La Consulta dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 69, co. 4, cod. pen. (il divieto automatico di prevalenza delle attenuanti sulla recidiva): vediamo come. Per supporto ai professionisti, abbiamo preparato uno strumento di agile consultazione, il “Formulario annotato del processo penale 2025”, giunto alla sua V edizione.
Indice
- 1. Il fatto
- 2. La questione prospettata nell’ordinanza di rimessione: questione di legittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, del codice penale, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, nella parte in cui stabilisce il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 625-bis cod. pen. sulla recidiva reiterata prevista dall’art. 99, quarto comma, cod. pen.
- 3. La soluzione adottata dalla Consulta
- 4. Conclusioni: illegittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, del codice penale, nella parte in cui stabilisce il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 625-bis cod. pen. sulla recidiva reiterata prevista dall’art. 99, quarto comma, cod. pen.
1. Il fatto
Il Tribunale ordinario di Perugia, sezione penale, in composizione monocratica, era chiamato a giudicare, nelle forme del rito abbreviato, di un’imputazione per furto in abitazione, ai sensi degli artt. 110 e 624-bis cod. pen., commesso dall’imputato che, introdottosi in un appartamento, si era allontanato rapidamente al sopraggiungere del proprietario e che da questi inseguito e bloccato mentre tentava di darsi alla fuga, veniva fermato dagli agenti e trovato in possesso di circa nove euro, della chiave del portone principale, di sei monete da venti lire, di due monete da duecento lire, di una moneta da cinque centesimi di lire, di una moneta da due dracme, oltre che di una pinzetta di piccole dimensioni e di forbici da elettricista.
In particolare, nel corso dell’interrogatorio reso in occasione dell’udienza di convalida dell’arresto, l’imputato ammetteva l’addebito e consentiva l’identificazione del correo, indicandone il nome e il cognome e affermando che con costui si erano accordati per commettere il furto nell’abitazione.
Orbene, a fronte della situazione venutasi così a determinare, questo organo giudicante riteneva come le condotte contestate integrassero il reato di furto in abitazione sotto il profilo sia oggettivo, che soggettivo, essendo la sottrazione e il successivo impossessamento avvenuti per trarne profitto, reputandosi sussistenti al contempo i presupposti per l’applicazione della recidiva reiterata essendo l’imputato gravato da due precedenti specifici, con sentenza passata in giudicato oltre il quinquennio. Per questo Tribunale, per di più, sussistevano pure gli elementi per l’applicazione della circostanza attenuante ad effetto speciale di cui all’art. 625-bis cod. pen., introdotta dall’art. 2, comma 4, della legge 26 marzo 2001, n. 128 (Interventi legislativi in materia di tutela della sicurezza dei cittadini), che prevede una riduzione di pena da un terzo alla metà «qualora il colpevole, prima del giudizio, abbia consentito l’individuazione dei correi o di coloro che hanno acquistato, ricevuto od occultato la cosa sottratta o si sono comunque intromessi per farla acquistare, ricevere od occultare».
Ebbene, facendo applicazione degli indici di utilità e concretezza del contributo collaborativo fornito dall’imputato, rimessi dalla giurisprudenza di legittimità al prudente apprezzamento del giudice (si richiamavano a tal riguardo: Corte di Cassazione, Sezione quinta penale, sentenza 19 maggio-24 luglio 2014, n. 32937; Sezione quarta penale, sentenza 24 gennaio-11 marzo 2013, n. 11490), il Tribunale perugino stimava come la confessione dell’imputato, resa nell’immediatezza dei fatti, avesse costituito un contributo decisivo ai fini della identificazione del correo, sia perché le sue dichiarazioni avevano permesso di individuare il soggetto, già noto alle forze dell’ordine per reati contro il patrimonio, consentendo una attività integrativa di indagine, sia in quanto i proprietari dell’appartamento non avevano fornito elementi, essendosi avveduti soltanto di sfuggita di un’altra persona con un bastone in mano fuori dall’abitazione, sicché senza la confessione dell’imputato non sarebbe stato possibile accertare la consumazione del reato anche da parte del correo.
