Recesso e risoluzione: i rapporti con la caparra

Redazione 23/03/18
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Diritto di recesso o risoluzione?

Tizio (promittente venditore) e Caio (promissario acquirente) stipulano un contratto preliminare di vendita avente ad oggetto un appartamento ad uso civile abitazione di proprietà del primo. Caio versa dieci mila euro di caparra confirmatoria, con espresso rimando all’art. 1385 c.c., ma poi non addiviene più all’acquisto. Tizio a quel punto agisce contro di lui per ottenere un risarcimento ulteriore rispetto alla ritenzione della caparra incamerata. In un caso analogo la giurisprudenza ha sostenuto che la parte non inadempiente che intenda ottenere un risarcimento ulteriore non possa incamerare la caparra (che perderebbe la sua funzione di limitazione forfetaria e predeterminata della pretesa risarcitoria e la cui restituzione è ricollegabile agli effetti propri della risoluzione negoziale), ma solo trattenerla a garanzia della pretesa risarcitoria o in acconto su quanto le spetta, a titolo di anticipo dei danni che saranno in seguito accertati e liquidati.
La Suprema Corte (72) è stata ancor più lapidaria allorquando ha affermato che la scelta tra l’azione di risoluzione del contratto, con richiesta di risarcimento del danno, e il recesso, con ritenzione della caparra confirmatoria, non ammette ripensamenti di convenienza.

La restituzione della caparra confirmatoria

I rapporti tra azione di risoluzione e di risarcimento integrale da una parte, e azione di recesso e di ritenzione della caparra dall’altro, si pongono in termini di assoluta incompatibilità strutturale e funzionale: proposta la domanda di risoluzione volta al riconoscimento del diritto al risarcimento integrale dei danni asseritamente subiti, “non può ritenersene consentita la trasformazione in domanda di recesso con ritenzione di caparra perché verrebbe così a vanificarsi la stessa funzione della caparra, quella cioè di consentire una liquidazione anticipata e convenzionale del danno volta ad evitare l’instaurazione di un giudizio contenzioso, consentendosi inammissibilmente alla parte non inadempiente di ‘scommettere’ puramente e semplicemente sul processo, senza rischi di sorta”.
Alle stesse conseguenze si dovrà pervenire allorquando sia “parte non inadempiente” il promissario acquirente, il quale avrà dunque la possibilità esigere il doppio della caparra versata ovvero di domandare la risoluzione del contratto, unitamente al risarcimento del danno, secondo i criteri ordinari; questi rimedi sono tra loro alternativi e non cumulabili anche quando sia il promissario acquirente ad agire. Sarà allora da valutare con grande attenzione se sussistano i presupposti per ottenere un risarcimento ulteriore rispetto al doppio della caparra e soprattutto se il promittente alienante non adempiente sia soggetto “capiente” e solvibile.

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