Reato progressivo e progressione criminosa

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Quando si parla di tempo, con particolare riferimento agli effetti che esso produce nel diritto penale, non si riesce mai a cogliere fino in fondo se siano le regole giuridiche a plasmare tale dimensione o se anche nel campo del diritto, sia il tempo a “farla da padrone”!
Certo è che il reato non può essere sganciato dall’elemento temporale ma che, anzi, sembrano due entità destinate a fondersi fino a rappresentare una sola cosa. Il presente contributo, analizza in via preliminare i punti di contatto tra il tempo e il diritto penale, per poi giungere alla disamina delle differenze tra progressione criminosa e reato progressivo, anche alla luce della recente pronuncia della Corte di Cassazione (IV Sez. Pen. sent. n. 48528 del 25\10\2023) sul tema.


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Indice

Tempo e reato: una breve panoramica

Tempo e Reato costituiscono un macro-argomento che richiederebbe una monografia intera per essere trattato, almeno, con sufficiente esaustività. Il presente scritto non mira a tanto, nè potrebbe.
Si vuole, invece, solleticare le principali intersecazioni che vi sono tra le due entità, entrambe sia fenomeniche che giuridiche, attraverso un approccio che si baserà sulla selezione dei punti focali tramite diversi punti di osservazione.
Ci si cali, ad esempio, nei panni di un avvocato e ci si chieda quale argomento verrebbe alla sua mente per primo, attraverso l’evocazione della parola tempo. La risposta, appare, ovvia. Un buon avvocato non potrà fare a meno di pensare alla prescrizione. A prescindere dal sofferto sviluppo giurisprudenziale che ha visto, da una parte la Corte Costituzionale (sent. 24\2017-caso Taricco) e dall’altra la Corte di Giustizia “sferrare stoccate avvelenate”, l’una nei confronti dell’altra in merito alla natura dell’istituto, oggi pacificamente ritenuta sostanziale, la prescrizione è prima di tutto, nello speciale mondo del diritto penale, un modo di estinzione del reato ex art. 157 c.p. e ss e della pena ex art. 172 e ss. Ecco, uno dei grandi effetti che il tempo produce sul reato è la sua estinzione. Infatti, partendo dal principio della libertà personale (valore personalistico) che orna ogni tessuto del sistema normativo penale, l’azione penale deve essere esercitata entro un certo limite temporale, che varierà in base alla gravità del reato a cui si riferisce. La ratio sottesa a tale assunto, infatti, non è banalisticamente, come comunemente si usa dire, che lo Stato, trascorso un certo lasso di tempo non abbia più interesse a punire ma, che lo Stato non può protrarre l’esercizio del potere sanzionatorio oltre un certo tempo senza addivinire ad una decisione di giustizia in ragione, proprio, della tutela della libertà personale. Non di opportunità, quindi, si deve parlare ma, di garanzie di tutela perchè il diritto penale è cosa molto diversa da un qualunque boia obbligato ad eseguire una pena capitale.
Ma da quale momento la prescrizione del reato comincia a decorrere? La risposta la si rinviene nel testo della disposizione dell’art. 158 c.p. il quale, fissa tale momento in base alla configurazione del reato, se consumato, dal giorno della consumazione, se tentato dal giorno in cui è cessata l’azione del colpevole, mentre se ci si riferisce ad un reato permanente o ad un reato continuato, dal giorno in cui è cessata rispettivamente, la permanenza o la continuazione. Tralasciando i riferimenti alla verificazione di una condizione di punibilità, ai reati subordinati a querela, richiesta o istanza o nel caso di reati ex art. 392 co. 1 bis c.p.p. commessi nei confronti di minore, ci si vuole soffermare sull’analisi del reato permanente e del reato continuato. Con riferimento al reato permanente, rispetto al reato continuato, si può affermare che il primo si definisce tale in ragione del perdurare degli effetti prodotti dall’azione criminosa nel corso del tempo costituendo un solo reato. Tipico esempio di scuola è il sequestro di persona ex art. 605 c.p. che, in quanto alla sua configurazione dal punto di vista del tipo è sufficiente che questo venga realizzato in tutti i suoi elementi (oggettivi e soggettivi), prescindendo, dunque, dalla durata del sequestro ma, allo stesso tempo, il prolungarsi dello stesso non produce più reati della stessa specie. Il reato continuato, invece, è un costrutto tipicamente dogmatico volto ad affievolire il carico sanzionatorio. Infatti, l’art. 81 co. II si riferisce alla commissione di più azioni e/o omissioni esecutive di un medesimo disegno criminoso. Dal tenore letterale della disposizione appena enunciata si evince che, nel caso del reato continuato non si assiste alla configurazione di un solo reato ma, alla produzione di più