Delitto tentato e importanza degli atti preparatori

Salvatore Samo 08/11/23
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La Corte di Cassazione, sez. penale, ha evidenziato la rilevanza degli atti preparatori nel tentativo punibile così statuendo  “per la configurabilità del tentativo di delitto, rilevano non solo gli atti esecutivi veri e propri, ma anche quegli atti che, pur classificabili come preparatori, facciano fondatamente ritenere che l’agente, avendo definitivamente approntato il piano criminoso in ogni dettaglio, abbia iniziato ad attuarlo, che l’azione abbia la significativa probabilità di conseguire l’obiettivo programmato e che il delitto sarà commesso, salvo il verificarsi di eventi non prevedibili indipendenti dalla volontà del reo”.

Per approfondimenti si consiglia: Dibattimento nel processo penale dopo la Riforma Cartabia

Indice

1. Furto di energia elettrica: rilevanza degli atti preparatori

Nel caso di specie un soggetto era stato condannato dalla Corte di Appello di Caltanissetta per aver commesso il reato di furto di energia elettrica, poi riqualificato ai sensi dell’art. 56 c.p.
L’applicazione dell’art. 56 era il frutto della valutazione della manomissione della cassetta del contatore e della presenza di cavi scorticati volti a favorire il successivo furto di energia. Tuttavia, alla luce dei rilievi effettuati non emergeva alcuna fuoriuscita di energia elettrica irregolare, ma soltanto l’istallazione del cavo. L’autore dell’atto ha presentato appello avverso tale sentenza per violazione dell’art. 56 c.p. e per il vizio di motivazione in merito alla riqualificazione del fatto, in quanto non è emersa nella stessa motivazione il relativo passaggio alla fase di esecuzione del reato. Infatti, la condotta era avvenuta nel 2008 ma fino al 2011 non era avvenuta alcuna emissione irregolare di energia elettrica. La corte di Cassazione è stata adita al fine di statuire sulla rilevanza del tentativo punibile ai sensi dell’art. 56 c.p., ossia se un comportamento preparatorio possa costituire “un atto univoco a commettere un reato sia sotto il profilo oggettivo sia sotto il profilo soggettivo o se invece rimanga nella sfera di irrilevanza penale”.
La Suprema  Corte  ha ritenuto infondato il motivo di appello, in quanto la condotta oggetto di incriminazione sarebbe risalente al 2011, in quanto “il tempus commissi delitti del tentativo di furto di energia elettrica, come ritenuto dalla Corte di appello, è da collocarsi, appunto, al momento in cui avvenne tale sopralluogo. Fu in tale occasione, infatti, che il verificatore rilevò la presenza di una manomissione della cassetta portacontatore e la presenza di cavi scorticati predisposti al fine di consentire un successivo allaccio alla rete elettrica“. D’altro canto, sempre in quella circostanza, egli accertò la mancata registrazione di prelievo irregolare di energia elettrica, ma solo una predisposizione in tal senso. La Cassazione al fine di determinare la soglia di punibilità ha richiamato due diversi orientamenti.  Secondo l’orientamento consolidato per atti diretti in modo non equivoco a commettere un reato si intenderebbero esclusivamente gli atti esecutivi corrispondenti a quelle condotte descritte da una norma incriminatrice [3]. Secondo l’orientamento più recente [4] e ritenuto prevalente, [5] sarebbero esecutivi quegli atti che , anche se classificati come preparatori,farebbero ritenere che l’agente abbia già predisposto il piano criminoso in ogni sua parte e che abbia iniziato ad attuarlo. Gli atti devono avere una evidente probabilità di portare a compimento il proposito criminoso, salvi gli eventi non programmabili e imprevedibili.
“Rileva, ai fini della punibilità del tentativo, l’idoneità causale degli atti compiuti per il conseguimento dell’obiettivo delittuoso, nonchè l’univocità della loro destinazione, da apprezzarsi con valutazione ex ante in rapporto alle circostanze di fatto ed alle modalità della condotta [6]. In questa prospettiva, il prevalente indirizzo della giurisprudenza di legittimità attribuisce al requisito dell’univocità degli atti una connotazione, non già di criterio di mera prova [7], ma di “criterio di essenza”: l’univocità degli atti nel delitto tentato, dunque, deve essere considerata come una caratteristica oggettiva della condotta, sicchè è necessario che gli atti, in sè stessi, per il contesto nel quale si inseriscono, per la loro natura ed essenza, rivelino, secondo le norme di esperienza e l’id quod plerumque accidit, il fine perseguito dall’agente” [8] .
Attuando  questa prospettiva si ritiene che gli atti preparatori possano integrare il tentativo punibile quando siano idonei e diretti in modo non equivoco alla consumazione di un reato, cioè quando possano portare ad un risultato certo, accertabile sulla base di una valutazione ex ante e in relazione alle circostanze esistenti nel tempus delicti. Per tale motivo la Corte di Cassazione ha ritenuto sussistente nel caso in oggetto l’istituto del tentativo. Infatti, l’oggettiva idoneità degli atti a costituire impossessamento dell’energia elettrica è desumibile dalla condotta consistente nel predisporre cavi di alimentazione della cassetta del contatore.      Questa condotta evidenzia la voluntas del soggetto agente di prelevare furtivamente e illegalmente l’energia elettrica, in quanto “la manomissione del contatore e dei cavi conduttori dell’energia elettrica si presenta, invece, secondo comune massima di esperienza, proprio finalizzata all’impossessamento illecito della energia elettrica, poichè, in tal modo, viene evitata la registrazione dei consumi a carico dell’utente che la utilizza furtivamente”.

