, se ne possono riportare in sintesi i fatti salienti e più significativi.
La disciplina dei beni culturali è normazione di diretta attuazione dei principi costituzionali, anche per consolidata giurisprudenza dei giudici di Palazzo della Consulta[6]. Offrendo conto di una approfondita conoscenza del diritto europeo, la redattrice estensore Donofrio rammenta che la Corte di giustizia unionale – da ultimo, il 21 febbraio 1991 – ha chiarito che la conservazione del patrimonio storico e artistico nazionale, possono costituire esigenze imperative che giustificano una restrizione della libera prestazione dei servizi. Ritiene quindi l’estensore totalmente infondata qualsivoglia questione di costituzionalità prospettata dall’appellante, per contrasto normativo primario e costituzionale giacché << … i beni sottoposti a vincolo culturale ricevono dall’ordinamento una tutela pubblicistica in quanto espressione di un’identità collettiva che l’ordinamento intende preservare. … >>.
Focus del punto in trattazione è quello inerente alla distinzione tra bene materiale e bene immateriale prospettata dalla società ricorrente e attributiva del primo al quadro e del secondo alla riproduzione fotografica del ritratto. Così facendo, i vincoli pubblicistici sorgerebbero solo per i beni materiali e non anche per l’immaterialità della riproduzione fotografica del dipinto.
La giudice di seconde cure disattende la tesi prospettata fondando la normativa di riferimento una preventiva e necessaria concessione per la riproduzione dei beni culturali in termini di riproduzione direttamente collegata all’immagine e assumente un ampio significato sostanziantesi, non soltanto nella forma esteriore degli oggetti corporei, ma anche nella forma impressa su un supporto artificiale. Fulgidamente evidenzia il consigliere estensore che la lettera della legge non distingue affatto tra bene culturale, inteso quale bene materiale ovvero immateriale, e che da una lettura sistematica delle norme si desume un generale diritto all’immagine dei beni culturali, garantito tramite il divieto di riproduzione dei medesimi con la previsione di specifiche deroghe nei casi in cui la produzione sia realizzata senza scopo di lucro, in modo da garantire il dovuto bilanciamento tra la libera e pubblica fruibilità del patrimonio culturale e, in ossequio all’articolo 9 Costituzione, l’esigenza di tutela e valorizzazione dello stesso tramite la previsione di limiti pubblicistici come il divieto di riproduzione[7].   

5. Note conclusive


Il pronunciamento giurisdizionale della 1^ sezione della Corte di appello di Bologna – sentenza 1792 del 10 settembre 2024, si noti bene depositata nel medesimo giorno dell’udienza di conclusione – costituisce un momento che possiamo definire di alta giurisprudenza in materia di una tematica così delicata quale quella dei beni culturali e del loro indebito utilizzo da parte dei privati.
Il perseguimento delle finalità ultime individuate dalla normativa di tutela dei beni culturali, non può prescindere dalla tutela della loro immagine; ciò in quanto costituisce fine ultimo della tutela e valorizzazione del patrimonio culturale e la sua pubblica fruizione[8].
Tale ricognizione normativa vuole essere nel tessuto della sentenza in questione anche una rimodulazione propositiva per una corretta esegesi legislativa costituzionalmente e europeisticamente orientata in subjecta materia.

Note


[1] Queste ultime sono subentrate dal 2012 alle sezioni specializzate in materia di proprietà industriale e intellettuale.
[2] In termini si erano pronunciate le sezioni unite della Suprema Corte di cassazione con la sentenza nr.19882 del 23 luglio 2019, di poi seguite dalla 1^ sezione civile della medesima Corte di legittimità in data 12 giugno 2020, con la sentenza nr.11340.
[3] Va senz’altro rimarcato che con avvedutezza la giudice Donofrio evidenzia che la contestazione dell’illecito utilizzo di un’immagine di un personaggio celebre << … non rientra nella competenza delle sezioni specializzate, poiché il diritto all’immagine appartiene al novero dei diritti della personalità ed è specificamente oggetto di tutela sulla base della normativa civilistica e dei relativi fondamenti costituzionali (art.2 Costituzione) … >>.
[4] Nel medesimo senso milita la sentenza costituzionale 194 del 2013 nonché il comma 3-bis dell’articolo 108 del Codice beni culturali, allorquando parla espressamente di immagini di beni culturali legittimamente acquisite, liberamente divulgabili in assenza di scopi di lucro.
[5] Le fattispecie normative citate nel testo costituiscono attuazione dei principi scolpiti nell’articolo 9 della Costituzione repubblicana a mente del quale la repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica, tutela il paesaggio e il patrimonio storico artistico della nazione, tutela l’ambiente la biodiversità egli ecosistemi anche nell’interesse delle future generazioni.
[6] Corte Costituzionale 17 luglio 2013, nr.194 parla espressamente di parametro interposto con riferimento alla normativa in parola, rappresentando che la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale concorrono a preservare la memoria della comunità nazionale e del suo territorio e a promuovere lo sviluppo della cultura.
[7] Non può non rilevarsi il pregio espositivo in punto di diritto curato dall’estensore in termini di massima intelligibilità della pronuncia giudiziaria.
[8] In tali univoci sensi depongono le fattispecie normative di cui agli articoli 3, 1° comma e 6, 1° comma del Codice dei beni culturali.

Prof. Sergio Ricchitelli

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