Sennonché, sempre ad avviso di siffatto organo giudicante, la circostanza attenuante di cui all’art. 625-bis cod. pen., nel giudizio di comparazione, incontra il limite al bilanciamento in prevalenza imposto dall’art. 69, quarto comma, cod. pen. in relazione alla recidiva reiterata, di cui all’art. 99, quarto comma, del medesimo codice. Per supporto ai professionisti, abbiamo preparato uno strumento di agile consultazione, il “Formulario annotato del processo penale 2025”, giunto alla sua V edizione.
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2. La questione prospettata nell’ordinanza di rimessione: questione di legittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, del codice penale, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, nella parte in cui stabilisce il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 625-bis cod. pen. sulla recidiva reiterata prevista dall’art. 99, quarto comma, cod. pen.
A fronte della situazione venutasi a determinare nella fattispecie in esame, il Tribunale ordinario di Perugia, sezione penale, in composizione monocratica, sollevava, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, del codice penale, nella parte in cui stabilisce il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 625-bis cod. pen. sulla recidiva reiterata prevista dall’art. 99, quarto comma, cod. pen..
In particolare, ad avviso del giudice a quo, siffatta questione era rilevante perché, in caso di accoglimento, si sarebbe dovuta irrogare una pena di gran lunga inferiore rispetto a quella che si infliggerebbe a seguito di un giudizio di equivalenza tra la circostanza attenuante di cui all’art. 625-bis cod. pen. e la recidiva reiterata ex art. 99, quarto comma, cod. pen., osservandosi contestualmente
che, se l’attuale cornice edittale per il reato di furto in abitazione va da quattro anni di reclusione e 927 euro di multa a sette anni di reclusione e 1.500 euro di multa, l’ampiezza e l’intensità della collaborazione prestata dall’imputato indurrebbero a ritenere la circostanza attenuante a effetto speciale sicuramente prevalente sulla recidiva.
Ciò posto, quanto alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo riteneva che la preclusione assoluta di prevalenza dell’attenuante di cui all’art. 625-bis cod. pen. sulla recidiva reiterata sarebbe stata costituzionalmente illegittima perché irrazionale rispetto allo scopo della disposizione censurata, prospettando la violazione dell’art. 3 Cost. per plurimi profili.
Nel dettaglio, il rimettente dava innanzitutto conto dei numerosi interventi della Consulta, che hanno dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, cod. pen. in relazione ad attenuanti di diversa natura, al fine di riequilibrare alcuni eccessi dell’inasprimento sanzionatorio e di rendere modificabili, attraverso il giudizio di comparazione, le cornici edittali di alcune ipotesi circostanziali, di aggravamento o di attenuazione, sostanzialmente diverse dai reati base.
La circostanza attenuante di cui all’art. 625-bis cod. pen. sarebbe poi l’«espressione di una scelta di politica criminale di tipo premiale, volta a incentivare, mediante una sensibile diminuzione di pena, il ravvedimento post-delittuoso dell’imputato, rispondendo, sia all’esigenza di tutela del bene giuridico, sia a quella di prevenzione e repressione dei reati contro il patrimonio» fermo restando però che, quando nei confronti dell’imputato viene riconosciuta la recidiva reiterata, tuttavia, la norma censurata «impedisce alla disposizione premiale di produrre pienamente i suoi effetti e così ne frustra in modo manifestamente irragionevole la ratio, perché fa venire meno quell’incentivo sul quale lo stesso legislatore aveva fatto affidamento per stimolare l’attività collaborativa».
Sotto altro profilo, la norma censurata, sempre ad avviso del rimettente, si porrebbe in manifesto contrasto con il principio di ragionevolezza in quanto attribuirebbe una rilevanza insuperabile alla precedente attività delittuosa del reo – quale sintomo della sua maggiore capacità a delinquere – rispetto alla condotta di collaborazione successiva, benché quest’ultima possa essere in concreto ugualmente, o addirittura prevalentemente, indicativa dell’attuale capacità criminale del reo e della sua complessiva personalità.