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2. L’iter criminis

Si delinea un reato consumato ogni volta in cui il fatto concreto corrisponde al modello legale indicato dalla norma incriminatrice e sono presenti tutti gli elementi costitutivi.  Al fine di analizzare l’effettiva gravità del danno arrecato al bene giuridico di riferimento assume particolare rilevanza la distinzione tra delitto consumato e delitto tentato. “Premesso che la fattispecie del delitto consumato comprende e supera; dunque, assorbe ed esclude, per il principio di specialità, la fattispecie del delitto tentato che ne costituisce il prius logico e cronologico, va preliminarmente rimarcata l’autonomia del delitto tentato rispetto al delitto consumato” [9].
Preliminarmente, si precisa che l’iter criminis [10] è costituito da un percorso ideale nel quale si pongono diverse fasi, tra cui l’ideazione, la preparazione, l’esecuzione.
Nella prima fase, ossia nell’ideazione si determina il concepimento del proposito criminoso. Questa fase è penalmente irrilevante, in quanto nessuno può essere punito per il mero pensiero criminoso sulla base del principio cogitazionis penam nemo patitur. 
Nella seconda fase, ossia di preparazione, di determina l’organizzazione o la predisposizione dei mezzi e l’individuazione delle condizioni per compiere il reato; questa fase è penalmente irrilevante. Tuttavia, vi sono casi in cui in presenza di una pluralità di soggetti il legislatore attribuisca rilevanza anche alle condotte preparatorie ( ad esempio nel caso dell’accordo), in quanto in virtù del rapporto tra almeno due soggetti, l’intento criminoso è manifestato. In presenza di un solo soggetto gli atti preparatori sono leciti e eventuali deroghe a tale principio devono considerarsi illegittime costituzionalmente, in quanto è ben possibile che l’intento monosoggettivo non sia mai manifestato.
La terza fase è quella dell’esecuzione; nella stessa si estrinseca il proposito criminoso in atti prossimi alla realizzazione del fatto tipico. In essa può costituirsi il tentativo.
Il delitto tentato si ha quando una persona si attiva per la realizzazione di un fatto previsto dalla legge come delitto, ma a causa di fattori indipendenti dalla sua volontà, [11] il fatto non si realizza; ciò significa che il fatto non presenta tutti gli elementi costitutivi: o l’evento non si verifica o la condotta non si compie.

