Qual è il controllo di legittimità affidato alla Corte di Cassazione nella materia dei provvedimenti di applicazione e di proroga del regime detentivo di cui all’art. 41-bis Ord. pen.

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(Ricorso dichiarato inammissibile)

(Riferimento normativo: Ord. pen., art. 41-bis)

Il fatto

Il Tribunale di sorveglianza di Roma rigettava il reclamo proposto avverso il decreto con il quale era stata applicata al detenuto – in stato di esecuzione della pena e della custodia cautelare in carcere – la proroga per anni due della sospensione di alcune regole del trattamento penitenziario secondo quanto previsto dall’art. 41-bis, Ord. pen..

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I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Proponeva ricorso per cassazione il detenuto, tramite il proprio difensore, svolgendo doglianze affidate a due motivi così formulati: 1) illegittimità costituzionale dell’art. 41-bis Ord. pen. poiché esso, in violazione degli artt. 2, 3, 13, 24, 111 e 117 Cost., rimette all’autorità ministeriale il potere di disporre una misura di prevenzione personale; 2) violazioni degli artt. 41-bis e 14-bis Ord. pen. posto che la motivazione della decisione, ad avviso del ricorrente, si rivelava essere solo apparente poiché, ai fini della verifica dei presupposti richiesti dal regime di cui all’art. 41-bis Ord. pen., erano state semplicemente richiamate due pendenze giudiziarie: una per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. e l’altra per associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, per fatti risalenti al 2010 mancando così ogni spiegazione sulla permanenza attuale dei rapporti con la criminalità organizzata.

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Il ricorso in questione veniva dichiarato inammissibile per le seguenti ragioni.

Quanto al primo motivo, veniva rilevato che, come evidenziato nel provvedimento impugnato, era stata riproposta la medesima questione di legittimità costituzionale già disattesa con la precedente ordinanza emessa nei confronti del ricorrente dal Tribunale di sorveglianza di Roma essendo stata essa già ritenuta manifestamente infondata anche dalla Corte di cassazione (Sez. 1, n. 18791 del 06/02/2015).

Pertanto, a fronte delle chiare e univoche argomentazioni di segno contrario esposte in tale sentenza, interamene richiamate e condivise nella pronuncia qui in commento, ad avviso dei giudici di piazza Cavour, la difesa non faceva altro che esporre gli stessi argomenti con evidenza privi di fondamento.

Da ciò se ne faceva derivare l’inammissibilità delle censure mosse con il primo motivo.

Con riferimento al secondo motivo, veniva premesso che il controllo di legittimità affidato alla Corte di Cassazione nella materia dei provvedimenti di applicazione e di proroga del regime detentivo di cui all’art. 41-bis Ord. pen. rimane circoscritto alla violazione di legge cosicché, quanto alla motivazione, gli unici rilievi che possono trovare ingresso sono quelli che ne rappresentano la mancanza – oltre che grafica – sotto il profilo dell’assenza dei requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità in relazione agli elementi sui quali deve cadere la verifica dei presupposti di legge in modo da risultare la motivazione per la mancanza dei suindicati requisiti solamente apparente, giacché assolutamente inidonea a rendere comprensibile l’iter logico seguito dal giudice di merito nel pervenire alla decisione (fra le altre, Sez. 1, n. 48494 del 9/11/2004; Sez. 1, n. 5338 del 14/11/2003).

Dunque, solamente in tali ipotesi, è configurabile la violazione di legge poiché il provvedimento risulta privo del requisito della motivazione richiesto dall’art. 125 cod. proc. pen. e dal comma 2-sexies dell’ art. 41-bis Ord. pen. mentre restano estranei all’ambito della verifica di legittimità consentita in materia, non solo tutti quei rilievi che invocano l’apprezzamento degli elementi acquisiti che è riservato alle valutazioni di merito, ma anche il controllo della motivazione sotto il limitato profilo della mera contraddittorietà o illogicità.

