Indice:
- Il fatto
- I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
- Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
- Conclusioni
Il fatto
Il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Monza, procedendo con rito abbreviato, assolveva l’imputato dal reato ascrittogli, ai sensi degli artt. 56 e 575 cod. pen., per vizio totale di mente.
Conseguiva a tali statuizioni processuali, ritenuta la pericolosità sociale dell’assolto, l’applicazione all’imputato della misura di sicurezza della libertà vigilata con obbligo di dimora per la durata di tre anni.
Ciò posto, a sua volta la Corte di Appello di Milano, pronunciandosi sull’appello proposto dall’imputato, confermava la decisione impugnata e lo condannava al pagamento delle ulteriori spese processuali.
I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Avverso il provvedimento emesso dai giudici di seconde cure proponeva ricorso per Cassazione il difensore dell’imputato, deducendo i seguenti motivi: 1) violazione di legge in riferimento agli artt. 70, 71, 72, 178, comma 1, lett. c), 179, comma 1, cod. proc. pen. conseguente al fatto che entrambe le decisioni di merito erano state pronunciate all’esito di processi penali celebrati nonostante l’incapacità conclamata di stare in giudizio dell’imputato, derivante dalla grave infermità psichica da cui era affetto, per effetto della quale era stato assolto dal tentato omicidio ascrittogli per vizio totale di mente; 2) vizio di motivazione conseguente al fatto che, ad avviso del ricorrente, la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo idoneo a consentire la formulazione di un giudizio di colpevolezza, tenuto conto dell’incertezza sulla dinamica degli accadimenti criminosi che non permetteva di ritenere dimostrato l’intento omicida sotteso alla condotta illecita dell’imputato, imponendo la riqualificazione del reato ascrittogli ex artt. 582 e 585 cod. pen..
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Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
Il ricorso era ritenuto infondato per le seguenti ragioni.
In particolare, quanto alla prima doglianza, gli Ermellini la reputavano inammissibile, richiamandosi a tal proposito la giurisprudenza consolidata della stessa Cassazione formatasi in tema di applicazione dell’art. 70 cod. proc. pen. secondo cui: «In base all’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 70 cod. proc. pen., il processo penale deve essere sospeso ogni volta che lo stato mentale dell’imputato – anche se non necessariamente connesso ad uno stato di malattia al quale consegua l’infermità mentale – ne impedisca la cosciente partecipazione al processo, comprendendo in tale nozione anche la capacità dell’imputato di farsi parte attiva, esercitando il diritto di difesa. Per accertare tale capacità, il giudice ha il potere discrezionale di disporre la perizia ma, qualora ritenga di non disporla e di affermare invece la capacità di stare in giudizio dell’imputato, deve dare una congrua motivazione in merito a tale scelta ed alla valutazione degli elementi a sua disposizione» (Sez. 5, n. 43610 del 27/10/2004; in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 2, n. 33098 del 19/04/2019; Sez. 5, n. 13088 del 07/12/2007).
Orbene, alla stregua di tali considerazioni, a conferma dell’eterogeneità delle nozioni di capacità di intendere e di volere e di capacità di stare in giudizio, era altresì fatto presente che l’eventuale sussistenza di una patologia psichica non è, di per sé sola, causa di sospensione del processo penale ex art. 70 cod. proc. pen., dovendosi, in proposito, richiamare la giurisprudenza consolidata sempre della Corte di Cassazione secondo cui: «In tema di sospensione del processo per incapacità dell’imputato, per escludere il requisito della sua cosciente partecipazione non è sufficiente la presenza di una patologia psichiatrica, anche grave, ma è necessario che l’imputato risulti in condizioni tali da non comprendere quanto avviene e da non potersi difendere, risultando altrimenti impossibile procedere al giudizio nei confronti di soggetti infermi o seminfermi di mente» (Sez. 6, n. 2419 del 23/10/2009; in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 1, n. 14803 del 07/03/2012; Sez. 6, n. 25939 del 17/03/2015).
Da quanto sin qui enunciato i giudici di piazza Cavour ribadivano, pertanto, che, per escludere la partecipazione cosciente dell’imputato al processo penale, rilevante ex art. 70 cod. proc. pen., è necessaria una patologia psichica di gravità tale da non consentirgli di potersi difendere, il cui accertamento, costituendo una quaestio facti, rimessa alla valutazione del giudice di merito, si sottrae al sindacato di legittimità, se motivata nel rispetto dei criteri della logica processuale e delle emergenze nosografiche.
Ebbene, per la Corte di legittimità, queste ragioni imponevano di ribadire l’inammissibilità del primo motivo di ricorso.