3. La ratio della punibilità

Nel corso del tempo si sono delineate tre teorie poste a fondamento della punibilità:
–       la prima teoria è anche detta soggettiva [12] e storicamente fa riferimento al positivismo criminologico di Lombroso, di Ferri ed è accolta da Garofalo. Gli studiosi positivisti ravvisavano il fondamento della punibilità del tentativo nella pericolosità criminale. Questa concezione era alla base dei regimi totalitari, nei quali la punibilità era conseguenza necessaria della volontà individuale del soggetto ribelle rispetto alla volontà dello stato. Per tale motivo non vi è alcuna distinzione tra trattamento punitivo del delitto tentato e trattamento punitivo del delitto consumato.   
La seconda teoria è definita mista o eclettica e si fonda contemporaneamente su una matrice oggettiva e una soggettiva. Secondo tale teoria il tentativo è espressione di una volontà ribelle [13] ma l’ordinamento punisce soltanto quelle condotte volte a scuotere la fiducia dei consociati. La conseguenza potrebbe essere quella di punire il tentativo inidoneo del tutto privo di pericolosità sociale.
–       La teoria ritenuta prevalente è quella oggettiva [14] e si colloca tra i presupposti del diritto penale del fatto. Questa teoria permette di prevenire l’esposizione a pericolo di beni protetti dalla legge o dalla Costituzione, evidenziando la rilevanza del concetto di messa in pericolo del bene protetto accertabile concretamente dal giudice.
La teoria oggettivistica attribuisce rilevanza all’idoneità dell’azione e questa non può che essere relazionata all’attitudine della condotta materiale volta ad aggredire un bene [15].
Dal punto di vista strutturale, si precisa che il tentativo è un delitto perfetto in quanto caratterizzato dalla presenza di un fatto tipico, antigiuridico e colpevole. Anche se conserva il nomen iuris della figura delittuosa consumata [16] il delitto tentato costituisce un autonomo titolo di reato [17].
Il diritto penale è governato dal principio di legalità e per tale motivo si è posto il problema di definire il delitto tentato. Due potevano essere le strade da seguire:
nella prima il legislatore avrebbe potuto prevedere delle ipotesi di condotte tentate poste nella parte speciale, descrivendo fatti voluti ma imperfetti; tale ipotesi non è stata accolta.
Nella seconda, il legislatore ha previsto il combinarsi della norma con portata generale e quella di parte speciale. Infatti, l’istituto del tentativo nasce dal combinato disposto dell’art. 56 e della norma di parte speciale di diritto penale. Ad esempio, il tentato furto è costituito dall’art. 56 e dall’ art. 624 c.p.  oppure il tentato omicidio dal comb. disp. degli artt. 56 e 575 c.p..

