Quale motivazione è richiesta nel caso di riforma della sentenza di primo grado

Scarica PDF Stampa
(Annullamento perché il reato è estinto per prescrizione)

SOMMARIO: Il fattoI motivi addotti nel ricorso per CassazioneLe valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione Conclusioni

Il fatto

La Corte di appello di Potenza assolveva per insussistenza del fatto un imputato per reato di falsa testimonianza, ad intervenuta prescrizione dello stesso, in riforma di una sentenza resa dal Tribunale di Lagonegro che ne aveva disposto la condanna alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione nonché al risarcimento dei danni nei confronti della parte civile costituita.

La responsabilità dell’imputata era stata ritenuta in riferimento alle false dichiarazioni rese in un’udienza inerente un procedimento civile di separazione giudiziale tra il fratello di lei e la moglie, quanto ai rapporti tra i coniugi, ed all’assistenza asseritamente prestata dal padre al figlio minore della coppia, affetto da grava patologia oncologica sin dalla nascita.

>>Sull’argomento, vedasi anche: L’impugnazione consentita alla parte civile ai sensi dell’art. 576 c.p.p.; il principio di autosufficienza del ricorso; il problema inerente la c.d. “doppia conforme”, l’obbligo del giudice di motivare sul perché abbia “preferito” una perizia rispetto all’altra di: Di Tullio D’Elisiis Antonio, diritto.it, 29 ottobre 2012)

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Ricorreva per cassazione, ai soli effetti della responsabilità civile, la parte civile, a mezzo del suo difensore, articolando le proprie doglianze nei seguenti motivi: 1) vizio di motivazione per manifesta illogicità in quanto, dopo avere escluso la ricorrenza dell’elemento psicologico del reato in addebito, la sentenza aveva sancito, in dispositivo, l’insussistenza del fatto con formula che corrispondeva, invece, alla mancanza dell’elemento materiale; 2) vizio di motivazione per essere la decisione impugnata del tutto carente in punto di valutazione delle prove non essendo confutati gli elementi fondativi dell’accusa in modo tale da giustificare la riforma in senso proscioglitivo della condanna; in particolare, ad avviso della difesa, la Corte di appello si era limitata ad affermare che dal primo giudice si fosse “attribuita eccessiva rilevanza” alle deposizioni dei testi escussi senza vagliarle criticamente, in dispregio delle “ragioni difensive già emergenti dal materiale probatorio”, materiale di cui non veniva neppur sinteticamente indicato il contenuto; 3) violazione di legge in rapporto all’art. 372 cod. pen. sulla base dei medesimi motivi di cui innanzi.

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Il ricorso veniva ritenuto fondato poiché, ad avviso del Supremo Consesso, l’impianto motivazionale della sentenza impugnata si basava sugli apodittici passaggi indicati dal difensore in ricorso ed era, all’evidenza, del tutto apparente, a fronte di una sentenza di condanna di primo grado articolata e coerente nel suo ordito, sia quanto alla disamina degli elementi dimostrativi acquisiti in giudizio, sia quanto al risultato che ne è stato tratto.

Nello specifico, si faceva presente come la Corte territoriale avesse dedotto l’esistenza di atti processuali non esplicitamente presi in considerazione nella motivazione del provvedimento di primo grado, ovvero non correttamente od adeguatamente interpretati dal giudicante, senza identificare tali atti e senza individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio che da essi emergeva e che risultava incompatibile con la ricostruzione operata.

Attraverso il rinvio alle censure sviluppate nell’appello, in cui sarebbero state condensate le ragioni difensive ignorate dal primo giudice, si intuiva, per il Supremo Consesso che, secondo la Corte territoriale, le prove raccolte, costituite dalle deposizioni della costituita parte civile, ma anche da taluni testimoni, non avevano esposto alcuna circostanza che si fosse posta “ontologicamente in frontale ed insanabile contrasto con quanto dichiarato dalla prevenuta”.

Dunque, da ciò se ne faceva conseguire una carenza motivazionale – che sottintendeva un sostanziale travisamento della prova – posto che tali risultanze fattuali, per la Corte di legittimità, non avevano trovato alcuna confutazione nella motivazione della sentenza di secondo grado.