reati corrispondenti alla pluralità delle azioni e\o omissioni penalmente rilevanti che, in ragione di un collegamento eziologico, finalistico e spazio-temporale, sono rivolte alla realizzazione di un c.d. disegno criminoso. Ne consegue che, per addivenire all’applicazione del cumulo giuridico delle pene, similmente al reato formale di cui all’art. 81 c.p. co. I, le plurime azioni\omissioni criminose e dunque i plurimi reati, devono necessariamente costituire la realizzazione di quello specifico disegno criminoso che il reo ha programmato, se pur succintamente, antecedentemente. Diversa è quindi, sia la struttura, che la ratio che caratterizza il reato permanente rispetto al reato continuato e diversa è l’interazione tra la prescrizione e gli stessi. Infatti, nel caso del reato permanente è ormai opinione consolidata che la prescrizione possa cominciare a decorrere solo nel momento in cui la permanenza sia cessata e quindi l’azione crimonosa materialmente terminata. Nel caso del reato continuato, invece, la prescrizione comincia a decorrere dalla cessazione della continuazione ma, questa sarà differente in ragione dei singoli reati realizzati. Per tanto, nel caso del reato continuato, si assiste comunque alla configurazione di più reati che vengono considerati come un solo reato solo in ragione dell’applicazione della pena e di effetti ulteriori che convergono per il medesimo risultato: garantire un trattamento di favore per il reo in ragione di un solo proposito criminogeno, tra cui anche la prescrizione ma, sempre con riferimento a quest’ultima non è così chiaro se si debba procedere con il calcolo dalla consumazione del singolo reato o se si debba aderire pienamente alla lettera della legge e far decorrere, in tal modo, il computo della prescrizione dalla realizzazione dell’ultimo reato che coincide con la cessazione dell’iter criminoso e dunque con la cessazione della continuazione. Vi sono state opinioni divergenti sul punto. Infatti, l’opinione prevalente che considera l’ultimo reato realizzato non appare in sintonia con la ratio dell’istituto.  Invero, se il reato continuato si caratterizza per essere un istituto di creazione normativa rivolto ad affievolire le conseguenze del reato in ottica del favor rei, in quanto si ritiene che l’agire seguendo il medesimo disegno criminoso, in un arco temporale circoscritto, sia rappresentativo di una capacità a delinquere ed una pericolosità sociale minore rispetto a chi realizza, ad esempio, un concorso materiale di reati e se tra gli effetti penale a cui si riferisce vi è anche la prescrizione, far decorrere la prescrizione dall’ultimo reato realizzato non costituisce una scelta coerente con il fine dell’istituto. Sul punto si sono succeduti nel tempo opposti interventi normativi, si ricorda in particolare la legge ex Cirielli del 2005 che, intervenendo proprio sull’art. 158 co 1 c.p. aveva abbracciato la scelta di far decorrere il computo della prescrizione dalla realizzazione di ciascun reato, sebbene esecutivo del medesimo disegno criminoso e quindi in continuazione con altri reati. Scelta che è stata superata con l’emanazione della più recente legge c.d. spazzacorrotti n.3\2019 che, invece, ha reintrodotto la regola soppressa dalla legge ex Cirielli, che considera il reato continuato unitariamente anche con riferimento alla prescrizione e pertanto fa decorrere il computo del termine prescrizionale dalla cessazione della continuazione, quindi dalla realizzazione dell’ultimo reato.
Interessante è anche il confronto tra il reato permanente e il reato abituale. La giurisprudenza maggioritaria e la dottrina prevalente individuano il discrimine nell’elemento della discontinuità nel tempo delle condotte. Infatti, mentre nel caso del reato permanente le azioni poste in essere perdurano nel tempo senza interruzioni, nel caso dei reati abituali si assiste, invece, alla reiterazione delle condotte, omogenee o eterogenee, integranti da sole una fattispecie di reato o meno, necessariamente intervellata nel tempo. Tipiche figure di reati abituali sono, sia gli atti persecutori ex art. 612 bis c.p., che i maltrattamenti in famiglia ex art. 572 c.p. Tale tipologia di reati è caratterizzara proprio dalla carica offensiva connessa alla reiterazione delle condotte. Tanto è dimostrato dalla possibilità che vengano considerate rilevanti anche condotte penalmente neutre ma, che proprio in ragione della reiterazione nel tempo, producono gli effetti offensivi descritti dalle rispettive fattispecie.
Introdurre le fattispecie di durata ci consente di aprire il discorso sul punto focale di tale contributo: l’analisi delle differenze tra il concetto di progressione criminosa e il reato progressivo.
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2. Progressione criminosa e reato progressivo