Per la stessa giurisprudenza richiamata, del resto, la condotta del reo contemporanea o susseguente al reato (art. 133, secondo comma, numero 3, cod. pen.) costituisce uno dei criteri da cui può desumersi la capacità a delinquere e di cui il giudice deve tener conto, oltre che nella determinazione della pena, anche nella comparazione tra circostanze eterogenee concorrenti.
Precisato ciò, osservava, inoltre, il rimettente che, se è vero che l’attenuante di cui all’art. 625-bis cod. pen. non richiede la spontaneità della condotta collaborativa e non comporta necessariamente una resipiscenza, potendo essere il frutto di un mero calcolo, nondimeno si tratta di una condotta significativa, anche perché comporta il distacco dell’autore del reato dall’ambiente criminale nel quale la sua attività era inserita e può esporlo a pericolose ritorsioni, determinando così una situazione di fatto tale da indurre in molti casi un cambiamento di vita.
La norma censurata, inoltre, ad avviso del giudice a quo, sarebbe costituzionalmente illegittima in un’ottica comparativa, innanzitutto in rapporto alla circostanza attenuante a effetto speciale, per i delitti di stampo mafioso, di cui all’art. 8 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152 (Provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata e di trasparenza e buon andamento dell’attività amministrativa), convertito, con modificazioni, nella legge 12 luglio 1991, n. 203, oggi confluita nell’art. 416-bis.1, terzo comma, cod. pen. visto che l’attenuante di cui all’art. 8 del d.l. n. 152 del 1991, come convertito, non è soggetta al giudizio di bilanciamento tra circostanze eterogenee ed è obbligatoria, mentre la circostanza attenuante di cui all’art. 625-bis cod. pen., in seguito alla riforma attuata dalla legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), pur essendo caratterizzata dalla medesima ratio, non solo è soggetta al giudizio di bilanciamento, ma non può neppure prevalere sulla recidiva reiterata, con la conseguenza che il recidivo non potrà mai beneficiare del relativo sconto di pena.
Sempre in ottica comparativa, inoltre, il rimettente richiamava ampiamente la sentenza n. 74 del 2016, con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 69, comma quarto, cod. pen., come sostituito dall’art. 3 della legge n. 251 del 2005, nella parte in cui prevedeva il divieto di prevalenza della circostanza attenuante a effetto speciale di cui all’art. 73, comma 7, del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), sulla recidiva reiterata prevista dall’art. 99, quarto comma, cod. pen.
D’altronde, anche l’art. 73, comma 7, del d.P.R. n. 309 del 1990, come l’art. 625-bis cod. pen., prevede una circostanza attenuante a effetto speciale che comporta una diminuzione di pena «dalla metà a due terzi per chi si adopera per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, anche aiutando concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella sottrazione di risorse rilevanti per la commissione dei delitti».
Osservava per di più il giudice a quo che pure l’attenuante di cui all’art. 625-bis cod. pen. esprime una scelta di politica criminale di tipo premiale, volta ad incentivare, mediante una sensibile diminuzione di pena, il ravvedimento post delictum del reo, sicché sarebbe del tutto irragionevole, a fronte della identità di ratio, far soggiacere tale circostanza attenuante al bilanciamento delle circostanze previsto dall’art. 69, comma quarto, del medesimo codice.
Sussisterebbe, infine, sempre ad avviso del rimettente, la violazione del principio di proporzionalità della pena nella sua funzione rieducativa, ma anche retributiva, ai sensi dell’art. 27, terzo comma, Cost., «perché una pena che non tenga in debito conto del[la] proficua collaborazione prestata per effetto di una dissociazione post-delictum e che può esporre a gravissimi rischi personali e familiari, da un lato non può correttamente assolvere alla funzione di ristabilimento della legalità violata, dall’altro – soprattutto – non potrà mai essere sentita dal condannato come rieducatrice».
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3. La soluzione adottata dalla Consulta
I giudici di legittimità costituzionale stimavano la questione summenzionata fondata.
