Quando non ricorre il requisito dell’arbitrarietà di cui all’art. 392 c.p.

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(Ricorso dichiarato inammissibile)

(Riferimento normativo: Cod. pen., art. 392)

Il fatto

La Corte d’appello di Catanzaro confermava la sentenza con la quale il Tribunale di Cosenza giudicava l’imputato responsabile del reato di cui all’art. 392 c.p. per essersi, in concorso con altri, fatto giustizia da sé, distruggendo il muro in cemento armato edificato da F.S. sul proprio fondo.

I motivi dedotti nel ricorso per Cassazione

Avverso questa decisione proponeva ricorso per Cassazione, per il tramite del difensore, l’imputato adducendo i seguenti motivi: 1) mancata assunzione di una prova dichiarativa decisiva che avrebbe potuto riferire l’esistenza di un accordo fra le parti sulla costruzione del muro; 2) violazione di legge per l’errata qualificazione, quale possesso piuttosto che diritto di servitù, della situazione giuridica tutelata dall’ordinamento di cui era titolare l’imputato ai fini dell’applicazione della scriminante di cui all’art. 52 c.p.. 

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Il ricorso veniva dichiarato inammissibile alla stregua delle seguenti considerazioni.

Si osservava prima di tutto come fosse inammissibile il primo motivo di ricorso che denunciava la mancata rinnovazione in appello dell’istruzione dibattimentale finalizzata all’esame del teste dedotto la difesa, testimone che il primo giudice, constatata la ingiustificata assenza e la superfluità, aveva revocato in quanto non era stato dedotto alcun concreto interesse all’esame di detto testimone laddove veniva affermato che lo stesso avrebbe dovuto confermare dell’esistenza di un accordo intercorso tra l’imputato la persona offesa relativo alle modalità di corretta costruzione del muro dal momento che, nel caso di specie, secondo la Corte, non costituisce oggetto di accertamento la legittimità della costruzione del muro sul fondo del vicino ma semplicemente l’illiceità della demolizione di tale muro compiuta dall’imputato.

Oltre a ciò, si rilevava come tale ricorso si limitasse a reiterare la richiesta volta all’esame del testimone, di tal che, ad avviso del Supremo Consesso, appariva essere corretta la valutazione compiuta dal giudice di merito che aveva evidenziato come “la circostanza della preesistenza di un accordo aggraverebbe la posizione dell’imputato, poiché confermerebbe che ha agito con violenza per fare valere quello che reputava un accordo già raggiunto”.

Veniva parimenti stimato generico e manifestamente infondato anche il secondo motivo di ricorso. Si faceva difatti presente come i giudici di merito avessero evidenziato l’insussistenza di alcuna immediata e irreparabile compromissione dei diritti dell’imputato che non era stato privato del possesso di alcunché ma che, piuttosto, si era introdotto abusivamente del fondo altrui per demolire il muro ivi edificato il quale, secondo la prospettazione difensiva, recava pregiudizio alla proprietà dell’imputato a causa della possibile defluenza delle acque meteoriche mentre, a fronte di ciò, il ricorso, che contestava la qualificazione in termini di eventuale diritto di servitù, piuttosto che in termini di possesso, sempre secondo la Corte, era generico perché non si confrontava con tale specifica motivazione resa dal giudice di merito.

Si evidenziava a tal proposito come il motivo di ricorso fosse manifestamente infondato anche perchè la giurisprudenza di legittimità ha costantemente affermato che “Il requisito dell’arbitrarietà, che concorre a determinare la punibilità della violenza reale, a norma dell’art. 392 c.p., si deve escludere solo nei casi in cui ricorre una causa di giustificazione secondo la legge penale (artt. 50 c.p. e seguenti) e in quelli stabiliti espressamente da altre norme di legge (ex art. 638 c.p., u.c., e art. 896 c.c.), oppure rientranti nell’ambito dei principi generali del diritto di antica tradizione e costituenti limiti taciti della norma penale, che consentono in continenti la difesa del possesso o la auto-reintegrazione di esso in caso di spoglio violento da parte di altri. In questi ultimi casi è necessario peraltro che la eccezionale reazione legittima del privato sia posta in essere o per evitare la flagrante violazione della situazione possessoria, in corso di aggressione manifesta o subito dopo (quasi flagranza) l’esaurimento di essa nei riguardi della cosa contesa, per far si che non si verifichi, o immediatamente cessi, il nuovo possesso che su di essa tenti di instaurare, o sia riuscito del tutto precariamente ad instaurare, il soggetto verso cui e rivolta la reazione difensiva violenta del possessore” (Sez. 3, n. 4470 del 14/10/1977 dep. 1978) tenuto conto di come recentemente sempre siffatta giurisprudenza avesse ribadito che, “in tema di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, l’arbitrarietà non può ritenersi sussistente qualora ricorra la difesa “in continenti” del possesso o la auto-reintegrazione di esso nell’immediatezza di uno spoglio violento da parte di altri, purché non si tratti di ipotesi di compossesso” (Sez. 6, n. 49760 del 27/11/2012).

Ciò posto, all’inammissibilità del ricorso se ne faceva conseguire, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost., sentenza n. 186 del 2000), anche la condanna al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura determinata in Euro 2.000,00 oltre la rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute dalla parte civile.

Conclusioni

La sentenza in oggetto è assai interessante nella parte in cui chiarisce quando può escludersi il requisito dell’arbitrarietà di cui all’art. 392 c.p..

Difatti, in tale pronuncia, gli ermellini, avvalendosi di un precedente orientamento nomofilattico elaborato in subiecta materia, hanno postulato che il requisito dell’arbitrarietà, che concorre a determinare la punibilità della violenza reale, a norma dell’art. 392 c.p., si deve escludere solo nei casi in cui ricorre una causa di giustificazione secondo la legge penale (artt. 50 c.p. e seguenti) e in quelli stabiliti espressamente da altre norme di legge (ex art. 638 c.p., u.c., e art. 896 c.c.) oppure rientranti nell’ambito dei principi generali del diritto di antica tradizione e costituenti limiti taciti della norma penale, che consentono in continenti la difesa del possesso o la auto-reintegrazione di esso in caso di spoglio violento da parte di altri fermo restando che, da un lato, in questi ultimi casi, è necessario che la eccezionale reazione legittima del privato sia posta in essere o per evitare la flagrante violazione della situazione possessoria, in corso di aggressione manifesta o subito dopo (quasi flagranza) l’esaurimento di essa nei riguardi della cosa contesa, per far si che non si verifichi, o immediatamente cessi, il nuovo possesso che su di essa tenti di instaurare, o sia riuscito del tutto precariamente ad instaurare, il soggetto verso cui e rivolta la reazione difensiva violenta del possessore, dall’altro, l’arbitrarietà non può ritenersi sussistente qualora ricorra la difesa “in continenti” del possesso o la auto-reintegrazione di esso nell’immediatezza di uno spoglio violento da parte di altri purché non si tratti di ipotesi di compossesso.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta decisione, proprio perché fa luce su tale tematica giuridica, dunque, non può che essere positivo.

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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