4. Caratteristiche del tentativo: elemento oggettivo

In dottrina assume particolare rilevanza determinare l’inizio dell’attività punibile che coincide con la messa in pericolo del bene protetto. Nell’Ottocento la dottrina ha tentato di dare risposta alla domanda: quando una manifestazione di volontà criminosa produce una situazione di pericolo per un bene tutelato? La risposta data dalla dottrina ottocentesca era ispirata alla massima garanzia della libertà individuale e distingueva tra atti preparatori e atti esecutivi.
Il codice Zanardelli del 1889 identificava il tentativo con il cominciamento dell’esecuzione del delitto programmato, ritenendo irrilevanti per il diritto penale gli atti preparatori in quanto non aggressivi del bene giuridico protetto. Nel tempo sono stati prodotti tre criteri: criterio dell’univocità, aggressione della sfera del soggetto passivo e dell’ azione tipica.
–       Il primo criterio è stato ideato da Francesco Carrara il quale definisce preparatori tutti gli atti che siano caratterizzati dalla equivocità mentre definisce esecutivi gli atti univoci.
–       La seconda teoria, sempre riconducibile a Francesco Carrara, permette di ritenere preparatori gli atti che rimangono nella sfera del soggetto attivo e  di ritenere esecutivi quelli che invadono la sfera personale del soggetto passivo.  
–       Il terzo criterio dell’azione tipica è stato elaborato da Liszt ed è stato condiviso da Alimena [18] e Battaglini [19]. Questo criterio viene anche ricordato come “teoria formale oggettiva” e qualifica soltanto gli atti che danno inizio all’esecuzione della condotta descritta dalla fattispecie di parte speciale.
Per tale motivo, questa teoria è stata rivisitata dalla “teoria materiale oggettiva”, riconducibile a Frank e a Vannini, secondo cui possono essere ritenuti punibili a titolo di tentativo gli atti prossimi o contigui e quelli tipici o gli atti strettamente connessi o omogenei e coerenti rispetto agli atti tipici. Si critica questa teoria in quanto come per la precedente nel settore dei reati causalmente orientati, come l’omicidio, è difficile distinguere gli atti preparatori dagli atti prossimi all’azione tipica.
Il legislatore del 1930 ha abbandonato il criterio dell’inizio dell’esecuzione e nell’art. 56 c.p. ha disposto che “Chi compie atti idonei, diretti in modo non equivoco a commettere un delitto, risponde di diritto tentato, se l’azione non si compie o l’evento non si verifica”. Dall’interpretazione letterale della norma si evince che due sono i requisiti caratterizzanti la fattispecie del tentativo: idoneità e univocità degli atti.
Apparentemente l’art. 56 c.p. supera il conflitto dottrinale sussistente tra gli atti preparatori e gli  atti esecutivi; tuttavia, Carrara [20] stesso aveva prospettato i due criteri di idoneità e univocità. Per tale motivo secondo una parte della dottrina la distinzione tra preparazione e esecuzione   è ritornata nuovamente nella formula dell’articolo 56 c.p..  
L’art. 56, primo comma, ha evidenziato che si ha tentativo  se l’azione non si compie ( ad esempio se tizio è sorpreso mentre sta per vibrare un colpo di pugnale)  o se l’evento non si verifica ( tizio spara ma a causa di un errore di mira l’evento morte non si verifica). Questi due esempi rappresentano tentativo incompiuto e tentativo compiuto.
È importante comprendere il significato dell’espressione “atti idonei diretti in modo non equivoco alla commissione di un delitto”. A differenza del legislatore del 1889 l’idoneità è riferita all’atto e non al mezzo. Il mezzo è l’insieme degli strumenti usati per commettere un delitto mentre l’atto e l’impiego dei mezzi. Un mezzo può essere inidoneo anche se l’atto è idoneo. Si pensi alla condotta di Tizio che usa un mezzo inidoneo quale uno spillo per pungere Caio. Nonostante il mezzo sia inidoneo a determinare la morte di Caio, quest’ultimo decede essendo emofiliaco.
Al fine di analizzare l’idoneità degli atti è necessario richiamare la natura oggettiva di tale concetto. In passato si definiva l’idoneità degli atti richiamando il concetto di efficienza causale: gli atti sono capaci di cagionare l’evento e quindi sono idonei. 
La dottrina attuale sostiene che l’idoneità a produrre l’evento non deve essere intesa in senso causale in quanto nel delitto tentato manca l’evento e quindi viene a mancare uno degli elementi necessari del rapporto eziologico. Quindi, mentre nella dottrina del passato per determinare il  concetto di idoneità si guardava all’efficienza causale e alla realizzazione dell’evento, oggi invece la dottrina sostiene che il parametro di accertamento della idoneità debba fare riferimento al criterio della prognosi postuma [21].
Ciò significa che il giudice si collocherà idealmente nella stessa posizione del soggetto agente all’inizio delle attività criminose e sarà tenuto ad accertare se gli atti erano in grado di determinare l’effettiva realizzazione del reato. La prognosi postuma determinerà l’applicazione delle conoscenze che il soggetto agente aveva al momento della commissione del reato.
Per esempio, la somministrazione di zucchero a una persona non può essere ritenuta condotta idonea a cagionare la morte. Tuttavia, tale valutazione sarà diversa se il giudice con il criterio della prognosi postuma accerta che il soggetto agente era a conoscenza che il paziente è diabetico. La dottrina precisa che il criterio della prognosi postuma può essere effettuato o mediante un giudizio di idoneità su base parziale o su un giudizio di idoneità su base totale.
Applicando il giudizio di idoneità su base parziale [22] ritenuto meritevole di accoglimento dalla dottrina dominante, si tiene conto soltanto delle circostanze conosciute o conoscibili al momento dell’azione dell’uomo e non si tiene conto delle circostanze eccezionali oggettivamente presenti sin dall’inizio ma conosciute soltanto successivamente. Ad esempio, Tizio è sorpreso con la mano nella tasca di una vittima e risponderà di tentativo di furto, anche se egli non sapeva che la tasca era vuota. 
Il criterio della prognosi postuma [23] su base parziale evidenzia la concreta pericolosità del tentativo sulla base della teoria della prevenzione generale del diritto penale. Infatti è evidente la preoccupazione politico-criminale volta a evitare che il soggetto reo possa beneficiare della impunità per la presenza di circostanze difficilmente conoscibili o prevedibili al momento della condotta.
Un’altra parte della dottrina sostiene la base totale del criterio della prognosi postuma,  secondo cui per accertare l’idoneità dell’azione è necessario analizzare tutte le circostanze già presenti al momento del fatto anche se conosciute in un momento successivo. Ad esempio, il borseggiatore non risponde di tentato furto in quanto non sapeva che la tasca della vittima fosse vuota. L’assenza di denaro rende ab origine inidoneo il tentato furto.  
Per quanto riguarda il grado di idoneità necessario per configurare un tentativo punibile nel tempo si sono delineate diverse posizioni dottrinali.  
Il termine idoneità può essere   identificato con possibilità o con probabilità di verificazione di un evento criminoso.         
Il secondo elemento è dato dalla università degli atti.
Ad esempio, Tizio, essendo dietro a una siepe, prende il fucile per sparare. Questa condotta può essere rivolta a uccidere, ferire o cacciare un animale. L’art. 56 c.p. impedisce l’eccessiva dilatazione dell’Istituto del tentativo mediante il requisito della non equivocità degli atti o della univocità degli atti [24]