In particolare, la Corte di legittimità, prima di enucleare le ragioni che la inducevano ad addivenire a siffatto esito decisorio, osservava prima di tutto che l’art. 69, quarto comma, cod. pen. è stato oggetto di dodici pronunce di illegittimità costituzionale parziale, che hanno colpito il divieto di prevalenza di altrettante circostanze attenuanti sulla recidiva reiterata di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen.
Più nel dettaglio, si notava che, sin dalla prima pronuncia con cui è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale parziale dell’art. 69, quarto comma, cod. pen., la Consulta ha osservato che «il giudizio di bilanciamento tra circostanze eterogenee consente al giudice di “valutare il fatto in tutta la sua ampiezza circostanziale, sia eliminando dagli effetti sanzionatori tutte le circostanze (equivalenza), sia tenendo conto di quelle che aggravano la quantitas delicti, oppure soltanto di quelle che la diminuiscono” (sentenza n. 38 del 1985)» (sentenza n. 251 del 2012, punto 4 del Considerato in diritto), oltre a ritenersi che le «deroghe al regime ordinario del bilanciamento tra circostanze, come disciplinato in via generale dall’art. 69 cod. pen., sono costituzionalmente ammissibili e rientrano nell’ambito delle scelte discrezionali del legislatore, risultando sindacabili soltanto ove “trasmodino nella manifesta irragionevolezza o nell’arbitrio” (sentenza n. 68 del 2012; in senso conforme, sentenza n. 88 del 2019), non potendo però giungere in alcun caso “a determinare un’alterazione degli equilibri costituzionalmente imposti sulla strutturazione della responsabilità penale” (sentenza n. 251 del 2012)» (sentenza n. 73 del 2020, punto 4.1. del Considerato in diritto; nello stesso senso, sentenza n. 143 del 2021, punto 5 del Considerato in diritto; sentenza n. 55 del 2021, punto 5 del Considerato in diritto; per una sintesi delle linee argomentative sviluppate da questa Corte, che ne ha messo in luce i principi comuni, sentenza n. 94 del 2023, punto 10 del Considerato in diritto).
Premesso ciò, si notava oltre tutto come il medesimo Giudice delle leggi abbia rinvenuto un’alterazione degli equilibri costituzionalmente imposti in relazione a circostanze espressive di un minor disvalore del fatto dal punto di vista della sua dimensione offensiva: così la «lieve entità» nel delitto di produzione e traffico illecito di stupefacenti (sentenza n. 251 del 2012); i casi di «particolare tenuità» nel delitto di ricettazione (sentenza n. 105 del 2014); i casi di «minore gravità» nel delitto di violenza sessuale (sentenza n. 106 del 2014); il «danno patrimoniale di speciale tenuità» nei delitti di bancarotta e ricorso abusivo al credito (sentenza n. 205 del 2017); la «lieve entità del fatto» per il reato di sequestro di persona a scopo di estorsione (sentenza n. 143 del 2021); la «lieve entità del fatto» in rapporto al reato di devastazione, saccheggio e strage (sentenza n. 94 del 2023); la «speciale tenuità», di cui all’art. 62, numero 4), cod. pen., nei delitti contro il patrimonio o determinati da motivi di lucro (sentenza n. 141 del 2023); il delitto di autoriciclaggio «di minore gravità» (sentenza n. 188 del 2023).
Orbene, per la Corte, in queste fattispecie, la ratio della illegittimità costituzionale del divieto di prevalenza di cui all’art. 69, quarto comma, cod. pen. è stata individuata nella centralità del fatto oggettivo, rispetto alla qualità soggettiva del colpevole, nella prospettiva di un “diritto penale del fatto”, in base alla quale deve escludersi che aspetti relativi alla maggiore colpevolezza o pericolosità dell’agente possano assumere, nel processo di individualizzazione della pena, una rilevanza tale da renderli comparativamente prevalenti rispetto al fatto oggettivo (sentenza n. 141 del 2023, punto 3.2. del Considerato in diritto), tenuto conto altresì del fatto che le dichiarazioni di illegittimità costituzionale hanno fatto venire meno il divieto di prevalenza di cui all’art. 69, quarto comma, cod. pen., anche rispetto a circostanze inerenti alla persona del colpevole per la circostanza attenuante del vizio parziale di mente (sentenza n. 73 del 2020) e per quella di cui all’art. 116 cod. pen. (sentenza n. 55 del 2021).