L’art. 41-bis Ord. pen., ai fini dell’adozione del provvedimento di sospensione, in tutto o in parte, delle ordinarie regole del trattamento penitenziario nei confronti dei soggetti condannati o imputati per taluno dei gravi reati ivi menzionati, richiede «elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con un’associazione criminale, terroristica o eversiva» così esigendosi al riguardo, secondo la costante giurisprudenza di legittimità (fra le altre, Sez. 1, n. 4857 del 10/03/2016; Sez. 1, n. 39760 del 28/09/2005; Sez. 1, n. 46013 del 29/10/2004), non già un giudizio di certezza secondo i parametri dell’accertamento probatorio che non costituisce elemento sufficiente a escludere la «capacità» di cui sopra, ma la formulazione di una ragionevole previsione sulla scorta dei dati conoscitivi acquisiti fra cui assumono primaria rilevanza, sempre in chiave di valutazione prognostica, quelli desumibili dai fatti di cui alle condanne già intervenute o ai procedimenti ancora in corso.

E, in tale ambito, ad avviso del Supremo Consesso, è appropriato apprezzare in via deduttiva, nell’ottica della verifica del citato collegamento con la criminalità organizzata (così da derivarne le particolari prescrizioni del regime speciale a tutela di primarie esigenze di ordine e sicurezza), elementi come quelli rappresentati dal ruolo assunto dal soggetto considerato in quel genere di fenomeno, dall’ampiezza delle relazioni che ne sono conseguite e dalle loro particolari modalità con riferimento alla plausibile stabilità, a fronte di un’organizzazione criminale che appaia ancora presente (in tale senso, fra le altre, Sez. 1, n. 305 del 06/02/2015) trattandosi di un accertamento prognostico del tutto particolare poiché gli obiettivi perseguiti in ambito preventivo non attengono propriamente al pericolo di reiterazione delle medesime condotte delittuose ma si fermano a un più anticipato momento di tutela: quello in cui ci si propone di prevenire, tramite le funzionali prescrizioni del regime detentivo speciale, è il solo collegamento con il contesto di criminalità organizzata nel quale sono maturati i fatti di grave allarme ragionevolmente riferiti ai delitti citati dall’art. 41-bis (Sez. 1, n. 44149 del 19/04/2016; Sez. 5, n. 40673 del 30/05/2012).

Quanto in particolare ai requisiti della proroga del regime di cui all’art. 41-bis Ord. pen., gli Ermellini osservavano come quello che deve essere apprezzato non è tanto il concreto realizzarsi di nuovi momenti di collegamento esterno con il contesto di criminalità organizzata in ragione dell’elusione delle particolari disposizioni già predisposte per impedirli quanto più propriamente la necessità di rendere ancora vigenti tali disposizioni, riscontrandosi – non obbligatoriamente in considerazione di specifici elementi sopraggiunti – la permanenza di quelle apprezzabili condizioni di pericolo che avevano giustificato originariamente il regime speciale (Sez. 1, n. 2660 del 09/10/2018; Sez. 1, n. 41731 del 15/11/2005; Sez. 1, n. 40220 del 20/10/2005; Sez. 1, n. 39760 del 28/09/2005; Sez. 1, n. 36302 del 21/09/2005).

A tal riguardo si evidenzia come il comma 2-bis dell’art. 41-bis Ord. pen. indichi appunto la verifica della «capacità» di mantenere quei collegamenti a suo tempo riscontrati «anche» tenendo conto di alcuni parametri elencati in termini non esaustivi: il profilo criminale, la posizione rivestita all’interno dell’associazione, la perdurante operatività della stessa, la sopravvenienza di nuove incriminazioni non precedentemente valutate, gli esiti del trattamento penitenziario, il tenore di vita dei familiari del sottoposto trattandosi di un ponderato apprezzamento di merito in ordine agli elementi che di volta in volta richiedono attenzione nel caso concreto giacché in grado di incidere in senso positivo o negativo ai fini della verifica del presupposto di cui trattasi in termini di attualità (Sez. 1, n. 40673 del 30/05/2012) ossia un apprezzamento che, ove accompagnato da motivazione nei termini sopra descritti in cui possa ritenersi effettivamente rappresentata, rimanga del pari esente da censure in sede di legittimità sotto il profilo della violazione di legge.