Al riguardo, veniva osservato come costituisca principio ormai consolidato, sancito da Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, che il giudice di appello, il quale riformi totalmente la decisione di primo grado, ha l’obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare il ribaltamento del provvedimento impugnato fermo restando che, secondo la medesima direttrice ermeneutica, gli Ermellini, nella sua massima espressione nomofilattica, hanno ribadito anche di recente che, sebbene non abbia l’obbligo di rinnovare l’istruzione dibattimentale mediante l’esame dei soggetti che hanno reso dichiarazioni ritenute decisive – e ciò in linea con il principio della presunzione di innocenza -, il giudice di appello, in caso di riforma della sentenza di primo grado, deve comunque offrire una motivazione puntuale e adeguata che fornisca una razionale giustificazione della conclusione adottata in difformità da quella di primo grado (Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017).

Ciò comporta, quindi, secondo i giudici di piazza Cavour, che il giudice di appello, che riformi totalmente la decisione posta al suo vaglio, ha l’obbligo di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, non potendo egli limitarsi ad imporre la propria valutazione del compendio probatorio perché preferibile a quella coltivata nel provvedimento impugnato; né può ritenersi assolto il correlativo obbligo motivazionale, laddove il giudice della riforma inserisca nella struttura argomentativa della decisione posta al suo vaglio, genericamente richiamata, delle mere notazioni critiche di dissenso, senza riesaminare, sia pure in sintesi, il materiale probatorio esaminato dal primo giudice, considerando quello eventualmente sfuggito alla sua valutazione e quello ulteriormente acquisito, per dare, riguardo a quanto non sia condiviso, una nuova e compiuta struttura motivazionale (Sez. 6, n. 10130 del 20/01/2015; Sez. 6, n. 1253 del 28/11/2013).

Riconosciuta la fondatezza della impugnazione della parte civile sotto il profilo del vizio di motivazione, la Cassazione dispone tuttavia l’annullamento della sentenza impugnata perché estinto il reato in addebito per prescrizione fermo restando che, rilevata la fondatezza del ricorso, veniva individuato il giudice del rinvio per la valutazione delle questioni civili e, segnatamente, il giudice civile competente per valore in grado di appello ai sensi dell’art. 622 cod. proc. pen. tenuto altresì conto del fatto che se, alla luce dell’orientamento prevalente, la ratio di tale norma va ravvisata, secondo il dictum della sentenza delle Sezioni Unite, n. 40109 del 18/07/2013, nella volontà di escludere la perdurante attrazione delle pretese civili nel processo penale, una volta che siano definitive le statuizioni di carattere penale, statuizioni tra le quali rientrano anche quelle che dichiarano l’estinzione del reato per prescrizione, in virtù di tale esegesi, l’art. 622 cod. proc. pen. disciplina, dunque, la fase in cui, all’esito del giudizio di cassazione, la regiudicanda penale si sia esaurita (essendosi prescritto il reato o essendo divenuta irrevocabile la sentenza di assoluzione) ed il giudizio debba proseguire con riferimento alle sole statuizioni civili da reato, non avendo più alcuna ragion d’essere, da tale momento, la speciale competenza promiscua (civile e penale), conseguente alla costituzione di parte civile nel processo penale, e dovendo privilegiarsi, al contrario, una lettura ispirata al favor separationis, stante il carattere incidentale ed accessorio di tale azione nel giudizio per l’accertamento del reato; ciò anche a prescindere dalle ragioni che hanno condotto a ritenere viziata la sentenza impugnata dinanzi al giudice di legittimità (v. Sez. U, n. 22065 del 28/01/2021, in parte motiva; Sez. 5, n. 28848 del 21/09/2020).