Oltre a ciò, era altresì fatto presente che una terza ratio, comune a diverse circostanze attenuanti a effetto speciale, che ha condotto a dichiarazioni di illegittimità costituzionale dell’art. 69, comma quarto, cod. pen., attiene all’incentivo alla collaborazione del reo post delictum (sentenza n. 74 del 2016 e, da ultimo, sentenza n. 201 del 2023).
Invero, per il Giudice delle leggi, proprio le sentenze da ultimo richiamate assumono rilievo per la soluzione della questione di legittimità costituzionale prospettata nel caso di specie, in quanto relative ad attenuanti connesse al ravvedimento successivo alla commissione del reato, che presentano la medesima ratio dell’art. 625-bis cod. pen..
In particolare, la sentenza n. 74 del 2016 ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 69, quarto comma, cod. pen., nella parte in cui prevedeva il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 73, comma 7, del d.P.R. n. 309 del 1990; disposizione, questa, che, rispetto al delitto di traffico di sostanze stupefacenti compiuto al di fuori di un contesto associativo, prevede la diminuzione della pena dalla metà a due terzi «per chi si adopera per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, anche aiutando concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella sottrazione di risorse rilevanti per la commissione dei delitti».
Ebbene, la Corte costituzionale, in quella occasione, ebbe modo di osservare che l’attenuante è espressione di una scelta di politica criminale di tipo premiale, volta a incentivare, mediante una sensibile diminuzione di pena, il ravvedimento post delictum del reo, rispondendo sia all’esigenza di tutela del bene giuridico, sia a quella di prevenzione e repressione dei reati in materia di stupefacenti. Il divieto assoluto di operare la diminuzione di pena consentita dall’attenuante, in presenza di recidiva reiterata, impedisce quindi, per la Consulta, alla disposizione premiale di produrre pienamente i suoi effetti e ne frustra in modo manifestamente irragionevole la ratio perché fa venire meno quell’incentivo sul quale lo stesso legislatore ha fatto affidamento per stimolare l’attività collaborativa.
Per di più, si sottolineava come, nella medesima pronuncia, si sia precisato che il divieto di prevalenza di cui all’art. 69, quarto comma, cod. pen. finisce per disconoscere del tutto, in modo irragionevole, la condotta del reo contemporanea o susseguente al reato, quale indice della sua personalità e capacità a delinquere.
Infine, sempre in sede di giustizia costituzionale, è stato ritenuto privo di giustificazione il rigido effetto preclusivo associato alla recidiva reiterata, in quanto la scelta di collaborare – pur non comportando necessariamente la resipiscenza e potendo essere il frutto di mero calcolo – implica comunque il distacco del reo dall’ambiente criminale nel quale l’attività delittuosa è inserita e trova alimento (sentenza n. 74 del 2016, punto 5 del Considerato in diritto).
Del resto, analoghe considerazioni hanno condotto, nella sentenza n. 201 del 2023, alla declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, cod. pen., in relazione alla circostanza attenuante di cui all’art. 74, comma 7, del medesimo testo unico in materia di stupefacenti, che parimenti prevede la diminuzione della pena dalla metà a due terzi «per chi si sia efficacemente adoperato per assicurare le prove del reato o per sottrarre all’associazione risorse decisive per la commissione dei delitti», ritenendo che assuma ancor maggior rilievo l’incentivo alla collaborazione nei contesti di criminalità organizzata.
Orbene, concluso questo excursus giurisprudenziale, per i giudici di legittimità costituzionale, il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 625-bis cod. pen. sulla recidiva reiterata, previsto dall’art. 69, quarto comma, cod. pen., è affetto dal medesimo vizio di irragionevolezza, in quanto sterilizza la ratio incentivante della disposizione, accorda una rilevanza insuperabile alla precedente condotta del reo ed esclude ogni incidenza della collaborazione sulla determinazione in concreto della pena, pur a fronte della dissociazione dal contesto criminale e del possibile pericolo di ritorsioni personali e familiari.