5. La rilevanza dell’elemento soggettivo

Assume particolare rilevanza l’analisi dell’elemento soggettivo. Nell’ordinamento giuridico italiano il tentativo è punibile soltanto se commesso con dolo, non essendo ammissibile un tentativo colposo. La dottrina dominante sostiene che l’esclusione della colpa risulta essere spiegata dal fatto che il tentativo è un atto intenzionalmente diretto a un risultato criminoso e immaginare un tentativo involontario sarebbe incoerente con l’istituto. La dottrina ha cercato di rispondere alla domanda se il dolo del tentativo sia conforme al dolo del delitto consumato.
Se si accoglie la teoria della identità strutturale il tentativo sarà realizzabile con tutte le forme di dolo tipiche della consumazione, compreso il dolo eventuale [25]. Ad esempio Tizio da fuoco ad una palazzina, accettando il rischio della presenza di un’anziana persona durante la notte nella stessa, la quale potrebbe morire a causa dell’incendio.
Da un punto di vista di semplificazione  probatoria dinanzi a comportamenti equivoci i giudici non ricercano l’intenzione dell’ agente ma si limitano a supporre che lo stesso fosse consapevole della possibilità di provocare eventi lesivi più gravi rispetto a quelli effettivamente voluti.                                       La tesi maggioritaria sostiene l’incompatibilità del tentativo con il dolo eventuale in quanto la non equivocità della condotta coincide con la prova di una volontà diretta commettere il reato.                           Proprio perché si ammette una volontà intenzionale è necessario escludere la compatibilità tra tentativo e dolo eventuale.
Due sono i presupposti per affermare la tesi della incompatibilità:
–       il primo afferma che l’autonomia strutturale della fattispecie oggetto di tentativo giustifica che il dolo del tentativo assuma una connotazione  peculiare e non coincide con quella della consumazione;
il secondo afferma che il concetto stesso di tentativo evidenzia la necessità di porre in essere una condotta verso uno scopo e non dunque la mera accettazione del rischio di un evento possibile o comunque probabile. Ciò è riconducibile alla nozione di inequivocità degli atti che va correlata all’atteggiamento psicologico e all’intenzione di conseguire un risultato criminoso [26].

