[Riferimento normativo: l., 22 aprile 2005, n. 69, art. 18-bis, c. 1, lett. c)]
Il fatto
La Corte di appello di Roma disponeva la consegna richiesta dalle autorità giudiziarie rumene con mandato di arresto europeo al fine della esecuzione della pena di anni due e mesi undici di reclusione per reati di furto, tentato furto, guida in stato di ebbrezza, danneggiamento, resistenza e minaccia a pubblico ufficiale e sospendendone l’esecuzione sino alla cessazione della pena inflittagli per la giustizia italiana.
I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Avverso questo provvedimento proponeva ricorso per Cassazione il difensore dell’interessato deducendo i seguenti motivi: 1) violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 18, lett. g), l. n. 69 del 2005 posto che il processo in Romania si era svolto in absentia del ricorrente e non risultava che quest’ultimo avesse avuto un equo processo ai sensi dell’art. 6 CEDU in quanto vi era stata una valutazione delle prove senza un effettivo riscontro dei fatti (in particolare quanto alla partecipazione del ricorrente alle azioni contestate posto che si trattava di caso isolato o di fatti commessi in stato di incapacità per l’abuso di alcool, o di ruolo marginale); la sentenza rumena, dunque, era viziata in quanto poco comprensibile e contraddittoria quanto alla responsabilità del ricorrente e non risultavano pertanto fondate le ragioni che legittimavano le ipotesi accusatorie; 2) vizio di motivazione in relazione all’art. 18, lett. r), l. n. 69 del 2005 poichè il ricorrente viveva stabilmente in Italia ed era quindi radicato nel territorio italiano mentre la motivazione sul punto era carente e di stile.
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
Il ricorso veniva dichiarato inammissibile per le seguenti ragioni.
Si osservava a tal proposito, per quanto riguarda il primo motivo, che, ad avviso del Supremo Consesso, il ricorrente si era limitato soltanto a criticare il ragionamento probatorio della sentenza impugnata senza evidenziare alcun elemento rappresentativo di una specifica violazione dell’art. 6 CEDU mentre veniva rammentato per contro che, a fronte di un m.a.e. esecutivo, a differenza che di quello di natura processuale, non compete allo Stato di esecuzione alcun sindacato sulla valutazione delle prove poste alla base della sentenza irrevocabile di condanna (Sez. 6, n. 46223 del 24/11/2009).
Inoltre, la circostanza che il ricorrente fosse rimasto contumace durante il processo, per i giudici di piazza Cavour, non era di per sé indice della non equità del processo alla luce delle specifiche regole fissate per i processi in absentia dall’art. 19 della I. n. 69 del 2005.
Ciò posto, per quanto concerne il secondo motivo, veniva evidenziato che il motivo di rifiuto, richiamato dal ricorrente, di cui all’art. 18-bis, lett. c), l. n. 69 del 2005 secondo cui “La corte di appello può rifiutare la consegna …. c) se il mandato d’arresto europeo è stato emesso ai fini della esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà personale, qualora la persona ricercata sia cittadino italiano o cittadino di altro Stato membro dell’Unione europea, che legittimamente ed effettivamente abbia residenza o dimora nel territorio italiano, sempre che la corte di appello disponga che tale pena o misura di sicurezza sia eseguita in Italia conformemente al suo diritto interno” richiede la valutazione in ordine alla meritevolezza dell’interesse del condannato – cittadino italiano o di altro Stato membro dell’Unione Europea – ad espiare la pena nel territorio italiano (Sez. 6, n. 4534 del 30/01/2020).
Orbene, a fronte di tale quadro ermeneutico, gli Ermellini rilevavano che le critiche del ricorrente alla decisione della Corte di appello di non applicare l’ipotesi di rifiuto in esame si presentavano a loro avviso generiche in quanto non si correlavano né con la nuova formulazione della norma, né con la spiegazione fornita dalla sentenza impugnata dato che, secondo i Giudici distrettuali, il ricorrente non aveva stabili rapporti di convivenza con altri familiari in Italia (la madre risulta vivere in altra città).
Conclusioni
La decisione in esame è assai interessante nella parte in cui si spiega quale valutazione è richiesta per verificare la sussistenza o meno del motivo di rifiuto alla consegna previsto dall’art. 18-bis, lett. c), l. n. 69 del 2005 (“La corte di appello può rifiutare la consegna …. c) se il mandato d’arresto europeo è stato emesso ai fini della esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà personale, qualora la persona ricercata sia cittadino italiano o cittadino di altro Stato membro dell’Unione europea, che legittimamente ed effettivamente abbia residenza o dimora nel territorio italiano, sempre che la corte di appello disponga che tale pena o misura di sicurezza sia eseguita in Italia conformemente al suo diritto interno”) essendo ivi stabilito, citandosi un precedente conforme, che, per potersi stimare sussistente questo motivo, occorre una valutazione in ordine alla meritevolezza dell’interesse del condannato – cittadino italiano o di altro Stato membro dell’Unione Europea – ad espiare la pena nel territorio italiano.
E’ dunque consigliabile, ove si richiami un motivo di questo genere, addurre circostanze ben circostanziate in ordine alla “meritevolezza” di un effettivo interesse di colui nei cui confronti è stato emesso un mandato di arresto europeo ad espiare la pena nel nostro Paese sempre che costui abbia una legittima ed effettiva residenza o dimora nel territorio italiano o in un altro Stato membro dell’Unione europea.
Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta pronuncia, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su tale tematica giuridica, dunque, non può che essere positivo.
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