Invero, posto che l’attenuante a effetto speciale di cui all’art. 625-bis cod. pen. è stata introdotta dall’art. 2, comma 4, della legge n. 128 del 2001, che ha trasformato il furto in abitazione e il furto con strappo da reati circostanziati in reati autonomi, il legislatore del 2001, se, da un lato, ha ritenuto di inasprire il trattamento sanzionatorio per il furto, la cui offensività patrimoniale assume una peculiare connotazione personalistica, in ragione dell’aggancio con l’inviolabilità del domicilio assicurata dall’art. 14 Cost. (sentenza n. 117 del 2021, punto 9.4.1. del Considerato in diritto), dall’altro, ha introdotto una specifica attenuante volta a incentivare il ravvedimento, quale strumento anch’esso rivolto sia alla protezione dei beni giuridici coinvolti che alla prevenzione e repressione dei reati dato che l’art. 625-bis cod. pen. comporta una consistente diminuzione di pena, da un terzo alla metà, «qualora il colpevole, prima del giudizio, abbia consentito l’individuazione dei correi o di coloro che hanno acquistato, ricevuto od occultato la cosa sottratta o si sono comunque intromessi per farla acquistare, ricevere od occultare».
Quando, tuttavia, nei confronti dell’imputato viene riconosciuta la recidiva reiterata, l’art. 69, quarto comma, cod. pen. impedisce all’art. 625-bis cod. pen. di produrre pienamente i suoi effetti, facendo venir meno l’incentivo posto dal legislatore e, contestualmente, irrigidendo la presunzione di capacità a delinquere determinata dalla recidiva reiterata, a discapito degli indici che si ricavano dalla condotta collaborativa tenuta successivamente, tenuto conto altresì del fatto che, in relazione al furto in abitazione, d’altra parte, la scelta di incentivare la collaborazione non è venuta meno neppure nei successivi interventi legislativi, che ne hanno ulteriormente aggravato il trattamento sanzionatorio, sia mediante l’innalzamento dei riferimenti edittali, sia attraverso l’irrigidimento del regime delle circostanze posto che l’art. 1, comma 6, lettera c), della legge 23 giugno 2017, n. 103 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario) ha aggiunto un quarto comma all’art. 624-bis, a tenore del quale: «Le circostanze attenuanti, diverse da quelle previste dagli articoli 98 e 625-bis, concorrenti con una o più delle circostanze aggravanti di cui all’articolo 625, non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste e le diminuzioni di pena si operano sulla quantità della stessa risultante dall’aumento conseguente alle predette circostanze aggravanti».
Ciò posto, la Consulta osservava tra l’altro che, chiamata a pronunciarsi su tale divieto, sempre la Corte costituzionale, con la sentenza n. 117 del 2021, ha ritenuto la questione non fondata, in riferimento agli artt. 3 e 27 Cost., sia alla luce del bene giuridico protetto, l’intimità della persona raccolta nella sua abitazione, sia con riferimento al fatto che il divieto di bilanciamento di cui all’art. 624-bis cod. pen. opera sulla base di un modello differente rispetto a quello della recidiva reiterata, oggetto del presente giudizio.
Se, sotto il profilo della struttura, infatti, il regime delle aggravanti “privilegiate” previsto dall’art. 624-bis cod. pen., per un verso preclude lo stesso giudizio di equivalenza, ma, per altro verso, stabilisce che le diminuzioni di pena per le attenuanti siano comunque apportate, operando sulla quantità di pena risultante dall’aumento dipendente dalle aggravanti, l’art. 69, quarto comma, cod. pen., invece, ha una diversa struttura, perché esclude la prevalenza della circostanza attenuante sulla recidiva reiterata, sicché, in caso di ritenuta equivalenza, secondo l’ordinario giudizio dell’art. 69, terzo comma, cod. pen., le richiamate circostanze si elidono, lasciando, come correttamente rileva il giudice rimettente, la pena base della fattispecie di reato intatta, con un esito che annulla l’incentivo alla collaborazione.