Note

  1. [1]

    Cass. Pen., Sez. V, 9 gennaio 2020, n.392

  2. [2]

    Cass. II, 7 dicembre 2016, n. 52189

  3. [3]

    “Gli atti diretti in modo non equivoco a commettere un reato possono essere esclusivamente gli atti esecutivi, ossia gli atti tipici, corrispondenti, anche solo in minima parte, alla descrizione legale di una fattispecie delittuosa a forma libera o vincolata (Cass. Sez. I, n. 40058 del 24/09/2008 Cristello e altri, Rv. 241649; conf. sez. L. n. 9411 del 07/01/2010 Musso e altro, Rv. 246620)”

  4. [4]

    Cass. sez. 5, n. 18981 del 22/02/2017, Rv. 269931.

  5. [5]

    Cassazione penale , sez. II , 19/10/2017 , n. 4376

  6. [6]

    Cass. Pen. Sez. 5, n. 7341 del 1/01/2015, Sciuto, Rv. 262768.

  7. [7]

    Cass. Sez. 2, n. 3596 del 01/02/1994 – dep. 25/03/1994, P.M. in proc. Evinni, Rv. 197753.

  8. [8]

    Cass. Sez. 5, n. 43255 del 24/09/2009, Alfuso, Rv. 245721.

  9. [9]

    Siniscalco, Tentativo, in Enc. Giur. XXX, 1993.

  10. [10]

    Cingari, Gli incerti confini del tentativo punibile, in Dir. pen. E proc. 2009, p. 859.

  11. [11]

    Per la configurabilità del tentativo rilevano non solo gli atti esecutivi, ma anche quegli atti che, pur classificabili come preparatori, facciano ritenere che l’agente, avendo definitivamente approntato il piano criminoso in ogni dettaglio abbia iniziato ad attuarlo, che l’azione abbia la significativa probabilità di conseguire l’obbiettivo programmato e che il delitto sarà commesso, salvo che il verificarsi di eventi non prevedibili indipendentemente dalla volontà del reo. Cass. Sez. II, 16 maggio 2017, n. 24302.

  12. [12]

    Malinverni, Il tentativo punibile, in Scuola positiva, 1968, p. 393.

  13. [13]

    Scarano, Il tentativo, Napoli, 1960 p. 77.

  14. [14]

    Delitala, Le dottrine generali del reato nel Progetto Rocco, 1927, ora in Diritto penale. Raccolta di scritti, I, Milano, 1976, p. 285.

  15. [15]

    Santoro, voce Tentativo in Noviss. DIg. It., XVIII, Torino, 1980 p. 1134.

  16. [16]

    Cass. Pen., sent. 20 luglio 1993, in CED, n. 195511.

  17. [17]

    G. Fiandaca, E. Musco. Diritto penale, parte generale, VIII ed. Zanichelli, p. 481.

  18. [18]

    F. Alimena, L’attività esecutiva nel tentativo, in Foro it. 1936, IV, p. 99.

  19. [19]

    G. Battaglini, L’incompiutezza dell’agire nel tentativo, in Riv. Pen., 1935, p. 9.

  20. [20]

    Carrara, Programma del corso di diritto criminale, parte generale, I, 10 ed. Firenze,  1907, p. 333.

  21. [21]

    Siniscalco, Delitto tentato e limite iniziale della punibilità, in Scuola positiva, 1962, p. 181.

  22. [22]

    Cass. Sez. I, 13 aprile 2001, Calafato, in Guida al diritto n. 24 del 2001.

  23. [23]

    Cass. Sez. I, 8 novembre 2019 n. 4373.

  24. [24]

    Cass. Sez. I, 3 luglio 2019 n. 29101.

  25. [25]

    Morselli, Il dolo eventuale nel delitto tentato, in Ind. Pen., 1978, p. 39.

  26. [26]

    R. Bartoli. Diritto penale, Elementi di parte generale. Giappichelli, p. 273.

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Salvatore Samo

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