Quando è configurabile il reato di cui all’art. 4, comma 4 bis, della legge 13 dicembre 1989 n. 40?

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(Ricorso dichiarato in parte inammissibile)

(Riferimento normativo: L., 13.12.1989, n. 401, art. 4, c. 4-bis)

Il fatto

Il Tribunale di Sciacca dichiarava un imputato colpevole del reato di cui all’art. 4 comma 1 L. n. 401/1989 condannandolo alla pena di mesi tre di arresto ed euro 600 di ammenda.

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso la pronuncia del suindicato Tribunale proponeva ricorso per Cassazione, sia il Procuratore Generale della Corte di appello di Palermo, deducendo un unico motivo di impugnazione, nonché l’imputato formulando, mediante il proprio difensore, quattro motivi di impugnazione.

In particolare, Il Procuratore Generale rappresentava il vizio ex art. 606 comma 1 lett. b) cod. proc. pen. in relazione all’art. 4 comma 5 bis L. 401/1989 e all’art. 240 c.p. in quanto, nel comminare la pena, il giudice avrebbe violato l’art. 4 L. 401/1989 nella parte in cui stabilisce per la relativa fattispecie la pena della reclusione da tre a sei anni e della multa da 20.0000 a 50.000 euro così come avrebbe altresì omesso ogni statuizione in ordine alla confisca obbligatoria in violazione dell’art. 240 c.p. e 5 bis della citata legge.

Dal canto suo l’imputato deduceva, con il primo motivo, il vizio ex art. 606 comma 1 lett. c) cod. proc. pen. per contrasto tra il dispositivo e la motivazione atteso che il giudice avrebbe sanzionato in dispositivo la consumazione, da parte del ricorrente, di una contravvenzione ex art. 4 comma 4 L. 401/89 stabilendo le relative pene con conseguente contraddizione tra la motivazione, relativa ad un delitto, e il dispositivo.

Con il secondo motivo, costui rappresentava la nullità della sentenza ex artt. 521 comma 2 cod. proc. pen. e 522 cod. proc. pen. per la diversità esistente tra i fatti come contestati e quelli ritenuti in sentenza poiché, in motivazione, il Tribunale avrebbe descritto a carico del ricorrente la consumazione di una condotta riconducibile al reato ex art. 4 comma 4 bis L. 401/1989, condotta diversa da quella contestata in imputazione ai sensi dell’art. 4 comma 1 L. 401/1989 ma, tuttavia, il giudice, discostandosi da quanto indicato in motivazione, avrebbe irrogato le sanzioni di cui all’art. 4 comma 1 L. 401/89.

Con il terzo motivo, invece, si deduceva il vizio ex art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen. per manifesta contraddittorietà e illogicità della motivazione giacché il giudice non avrebbe spiegato in che modo si sarebbe estrinsecata la contestata intermediazione illecita nella raccolta delle scommesse.

Non sarebbe stato inoltre illustrato per quali ragioni l’attività dell’imputato avrebbe integrato una condotta di intermediazione nella raccolta di scommesse e per quali ragioni il ricorrente necessitasse dell’autorizzazione ex art. 88 Tulps contestandosi al contempo che la condanna sul piano probatorio facesse riferimento solo a postazioni internet ed al ritrovamento di un coupon di scommesse laddove l’esercizio del ricorrente era solo un bar, senza alcuna traccia riconducibile ad un centro di scommesse.

Si sosteneva, quindi, che l’unica norma applicabile sarebbe quella di cui all’art. 1 comma 923, L. 208/15, che ha introdotto la sanzione amministrativa di euro 20.000, in caso di violazione della norma che vieta l’installazione negli esercizi pubblici “di apparecchiature che attraverso la connessione telematica consentono ai clienti di giocare sulle piattaforme di gioco messe a disposizione dai concessionari on line, da soggetti autorizzati all’esercizio dei giochi a distanza ovvero da soggetti privi di qualsiasi titolo concessorio o autorizzatorio rilasciato dalle competenti autorità” aggiungendosi altresì che, in assenza di raccolta di denaro diretta da parte dell’intermediario, come nel caso di specie, atteso che si osservava come non si sarebbe illustrato rispetto a quale avventore il ricorrente avesse raccolto scommesse né come si fosse ingerito nel rapporto tra bookmaker e scommettitore, non era necessario possedere il titolo di cui all’art. 88 Tulps e quindi la condotta contestata al V. non avrebbe dovuto assumere rilevanza penale.