Volume consigliato

Manuale operativo dell’esecuzione penale

Con un taglio pratico e operativo, l’opera analizza la fase esecutiva che segue il processo di cognizione e che si apre con la riconosciuta responsabilità penale dell’imputato.Attenzione è dedicata ai rapporti funzionali tra il processo di cognizione, la fase esecutiva e la giurisdizione di sorveglianza, al fine di guidare l’operatore nelle proprie scelte difensive, nell’ottica complessiva del processo penale, senza limitarsi alle singole fasi procedurali.L’analisi delle modalità esecutive delle diverse tipologie di pena viene seguita dalla trattazione del titolo esecutivo: natura, esecuzione vera e propria e possibili modificazioni.Spazio viene dedicato ai procedimenti tout court, relativi all’esecuzione e alla procedura di sorveglianza; completa l’opera la trattazione dell’esecuzione penale nei rapportigiurisdizionali con le autorità straniere.Cristina MarzagalliGiudice del Tribunale di Varese, Formatore della Scuola Superiore della Magistratura per il distretto di Milano, ha una competenza specifica nell’ambito del diritto penale e dell’esecuzione penale. È componente della Corte d’Assise, del Collegio Penale e del Tribunale del Riesame. Ha rivestito in passato i ruoli di Giudice per le Indagini Preliminari e di Magistrato di Sorveglianza. È stata componente del Tavolo IX degli Stati Generali dell’esecuzione penale.

Cristina Marzagalli | 2020 Maggioli Editore

26.00 €  24.70 €

Conclusioni

La decisione in esame è assai interessante poiché in essa, citandosi precedenti conformi, è chiarito quale motivazione è tenuto ad adottare il giudice di appello nel caso in cui riformi la sentenza emessa nel precedente grado di giudizio.

Difatti, in siffatta pronuncia, è postulato che il giudice di appello, il quale riformi totalmente la decisione di primo grado, ha l’obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare il ribaltamento del provvedimento impugnato mediante una motivazione puntuale e adeguata che fornisca una razionale giustificazione della conclusione adottata in difformità da quella di primo grado dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, non potendo egli limitarsi ad imporre la propria valutazione del compendio probatorio perché preferibile a quella coltivata nel provvedimento impugnato così come non può ritenersi assolto il correlativo obbligo motivazionale laddove il giudice della riforma inserisca nella struttura argomentativa della decisione posta al suo vaglio, genericamente richiamata, delle mere notazioni critiche di dissenso, senza riesaminare, sia pure in sintesi, il materiale probatorio esaminato dal primo giudice, considerando quello eventualmente sfuggito alla sua valutazione e quello ulteriormente acquisito, per dare, riguardo a quanto non sia condiviso, una nuova e compiuta struttura motivazionale.

Tale provvedimento, quindi, può essere preso nella dovuta considerazione al fine di verificare se i giudici di seconde cure abbiano correttamente riformato il provvedimento emesso nel primo grado di giudizio.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in cotale sentenza, di conseguenza, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su questa tematica procedurale, non può che essere positivo.

Volume consigliato

Manuale operativo dell’esecuzione penale

Con un taglio pratico e operativo, l’opera analizza la fase esecutiva che segue il processo di cognizione e che si apre con la riconosciuta responsabilità penale dell’imputato.Attenzione è dedicata ai rapporti funzionali tra il processo di cognizione, la fase esecutiva e la giurisdizione di sorveglianza, al fine di guidare l’operatore nelle proprie scelte difensive, nell’ottica complessiva del processo penale, senza limitarsi alle singole fasi procedurali.L’analisi delle modalità esecutive delle diverse tipologie di pena viene seguita dalla trattazione del titolo esecutivo: natura, esecuzione vera e propria e possibili modificazioni.Spazio viene dedicato ai procedimenti tout court, relativi all’esecuzione e alla procedura di sorveglianza; completa l’opera la trattazione dell’esecuzione penale nei rapportigiurisdizionali con le autorità straniere.Cristina MarzagalliGiudice del Tribunale di Varese, Formatore della Scuola Superiore della Magistratura per il distretto di Milano, ha una competenza specifica nell’ambito del diritto penale e dell’esecuzione penale. È componente della Corte d’Assise, del Collegio Penale e del Tribunale del Riesame. Ha rivestito in passato i ruoli di Giudice per le Indagini Preliminari e di Magistrato di Sorveglianza. È stata componente del Tavolo IX degli Stati Generali dell’esecuzione penale.

Cristina Marzagalli | 2020 Maggioli Editore

26.00 €  24.70 €

 

Sentenza collegata

113549-1.pdf 122kB

Iscriviti alla newsletter per poter scaricare gli allegati

Grazie per esserti iscritto alla newsletter. Ora puoi scaricare il tuo contenuto.

Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento