Il reato di falso ideologico e la falsità morale

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La falsità in atti è sanzionata dall’articolo 476 e seguenti del Codice penale. Si distinguono le fattispecie di falsità ideologica e falsità morale.

Per sapere tutto su questo argomento leggi anche “I reati di falso” di Paolo Emilio De Simone

Il falso ideologico: la condotta e l’autore del reato.

Il falso ideologico è la menzogna contenuta in un documento.

La falsità è ideologica perché cade sulle attestazioni dell’autore, cioè sul contenuto di un documento che, non risultando né contraffatto, né alterato,  reca dichiarazioni menzognere.

In questa ipotesi si può parlare di non veridicità dell’atto.

Secondo alcune fonti, il falso ideologico si distingue nettamente dal falso materiale che si risolve nella contraffazione o nell’alterazione documentale, cioè nella creazione di un documento da parte di colui che non ne è l’autore o nella modifica del documento originale redatto da chi appare autore.

In questa ipotesi si può parlare di non genuinità dell’atto.

La distinzione ha un rilievo soprattutto pratico, ammesso che le falsità materiali sono sempre punibili se siano giuridicamente rilevanti.

Le falsità ideologiche per essere perseguibili, oltre alla rilevanza giuridica, richiedono anche che l’autore del falso sia venuto meno all’obbligo giuridico di attestare o fare risultare il vero.

Il codice penale punisce il falso ideologico del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio realizzato in un atto pubblico, ma sanziona anche il privato che realizza la falsità in atto pubblico.

Il legislatore si è occupato della falsità ideologica se sia relativa al contenuto di un atto della sfera dell’attività pubblica.

Al contrario, se si escludono le previsioni delle quali agli articoli 481 e 484 del codice penale, il falso in scrittura privata non è punito, non sussistendo nessun obbligo in capo al privato di redigere atti veritieri.

Se il falso ideologico si risolve nella rappresentazione o narrazione di un fatto non veritiero, è prospettabile esclusivamente per gli atti a contenuto descrittivo o narrativo, non rispetto agli atti che contengano deliberazioni o statuizioni oppure l’espressione di un giudizio o di un parere.

Nel caso di un concorso pubblico, la falsità ideologica può essere consumata anche con un’attestazione incompleta, perché priva dell’informazione su un determinato fatto, ogni volta che il contenuto espositivo dell’atto sia tale da fare assumere all’omissione dell’informazione, relativa a un determinato fatto, il significato di negazione della sua esistenza ovvero attribuisca al tenore dell’atto un senso diverso, così che l’enunciato descrittivo venga ad assumere nel suo complesso un significato contrario al vero.

A nulla rilevando il fatto dello svolgimento delle mansioni proprie del suo ufficio, commette il reato di falso ideologico il pubblico dipendente che, in concorso o inducendo in errore i soggetti ai quali la pubblica amministrazione ha affidato la funzione di attestare l’orario di lavoro dei dipendenti, dichiara falsamente la propria presenza sul posto di lavoro.

Non integra il delitto di falso ideologico commesso dal privato in atto pubblico la condotta di colui che, fermato dalla Polizia alla guida della propria auto, dichiari falsamente di essere in possesso di patente di guida e di averla dimenticata a casa, non sussistendo, in tal caso, l’obbligo del privato di dire la verità, posto che il verbale della polizia, contenente le dichiarazioni del privato, non è destinato ad attestare la verità dei fatti dichiarati e il reato in questione è ravvisabili quando l’atto pubblico, nel quale sia trasfusa la dichiarazione del privato, sia destinato a provare la verità dei fatti attestati.

In relazione ai soggetti attivi, il falso ideologico punito dall’articolo 479 del codice penale, si presenta come reato proprio, perché il soggetto attivo può essere esclusivamente un pubblico ufficiale.

In ragione dell’articolo 493 del codice penale, la norma è applicabile anche agli atti compiuti dal pubblico impiegato incaricato di un pubblico servizio dello Stato o di un altro Ente Pubblico, in relazione agli atti che essi redigono nell’esercizio delle loro attribuzioni.

L’elemento caratterizzante della qualità di pubblico ufficiale è quello dell’esistenza del potere pubblico autoritativo in senso lato, del quale fa parte anche il potere certificativo, l’esistenza del quale non necessariamente deve essere prevista in modo esplicito, potendo risultare dalla natura dell’atto posto in essere, in relazione ai fini dello stesso.

L’elemento psicologico del reato in questione è costituito dal dolo generico, cioè dalla coscienza e dalla volontà di attestare falsamente qualcosa in un atto pubblico (ex art. 2699 c.c.).

Ai sensi e per gli effetti dell’articolo 2699 del codice civile “l’atto pubblico è il documento redatto, con le richieste formalità da un notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato ad attribuirgli pubblica fede nel luogo dove l’atto è formato”.

Oltre al fatto che “l’atto pubblico, fa piena prova, sino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti”.

L’efficacia probatoria dell’atto pubblico, nella parte nella quale fa fede sino a querela di falso, a norma dell’articolo 2700 codice civile, è limitata alla provenienza del documento dal pubblico ufficiale che l’ha formato, nonché ai fatti che il pubblico ufficiale attesta essere accaduti alla sua presenza o essere da lui compiuti.

In relazione agli atti pubblici stranieri, possono utilmente beneficiare della tutela prevista per i documenti pubblici se siano state correttamente osservate le norme che disciplinano il procedimento per assegnare loro un’efficacia giuridica all’interno del territorio nazionale italiano.

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L’elemento soggettivo

Nel reato in commento (così come gli altri reati di falso) non è sufficiente ai fini del dolo la semplice coscienza dell’ “immutatio veri”, ma è necessario anche il convincimento del reo di agire in contrasto, in opposizione con le sostanziali esigenze dell’ordinamento giuridico.

L’elemento della colpa viene subito eliminato dalla considerazione soggettiva di queste fattispecie incriminatrici.

Il dolo ricorre quando l’evento dannoso o pericoloso, che è il risultato dell’azione o dell’omissione e dal quale la legge fa dipendere l’esistenza del delitto, è dall’agente previsto e voluto come conseguenza della propria azione o omissione (ex art. 43 c.p.).

L’illecito in questione viene punito a titolo di dolo generico, ritenendosi sufficiente la coscienza e la volontà della immutatio veri, senza che occorra un animus nocendi vel decipiendi (tradotto dal latino: un’ intenzione di nuocere o ingannare).

Il dolo nei delitti di falso in atto pubblico non è “in re ipsa”.

Al contrario, deve essere sempre rigorosamente provato e va escluso quando la falsità risulti essere oltre o contro l’intenzione del soggetto agente.

Il dolo deve essere riscontrato, perché volere la falsità non significa agire con dolo potendo l’imputato avere agito con la persuasione di compiere cosa lecita.

Assume un rilievo, a volte decisivo, ai fini della prova, l’eventuale scopo perseguito o meno dall’agente, di modo che l’indagine riservata al giudice di merito esige che ogni singolo caso sia inquadrato e valutato nella cornice di circostanze concomitanti e parallele.

Gli esempi e le ipotesi di falsità ideologica commessi dal pubblico ufficiale in atti pubblici possono essere innumerevoli.

In tema di falso documentale, si deve intendere la falsità che si riveli in concreto inidonea a ledere l’interesse tutelato dalla genuinità del documento, cioè che non abbia la capacità di conseguire uno scopo antigiuridico.

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