Il rapporto tra tempo e reato si fa ancora più intenso con particolare riferimento al fenomeno della progressione criminosa e al reato c.d. progressivo. Entrambi i concetti sono frutto dell’elaborazione dottrinale e condividono un punto di partenza comune: la realizzazione di più condotte penalmente rilevanti. In particolare, si ha reato progressivo quando la realizzazione di una certa fattispecie di reato necessita la commissione di altre fattispecie di minore gravità. Ne consegue che il reato progressivo si può configurare solo quando l’aggressione sia diretta verso lo stesso bene giuridico o comunque verso un bene giuridico superiore connesso e soprattutto verso il medesimo soggetto passivo. Con il reato progressivo si spiega il fenomeno della consunzione, anche detta assorbimento, anch’essa di elaborazione dottrinale, finalizzata a sopperire al principio di specialità ex art. 15 c.p. nel caso di concorso apparente di norme, quando vi siano elementi specializzanti bilaterali. Onde evitare la violazione del principio del ne bis in idem sostanziale, quando nel caso concreto si verifica la realizzazione di una fattispecie di reato minore connessa alla realizzazione di una fattispecie di reato di maggiore gravità, in ragione della direzione dell’azione rivolta a quest’ultima, il reato minore si ritiene assorbito, in ottica del favor rei. Si pensi alla commissione di un omicidio preceduto dalla realizzazione del reato di lesioni personali dirette verso lo stesso soggetto passivo. In questo caso si verifica, in un primo momento la realizzazione delle lesioni personali e in un momento successivo, temporalmente e contestualmente connesso al primo, la commissione dell’omicidio. Ne consegue che il reato meno grave delle lesioni venga assorbito nel reato più grave dell’omicidio e non per una mera questione di duplicazione sanzionatoria da evitare per garantire un trattamento di favore al reo ma, in ragione del fine dell’azione criminogena. In altre parole, se il reato di lesioni personali e il reato di omicidio vengano commessi a danno dello stesso soggetto passivo ma in momenti del tutto sconnessi, opererebbe il concorso materiale di reati, che in caso della prova del medesimo disegno criminoso sarebbero avvinti dalla continuazione. Nel caso del reato progressivo, invece, sebbene vi sia la realizzazione materiale di due o più fattispecie di reato, in ragione della connessione finalistica e temporale tra gli stessi si considera penalmente rilevante solo il reato più grave, perchè appunto vi è una connessione di mezzo a fine e di contenimento strutturale tra le fattispecie realizzate. In caso di progressione criminosa invece, non si assiste necessariamente alla realizzazione di fattispecie che condividano un nucleo centrale comune e dunque che una fattispecie di minore gravità sia contenuta in una fattispecie di maggiore gravità ma, alla realizzazione di più fattispecie di reati anche eterogenee tra loro che vengano poste in essere in un contesto unitario e senza apprezzabili intervalli temporali: “il delitto di cui all’art. 615-quater cod. pen. non può concorrere con quello, più grave, di cui all’art. 615-ter cod. pen., del quale costituisce naturalisticamente un antecedente necessario, sempre che quest’ultimo, oltre ad essere procedibile, risulti integrato nel medesimo contesto spazio-temporale in cui sia stato perpetrato l’antefatto ed in danno della medesima persona offesa” (Cass. Sez. 2, n. 21987 del 14/1/2019, Rv. 276533).
