La Consulta dichiara costituzionalmente illegittimo l’art. 63, co. 3, cod. pen. sulla recidiva semplice: vediamo come. Per supporto ai professionisti, abbiamo preparato uno strumento di agile consultazione, il “Formulario annotato del processo penale 2025”, giunto alla sua V edizione, acquistabile sullo Shop Maggioli e su Amazon.
Indice
1. Il fatto: la procedura con sussistenza di recidiva semplice
Il Tribunale di Firenze stava procedendo nei confronti di persona imputata dei reati di cui all’art. 612, secondo comma, cod. pen., in relazione all’art. 339 cod. pen., e all’art. 4 della legge 18 aprile 1975, n. 110 (Norme integrative della disciplina vigente per il controllo delle armi, delle munizioni e degli esplosivi), per aver minacciato la vittima con l’uso di un coltello e di altro strumento atto a offendere portati, senza giustificato motivo, fuori della propria abitazione.
In particolare, sebbene le indagini svolte avessero consentito l’accertamento del primo reato e dell’aggravante ipotizzata, e la sussistenza peraltro della “recidiva semplice”, come contestata dal pubblico ministero, avendo l’imputato subito una condanna per resistenza a pubblico ufficiale nell’anno 2015 e un’altra nell’anno 2017 per ricettazione, non era però possibile applicare le circostanze attenuanti generiche, in quanto l’imputato non era incensurato, così come costui non aveva risarcito il danno, né aveva mostrato segni di ravvedimento.
Pertanto, in base al disposto dell’art. 63, terzo comma, cod. pen., si sarebbe dovuta prima applicare la circostanza aggravante autonoma di cui all’art. 612, secondo comma, cod. pen. e poi infliggere l’aumento di un terzo per la recidiva ex art. 99, primo comma, cod. pen.. Per supporto ai professionisti, abbiamo preparato uno strumento di agile consultazione, il “Formulario annotato del processo penale 2025”, giunto alla sua V edizione, acquistabile sullo Shop Maggioli e su Amazon.
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2. Le questioni prospettate nell’ordinanza di rimessione: illegittimità costituzionale dell’art. 63, terzo comma, c.p.
Il Tribunale ordinario di Firenze, sezione prima penale, in composizione monocratica, sollevava, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 63, terzo comma, del codice penale, «nella parte in cui non prevede che – quando la recidiva di cui all’art. 99 co. 1 c.p. concorre con una circostanza aggravante per la quale la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato o con una circostanza aggravante ad effetto speciale – si applica soltanto la pena stabilita per la circostanza più grave, ma il giudice può aumentarla».
Nel dettaglio, il Tribunale fiorentino dubitava della legittimità costituzionale di tale disposizione, perché, quando la recidiva “semplice”, circostanza aggravante a effetto comune, concorre con una circostanza aggravante a effetto speciale o autonoma, non sarebbe consentito al giudice di applicare il criterio moderatore previsto dall’art. 63, quarto comma, cod. pen. secondo cui, in caso di concorso tra circostanze a effetto speciale, non si applica il cumulo materiale, ma la pena stabilita per la circostanza più grave aumentata fino a un terzo.
L’esito operativo della norma censurata appariva quindi al giudice a quo contrario ai principi di proporzionalità della pena e di “ragionevolezza-uguaglianza”, espressi dagli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost., come dimostrerebbe il caso in cui si trovassero a concorrere una circostanza autonoma o a effetto speciale e la recidiva “qualificata” (aggravata, pluriaggravata o reiterata), ai sensi degli ulteriori commi dell’art. 99 cod. pen., facendosene conseguire da ciò come l’art. 63, terzo comma, cod. pen. obbligherebbe l’organo giudicante, in sostanza, ad applicare l’aumento di pena nella misura di un terzo stabilito per la recidiva semplice, obbligo che non sussisterebbe ove l’imputato versasse nella più grave situazione di una delle forme qualificate di recidiva.
L’irragionevolezza denunciata, secondo il rimettente, indurrebbe pertanto anche il condannato a percepire la pena irrogata come non “giusta” e, di conseguenza, pure come inadeguata a esplicare la propria funzione rieducativa fermo restando che, sempre a suo avviso, questa irragionevolezza si avvertirebbe ancor più nel caso di specie, essendo stata contestata all’imputato dal pubblico ministero la recidiva semplice, pur sussistendo gli estremi per l’applicazione di una recidiva qualificata, in quanto i due precedenti rilevanti erano uno “specifico” e l’altro “infraquinquennale”.
Altrettanto irragionevole, ad avviso del giudice a quo, sarebbe poi stata la previsione dell’aumento «di un terzo» della pena da infliggere, ai sensi dell’art. 99, primo comma, cod. pen., anziché «fino a un terzo», come invece stabilito dall’art. 64, primo comma, cod. pen.
L’ordinanza di rimessione riteneva oltre a ciò non dirimente l’obiezione secondo cui «la recidiva semplice è pur sempre facoltativa e quindi il giudice potrebbe astenersi dall’applicarla» giacché, ove questi abbia verificato che la reiterazione dell’illecito è sintomo effettivo di riprovevolezza della condotta e di pericolosità del suo autore, avuto riguardo ai diversi indici rivelatori di ciò, deve poi sottoporre il condannato all’aumento di pena ai sensi dell’art. 99 cod. pen., non potendo evitare tale aumento in considerazione dei soli effetti irragionevoli che deriverebbero dalla sua applicazione.
Neppure, esponeva a questo proposito il rimettente, varrebbe obiettare che il giudice potrebbe comunque neutralizzare l’applicazione della recidiva, riconoscendo le circostanze attenuanti generiche in misura equivalente, non ricorrendo i presupposti perché siano concesse.
Infine, l’ordinanza di rimessione prendeva in considerazione alcuni precedenti della Corte di Cassazione per inferirne che una interpretazione conforme a Costituzione della disposizione censurata contrasterebbe col dato letterale della stessa, il quale prescrive espressamente che «l’aumento o la diminuzione per le circostanze ad effetto comune operi sulla pena stabilita per la circostanza autonoma o ad effetto speciale, senza prevedere che l’aumento ulteriore sia facoltativo o che possa essere in misura discrezionale fino ad un terzo».
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3. Conclusioni: illegittimità costituzionale
Fermo restando quanto previsto l’art. 63, co. 3, cod. pen. (“Quando per una circostanza la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato o si tratta di circostanza ad effetto speciale, l’aumento o la diminuzione per le altre circostanze non opera sulla pena ordinaria del reato, ma sulla pena stabilita per la circostanza anzidetta. Sono circostanze ad effetto speciale quelle che importano un aumento o una diminuzione della pena superiore ad un terzo”), la Consulta afferma, con la pronuncia qui in commento, come tale norma sia incostituzionale nella parte in cui non prevede che «Quando concorrono una circostanza per cui la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato o una circostanza ad effetto speciale e la recidiva di cui all’art. 99, primo comma, cod. pen., si applica soltanto la pena stabilita per la circostanza più grave, ma il giudice può aumentarla».
Di conseguenza, alla luce di tale provvedimento, è conferito adesso al giudice la possibilità di applicare soltanto la pena stabilita per la circostanza più grave, anche allorché concorrano una circostanza per cui la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato o una circostanza ad effetto speciale e la recidiva di cui all’art. 99, primo comma, cod. pen., vale a dire la recidiva c.d. semplice.
Questa è dunque la novità che contraddistingue la sentenza qui in esame.
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