Sotto il profilo della ratio, inoltre, per la Corte, la forza “privilegiata” delle aggravanti di cui agli artt. 624-bis, quarto comma, e 625 cod. pen. cede di fronte all’attenuante della minore età ex art. 98 cod. pen. e, per ciò che qui rileva, anche di fronte all’attenuante della collaborazione del reo ex art. 625-bis cod. pen., «attenuante “ad effetto speciale”, quest’ultima, appositamente introdotta dalla legge n. 128 del 2001, la cui previsione contribuisce all’equilibrio complessivo di una disciplina sanzionatoria pur certamente severa» (sentenza n. 117 del 2021, punto 9.4.4. del Considerato in diritto).
Per il Giudice delle leggi, se l’intervento legislativo del 2017, dunque, nel momento in cui ha ritenuto di comprimere il potere del giudice di parametrare nella loro pienezza le circostanze oggettive e soggettive del reato, ha fatto salva l’attenuante a effetto speciale della collaborazione del reo: indice, questo, del rilievo assegnato all’incentivo premiale, quale strumento per minare i correlati fenomeni criminosi, la “neutralizzazione” di tale attenuante nell’ipotesi in cui l’autore del reato sia recidivo si rivela a questo punto distonica rispetto alla stessa intenzione del legislatore, finendo per disincentivare la scelta di collaborare.
Difatti, dal momento che tale scelta, pur potendo essere frutto di un mero calcolo, implica anche in questo caso il distacco dell’autore del reato dall’ambiente criminale, con il rischio di potenziali ritorsioni, la mancata considerazione del distacco dall’ambiente criminoso e dei rischi che la collaborazione comporta, d’altra parte, determina il contrasto del divieto di prevalenza dell’attenuante relativa al ravvedimento post delictum anche con l’art. 27, terzo comma, Cost., in quanto fa sì che la pena irrogata sia percepita come ingiusta e, quindi, inidonea ad assolvere alla finalità rieducativa, propria delle sanzioni penali (sentenza n. 68 del 2012, punto 5 del Considerato in diritto).
Di conseguenza, alla luce delle considerazioni sin qui esposte, l’art. 69, comma quarto, cod. pen. era dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui stabilisce il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 625-bis cod. pen. sulla recidiva reiterata prevista dall’art. 99, quarto comma, cod. pen..
4. Conclusioni: illegittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, del codice penale, nella parte in cui stabilisce il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 625-bis cod. pen. sulla recidiva reiterata prevista dall’art. 99, quarto comma, cod. pen.
Fermo restando che, come è noto, l’art. 69, co. 4, cod. pen. dispone che le “disposizioni del presente articolo si applicano anche alle circostanze inerenti alla persona del colpevole, esclusi i casi previsti dall’articolo 99, quarto comma, nonché dagli articoli 111 e 112, primo comma, numero 4), per cui vi è divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulle ritenute circostanze aggravanti, ed a qualsiasi altra circostanza per la quale la legge stabilisca una pena di specie diversa o determini la misura della pena in modo indipendente da quella ordinaria del reato”, con la pronuncia qui in commento, la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, del codice penale, nella parte in cui stabilisce il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 625-bis cod. pen. sulla recidiva reiterata prevista dall’art. 99, quarto comma, cod. pen..
Di conseguenza, per effetto di quanto sancito in tale decisione, la circostanza attenuante di cui all’art. 625-bis cod. pen. (ai sensi del quale: “Nei casi previsti dagli articoli 624, 624-bis e 625 la pena è diminuita da un terzo alla metà qualora il colpevole, prima del giudizio, abbia consentito l’individuazione dei correi o di coloro che hanno acquistato, ricevuto od occultato la cosa sottratta o si sono comunque intromessi per farla acquistare, ricevere od occultare”) può adesso prevalere sulla recidiva reiterata di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen. (che, come è noto, così dispone: “Se il recidivo commette un altro delitto non colposo, l’aumento della pena, nel caso di cui al primo comma, è della metà e, nei casi previsti dal secondo comma, è di due terzi”).
Questa è dunque in sostanza la novità introdotta da tale provvedimento.
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