Detto questo, quanto alla seconda doglianza, essa era considerata non inammissibile, ma infondata essendo ritenuto corretto l’operato della Corte territoriale che, ad avviso del Supremo Consesso, aveva fatto un buon governo di quell’orientamento nomofilattico secondo cui l’«idoneità degli atti, richiesta per la configurabilità del reato tentato, deve essere valutata con giudizio “ex ante”, tenendo conto delle circostanze in cui opera l’agente e delle modalità dell’azione, in modo da determinarne la reale adeguatezza causale e l’attitudine a creare una situazione di pericolo attuale e concreto di lesione del bene protetto» (Sez. 1, n. 27918 del 04/03/2010; in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 1, n. 1365 del 02/10/1997; Sez. 1, n. 7317 del 13/04/1995), rilevandosi al contempo che siffatto orientamento ermeneutico si inserisce nel solco di un filone giurisprudenziale consolidato e risalente nel tempo, cristallizzato nel seguente principio di diritto: «Al fine di una corretta applicazione dell’art. 56 cod. pen., occorre ricostruire, sulla base delle prove disponibili, la direzione teleologica della volontà dell’agente quale emerge dalle modalità di estrinsecazione concreta della sua azione, allo scopo di accertare quale sia stato il risultato da lui avuto di mira, sì da pervenire con il massimo grado di precisione possibile alla individuazione dello specifico bene giuridico aggredito e concretamente posto in pericolo. Tutti gli ipotizzabili eventi ulteriori suscettibili di essere posti in relazione causale con la detta condotta, ma non voluti dall’agente come conseguenza della propria azione o omissione, sono pertanto destinati a collocarsi al di fuori della sfera di applicazione della norma che punisce il tentativo, acquistando essi rilievo nel solo caso di effettiva lesione del bene protetto» (Sez. 1, n. 7938 del 03/02/1992).
Il ricorso, dunque, era rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
Conclusioni
La decisione in esame è assai interessante essendo ivi chiarito quando il processo penale deve essere sospeso a norma dell’art. 71 c.p.p..
Difatti, tenuto conto che questa norma procedurale, come è noto, al primo comma dispone che, se “a seguito degli accertamenti previsti dall’articolo 70[1], risulta che lo stato mentale dell’imputato è tale da impedirne la cosciente partecipazione al procedimento e che tale stato è reversibile, il giudice dispone con ordinanza che il procedimento sia sospeso, sempre che non debba essere pronunciata sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere”, in tale pronuncia, richiamandosi una giurisprudenza di legittimità consolidata, si afferma che il processo penale deve essere sospeso ogni volta che lo stato mentale dell’imputato – anche se non necessariamente connesso ad uno stato di malattia al quale consegua l’infermità mentale – ne impedisca la cosciente partecipazione al processo, comprendendo in tale nozione anche la capacità dell’imputato di farsi parte attiva, esercitando il diritto di difesa fermo restando che, da un lato, per accertare tale capacità, il giudice ha il potere discrezionale di disporre la perizia ma, qualora ritenga di non disporla e di affermare invece la capacità di stare in giudizio dell’imputato, deve dare una congrua motivazione in merito a tale scelta ed alla valutazione degli elementi a sua disposizione, dall’altro, per escludere il requisito della cosciente partecipazione dell’imputato al processo penale non è sufficiente la presenza di una patologia psichiatrica, anche grave, ma è necessario che costui risulti in condizioni tali da non comprendere quanto avviene e da non potersi difendere, risultando altrimenti impossibile procedere al giudizio nei confronti di soggetti infermi o seminfermi di mente e, nel qual caso, tale accertamento costituisce una quaestio facti rimessa alla valutazione del giudice di merito che si sottrae al sindacato di legittimità se motivata nel rispetto dei criteri della logica processuale e delle emergenze nosografiche.
Tale pronuncia, quindi, può essere presa nella dovuta considerazione ogni volta si debba verificare se ricorrono le condizioni di legge affinché possa essere sospeso un processo penale a norma dell’art. 71 cod. proc. pen..
Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta sentenza, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su codesta tematica procedurale, dunque, non può che essere positivo.
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[1]Ai sensi del quale: “1. Quando non deve essere pronunciata sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere e vi è ragione di ritenere che, per infermità mentale sopravvenuta al fatto, l’imputato non è in grado di partecipare coscientemente al processo, il giudice, se occorre, dispone anche di ufficio, perizia. 2. Durante il tempo occorrente per l’espletamento della perizia il giudice assume, a richiesta del difensore, le prove che possono condurre al proscioglimento dell’imputato, e, quando vi è pericolo nel ritardo, ogni altra prova richiesta dalle parti. 3. Se la necessità di provvedere risulta durante le indagini preliminari, la perizia è disposta dal giudice a richiesta di parte con le forme previste per l’incidente probatorio. Nel frattempo restano sospesi i termini per le indagini preliminari e il pubblico ministero compie i soli atti che non richiedono la partecipazione cosciente della persona sottoposta alle indagini. Quando vi è pericolo nel ritardo, possono essere assunte le prove nei casi previsti dall’articolo 392” c.p.p..
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