Con il quarto motivo si deduceva infine il vizio ex art. 606 comma 1, lett. e) cod. proc. pen. per omessa motivazione in relazione alla mancata applicazione della causa di non punibilità ex art. 131 bis cod. pen. pur ricorrendone i presupposti a fronte del modesto disvalore intrinseco della condotta e in ragione delle modalità della stessa.

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Con riguardo al ricorso proposto nell’interesse dell’imputato, occorreva per la Suprema Corte esaminare congiuntamente i primi tre motivi siccome reputati omogenei per fare essi riferimento alla articolazione della motivazione nella complessiva ricostruzione della responsabilità.

Orbene, per il Supremo Consesso, essi erano tutti inammissibili.

Veniva a tal proposito preliminarmente precisato che si contestava l’esercizio abusivo di attività di raccolta di scommesse su eventi sportivi tramite la predisposizione di quattro postazioni internet a disposizione dei clienti, una stampante termica e un televisore a parete, con due delle predette postazioni connesse, al momento della verifica, al sito bet.one365. com trattandosi di una contestazione che appariva essere per la Corte, alla luce della suesposta contestazione, ricondotta alla previsione di cui all’art. 4 comma 4 bis della I. 401/89, secondo la quale “le sanzioni di cui al presente articolo sono applicate a chiunque, privo di concessione, autorizzazione o licenza ai sensi dell’articolo 88 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, e successive modificazioni, svolga in Italia qualsiasi attivita’ organizzata al fine di accettare o raccogliere o comunque favorire l’accettazione o in qualsiasi modo la raccolta, anche per via telefonica o telematica, di scommesse di qualsiasi genere da chiunque accettate in Italia o all’estero”.

Ebbene, per gli Ermellini, tanto risultava essere stato esplicitamente attestato nella sentenza impugnata (pag. 2) laddove il giudice aveva espressamente evidenziato l’emersione della condotta, del ricorrente, consistente dell’abusivo esercizio dell’organizzazione di pubbliche scommesse su competizioni sportive, per conto di società esterne in assenza di autorizzazione ex art. 88 T.U.L.P.S., richiamando al riguardo la conforme deposizione di un teste, descrittiva di indizi convergenti nel senso di quanto ascritto all’imputato, nonché rappresentando, a conferma della riconducibilità della predetta attività al medesimo, l’inverosimiglianza – indiscutibile alla luce dei dati fattuali emersi, rinvenibili nella presenza, nel locale commerciale dell’imputato, non solo di postazioni internet indirizzate su siti di scommesse, ma anche di un tagliando di scommesse e di una stampante (evidentemente sintomatiche di una diretta partecipazione all’attività da parte del gestore) – della tesi difensiva per cui i pc rinvenuti erano collocati solo “per attirare qualche cliente in più” mentre la stampante sarebbe servita per le ordinazioni del tavolo realizzate attraverso i tablet.

Una ricostruzione di tal fatta, ad avviso dei giudici di piazza Cavour, era in linea con il principio secondo il quale il reato di cui all’art. 4, comma 4 bis, della legge 13 dicembre 1989 n. 401 (svolgimento di attività organizzata per la accettazione e raccolta anche per via telefonica e telematica di scommesse o per favorire tali condotte) risulta integrato da qualsiasi attività, comunque organizzata, attraverso la quale si eserciti, in assenza di concessione, autorizzazione o licenza ai sensi dell’art. 88 R. D. 18 giugno 1931 n. 773 (testo unico delle leggi di pubblica sicurezza), una funzione intermediatrice in favore di un gestore di scommesse (Sez. U, 23271 del 26/04/2004; in motivazione, Sez. 3, n. 35067 del 12/04/2016) tenuto conto altresì del fatto che la stretta ed evidente correlazione tra la fattispecie concretamente descritta dall’art. 4 comma 4 bis della L. 401/89 e quella formalmente riportata nel capo di imputazione, fa sì che, ad avviso degli Ermellini, rimaneva essere irrilevante, al fine di stabilire la portata della contestazione, il richiamo, frutto di un mero errore materiale, all’art. 4 comma 1 invece che comma 4 bis della legge citata.