Orbene, a fronte di tale quadro ermeneutico, la Cassazione faceva presente come i rilievi mossi dal ricorrente non avessero alcuna attitudine a dimostrare che il provvedimento impugnato non si fosse attenuto ai principi sopra illustrati posto che le censure proposte si limitavano a considerare l’esistenza del solo precedente giudiziario che aveva determinato l’applicazione della misura cautelare così non misurandosi con l’intera motivazione del provvedimento che aveva dato altresì conto delle condanne del ricorrente per la partecipazione mafiosa in ragione di una lunga e assai qualificata appartenenza alla ‘ndrangheta rimasta accertata secondo le contestazioni allora mosse dall’anno 1998 fino all’aprile del 2011.

Il ricorso trascurava poi del tutto, sempre ad avviso dei giudici di legittimità ordinaria, le articolate osservazioni di merito che rappresentavano come le emergenze acquisite e già poste in evidenza nel decreto ministeriale indicassero il detenuto come una figura di massima rilevanza nell’intero panorama delle complesse ramificazioni delle articolazioni della ‘ndrangheta con conseguenti manifestazioni di pericolosità rimaste stabili e durature a fronte dell’immutato contesto in cui esse si erano estrinsecate e potevano estrinsecarsi stante anche quanto accertato circa l’inserimento del ricorrente nei traffici di droga.

Con riguardo alla rappresentazione dell’attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata, le obiezioni difensive, limitandosi nella sostanza a porre in evidenza il decorso del tempo (in sé irrilevante), per la Corte, non si rapportavano non solo con quanto sopra esposto ma anche con le ulteriori considerazioni di merito che avevano appropriatamente posto in rilievo il sostentamento che il detenuto avevo potuto ricevere dalla cosca di riferimento negli anni di latitanza fino all’arresto.

Infine, nell’ultima parte del motivo di cui trattasi, veniva notato come fosse stato affermato, in contrasto con il testo del provvedimento, che il ricorrente sarebbe stato detenuto solo per il titolo cautelare sopracitato che in ogni caso, per la Cassazione, pienamente legittimava il regime differenziato.

Pertanto, anche il secondo motivo del ricorso risultava per il Supremo Consesso essere inammissibile in ragione dell’aspecificità e comunque della manifesta infondatezza delle censure.

Conclusioni

La decisione in esame è assai interessante nella parte in cui spiega qual è il controllo di legittimità affidato alla Cassazione nella materia dei provvedimenti di applicazione e di proroga del regime detentivo di cui all’art. 41-bis Ord. pen..

Difatti, in tale pronuncia, richiamandosi precedenti conformi, è postulato che il controllo di legittimità affidato alla Corte di cassazione nella materia dei provvedimenti di applicazione e di proroga del regime detentivo di cui all’art. 41-bis Ord. pen. rimane circoscritto alla violazione di legge cosicché, quanto alla motivazione, gli unici rilievi che possono trovare ingresso sono quelli che ne rappresentano la mancanza – oltre che grafica – sotto il profilo dell’assenza dei requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità in relazione agli elementi sui quali deve cadere la verifica dei presupposti di legge in modo da risultare la motivazione per la mancanza dei suindicati requisiti solamente apparente, giacché assolutamente inidonea a rendere comprensibile l’iter logico seguito dal giudice di merito nel pervenire alla decisione.

Questo provvedimento, dunque, deve essere preso nella dovuta considerazione al fine di proporre correttamente un valido ricorso per Cassazione avverso provvedimenti di applicazione e di proroga del regime detentivo di cui all’art. 41-bis Ord. pen..

Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta sentenza, quindi, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su cotale tematica giuridica, non può che essere positivo.

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