Ne consegue che tra reato progressivo e progressione criminosa vi sia una sostanziale differenza di struttura. Infatti, il primo fa riferimento alla fattispecie astratta posta in essere, la seconda invece si inquadra in una visione molto più ampia, che tenga conto del contesto d’azione in cui le fattispecie di reato, anche eterogenee tra loro, vengano realizzate. Delle due, solo il il reato progressivo può essere assimilato se non ritenuto coincidente con lo schema del reato complesso di cui all’art. 84 c.p. Anche nel reato complesso, infatti, si verifica l’assorbimento di una o più fattispecie minori in una fattispecie più grave in ragione del collegamento strutturale, contestuale e finalistico tra le medesime. Tipico esempio di scuola è il reato di rapina di cui all’art. 628 c.p. che, come noto, può essere realizzato o con violenza alla persona, integrando la fattispecie delle percosse ex art. 581 c.p. o con minacce ex art. 612 c.p. Infatti, l’art. 84 c.p. al co. I affermando che “Le disposizioni degli articoli precedenti non si applicano quando la legge considera come elementi costitutivi, o come circostanze aggravanti di un solo reato, fatti che costituirebbero, per se stessi, reato” chiarisce come opera il reato complesso, delineando una particolare struttura normativa. Ma cosa succede quando tale composizione strutturale non sia diretta? Si fa riferimento al c.d. reato eventualmente complesso, ove non vi sia necessariamente un rapporto di contenimento strutturale tra una fattispecie più grave ed una o più fattispecie minori. Tale è il tema che ha tenuto banco e recentemente risolto dalle Sezioni Unite con riferimento al rapporto tra il reato di atti persecutori e il reato di omicidio aggravato ex art. 576 co. 1 n. 5.1 realizzati nei confronti della medesima persona offesa e commesso dall’autore dello “stalker”, ove si è sciolta la questione sull’inquadramento delle fattispecie realizzate in favore del reato complesso, tosto che all’applicazione del concorso materiale di reati. Infatti, giacchè la circostanza aggravante appena menzionata non fa riferimento al mero soggetto che realizza prima dell’omicidio gli atti persecutori ma, appunto, si riferisce alla condotta posta in essere e all’offesa arrecata al soggetto passivo, non si può non considerare il collegamento strutturale, normativo in astratto e la realizzazione concreta dall’altra, la quale postula una particolare connessione finalistica e materiale tra le due fattispecie concrete, tanto è dimostrato dalla scelta del legislatore stessa nel prevedere l’applicazione dell’aggravante.

3. Conclusione

Dalla breve analisi svolta sulle possibili intersezioni tra il tempo ed il reato si può affermare che il tempo non solo rileva al pari degli elementi costitutivi del reato ma, funge anche da parametro per individuare in concreto se si è in presenza di una certa fattispecie di reato rispetto ad un’altra e di conseguenza applicare o meno un certo istituto. Tali scelte producono inevitabilmente delle conseguenze rilevanti sul piano sanzionatorio. Non è, infatti, indifferente procedere per la configurazione di un concorso materiale di reati o per la configurazione di una sola fattispecie. Ecco, dunque, che il tempo rileva anche e soprattutto con riferimento al “carico punitivo”. Non solo alla prescrizione o alla successione di leggi si deve, quindi, fare riferimento quando si affronta l’ampia tematica del tempo in relazione al reato, perchè si è tentato di dimostrare come il tempo rilevi nella stessa struttura del reato ed agisca internamente ad esso, nel momento della sua configurazione.

Francesca Fuscaldo

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