Con conseguente assenza della necessità di qualsiasi formale riqualificazione da parte del giudice, posto che, in tema di contestazione dell’accusa, si deve avere riguardo alla specificazione del fatto più che all’indicazione delle norme di legge violate per cui, ove il fatto sia descritto in modo puntuale, la mancata o erronea individuazione degli articoli di legge violati è irrilevante e non determina nullità salvo che non si traduca in una compressione dell’esercizio del diritto di difesa (Sez. 1 – , n. 30141 del 05/04/2019), si giungeva alla conclusione secondo ciò era insussistente nel caso in esame alla luce della completa contestazione dei fatti di cui l’imputato era chiamato a rispondere.

Tal che se ne faceva conseguire che, da quanto sinora osservato, non vi era, per la Corte di legittimità, contrasto tra contestazione e motivazione da una parte e dispositivo dall’altra avendo il giudice condannato il ricorrente in relazione al reato ex art. 4 comma 4 bis citato, in conformità a quanto contestato, motivato, nonché stabilito in dispositivo attraverso la dichiarazione di colpevolezza dell’imputato per “il reato a lui ascritto” con applicazione di pena corrispondente al reato.

Il primo motivo era quindi stimato manifestamente infondato e, per le sue esposte complessive considerazioni, apparivano essere inammissibili anche il secondo e terzo motivo.

Ciò posto, inammissibile era anche ritenuto il quarto motivo atteso che, alla luce dell’epigrafe della sentenza e della ricapitolazione delle conclusioni delle parti ivi contenuta, e stante il ricorso proposto in cui non si attestava la formulazione, nel giudizio di appello, della richiesta di applicazione della causa di non punibilità ex art. 131 bis cod. pen. (cfr. sul punto sez. 2, n. 31650 del 03/04/2017), la questione in esame, per la Corte, appariva essere stata proposta per la prima volta in sede di legittimità ordinaria per cui trovava applicazione il principio secondo il quale, in tema di ricorso per Cassazione, la regola ricavabile dal combinato disposto degli artt. 606, comma terzo, e 609, comma secondo, cod. proc. pen., – secondo cui non possono essere dedotte in cassazione questioni non prospettate nei motivi di appello, tranne che si tratti di questioni rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del giudizio o di quelle che non sarebbe stato possibile dedurre in grado d’appello -, trova la sua “ratio” nella necessità di evitare che possa sempre essere rilevato un difetto di motivazione della sentenza di secondo grado, con riguardo ad un punto del ricorso non investito dal controllo della Corte di appello, perché non segnalato con i motivi di gravame [cfr. Sez. 4, n. 10611 del 04/12/2012 (dep. 07/03/2013)].

Quanto al ricorso proposto dal Procuratore Generale, esso veniva considerato infondato quanto alla dedotta illegalità della pena applicata alla luce di quanto sopra illustrato mentre era stimata inammissibile la censura sulla mancata confisca, ad avviso della Corte, per carenza di specificità, non avendo il ricorrente illustrato su quali beni si sarebbe dovuta disporre l’invocata misura di sicurezza.

Conclusioni

La decisione in esame è assai interessante essendo ivi chiarito quando è configurabile il reato di cui all’art. 4, comma 4 bis, della legge 13 dicembre 1989 n. 40.

Difatti, in tale pronuncia, citandosi precedenti conformi, si postula che il reato di cui all’art. 4, comma 4 bis, della legge 13 dicembre 1989 n. 401 (svolgimento di attività organizzata per la accettazione e raccolta anche per via telefonica e telematica di scommesse o per favorire tali condotte) risulta integrato da qualsiasi attività, comunque organizzata, attraverso la quale si eserciti, in assenza di concessione, autorizzazione o licenza ai sensi dell’art. 88 R. D. 18 giugno 1931 n. 773 (testo unico delle leggi di pubblica sicurezza), una funzione intermediatrice in favore di un gestore di scommesse.

Tale provvedimento, quindi, deve essere preso nella dovuta considerazione al fine di verificare la sussistenza di questo illecito penale.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta decisione, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su cotale tematica giuridica, dunque, non può che essere positivo.

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