Quando la pena è illegale

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(Ricorso dichiarato inammissibile)

Il fatto

Il GUP del Tribunale di Fermo aveva applicato su richiesta delle parti ad un imputato la pena concordata in relazione ai reati di rapina aggravata lesioni.

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Il testo è aggiornato a: D.Lgs. 75/2020 (lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione); D.L. 76/2020 (c.d. decreto semplificazioni); L. 113/2020 (Disposizioni in materia di sicurezza per gli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie nell’esercizio delle loro funzioni) e D.L. 130/2020 (c.d. decreto immigrazione).   Fabio PiccioniAvvocato del Foro di Firenze, patrocinante in Cassazione; LL.B., presso University College of London; docente di diritto penale alla Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali; coordinatore e docente di master universitari; autore di pubblicazioni e monografie in materia di diritto penale e amministrativo sanzionatorio; giornalista pubblicista.

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I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso la detta sentenza proponeva ricorso il difensore deducendo i seguenti motivi: 1) vizio di motivazione in ordine all’affermazione di responsabilità per i reati di lesioni e di falso sul rilievo che occorreva verificare l’effettiva portata delle lesioni provocate alla persona offesa e non vi era prova del dolo dell’imputato nei reati di falso; 2) errore nella determinazione della sanzione poiché alla pena base prevista dall’articolo 628 cod. pen. era stato aggiunto un mese di reclusione per l’aggravante ex articolo 61 numero 7 cod. pen. mentre nessun aumento era stato applicato per la continuazione tenuto conto inoltre del fatto che il calcolo della riduzione per il rito, per il ricorrente, si palesava essere erroneo poiché la pena veniva ridotta in misura inferiore ad 1/3.

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Il ricorso veniva dichiarato inammissibile per le seguenti ragioni.

Si osservava prima di tutto come l’art. 448, comma 2-bis cod. proc. pen., come riformulato dall’art. 1, comma 50 dalla legge 23 giugno 2017, n.103, entrata in vigore il 3 agosto 2017, abbia circoscritto l’ambito delle questioni deducibili dalle parti con il ricorso per Cassazione limitando i motivi di impugnazione della sentenza a quelli attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena o della misura di sicurezza.

Da ciò se ne faceva conseguire come l’omessa applicazione dell’aumento di pena per la continuazione criminosa non configuri un’ipotesi di pena illegalmente determinata, con conseguente preclusione alla deduzione, come motivo di ricorso per Cassazione della sentenza di patteggiamento, della relativa censura che involge valutazioni di merito sottese al consenso prestato in sede di applicazione concordata della pena (Sez. 3, n.23084 del 03/05/2011, N. 43821 del 2000, N. 17815 del 2008, N. 43929 del 2009, N. 3100 del 2010) dato che la pena illegale è quella che non sia per legge irrogabile (Sez. 5, n. 45360 del 04/10/2019, Sez. un. N. 28910 del 2019) o la sanzione inflitta in misura illegale, tale essendo la pena diversa, per specie, da quella che la legge stabilisce per un determinato reato, ovvero inferiore o superiore, per quantità, ai relativi limiti edittali (Sez. 6, n. 32243 del 15/07/2014) mentre non rileva il mero vizio del percorso argomentativo attraverso il quale si è giunti alla sua determinazione.

Precisato ciò, gli Ermellini osservavano come, nella delineata prospettiva, in tema di applicazione concordata della pena, sia stato costantemente affermato che, anche dopo l’introduzione dell’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., non sono deducibili con il ricorso per Cassazione gli errori commessi nelle operazioni di calcolo funzionali alla determinazione della pena concordata se il risultato finale non si discosta da quello concordato dalle parti e non si traduce in una pena illegale (Sez. 5, n. 18304 del 23/01/2019, N. 1853 del 2006, N. 44907 del 2013, N. 518 del 2000, N. 51736 del 2016, N. 29668 del 2014) posto che nel patteggiamento l’accordo si forma, non tanto sulla pena inizialmente indicata e sulle eventuali operazioni con le quali essa viene determinata, bensì sul risultato finale delle operazioni stesse (Sez. 4, n. 1853 del 17/11/2005; Sez. 4, n. 518 del 28/1/2000; Sez. 6, n. 1705 del 6/5/1999, in un’ipotesi in cui, nei singoli passaggi intermedi, il calcolo effettuato aveva portato al superamento del limite minimo di pena edittale).

Orbene, declinando tali criteri ermeneutici rispetto al caso di specie, i giudici di piazza Cavour notavano come il ricorrente non contestasse la legalità della pena finale oggetto di accordo ma l’omessa applicazione dell’incremento sanzionatorio imputabile alla continuazione tra i reati formulando pertanto, a loro avviso, una doglianza inammissibile.

Oltre a ciò, il motivo relativo al trattamento sanzionatorio veniva reputato inammissibile anche sotto altro profilo poiché il ricorrente lamentava come non fosse stato applicato alcun aumento in relazione alla continuazione ma certamente non aveva interesse ad impugnare.

La censura veniva peraltro stimata manifestamente infondata poiché dal verbale di udienza emergeva come la pena concordata fosse pari ad anni 5 di reclusione e 3000 euro aumentata di 15 gg ed euro 200 per l’aggravante, e di 15 gg ed euro 100 per la continuazione ed infine ridotta per il rito sicchè l’entità finale del trattamento sanzionatorio coincideva con l’accordo intercorso.

La riduzione operata per la scelta del rito è pari a 1/3 e quindi la censura era, per la Corte, manifestamente infondata.

Conclusioni

La decisione in esame è assai interessante nella parte in cui chiarisce cosa debba intendersi per “pena illegale”.

Difatti, in tale pronuncia, citandosi precedenti conformi, si afferma che la pena illegale è quella che non sia per legge irrogabile o la sanzione inflitta in misura illegale, tale essendo la pena diversa, per specie, da quella che la legge stabilisce per un determinato reato, ovvero inferiore o superiore, per quantità, ai relativi limiti edittali mentre non rileva il mero vizio del percorso argomentativo attraverso il quale si è giunti alla sua determinazione.

Pertanto, tale provvedimento deve essere preso nella dovuta considerazione al fine di verificare se una pena comminata possa reputarsi illegale o meno.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in cotale sentenza, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su siffatta tematica procedurale, dunque, non può che essere positivo.

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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