La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 14893 dell’11 aprile 2024, ha fornito chiarimenti sui poteri cognitivi del giudice di appello ai fini del proscioglimento nel merito, anche in presenza di prescrizione del reato.
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Indice
1. I fatti
La Corte di appello di Roma, in riforma della pronuncia del Tribunale di Roma, ha emanato sentenza di non doversi procedere nei confronti dell’imputato in ordine al reato ascrittogli perché estinto per intervenuta prescrizione con conferma delle statuizioni civili di condanna in favore della costituita parte civile.
Nello specifico, l’imputazione riguardava il reato previsto dall’art. 589 cod. pen. perché, in qualità di medico chirurgo, aveva effettuato una procedura di colangio-pancreatografia-retrograda-endoscopica (CPRE) su una persona ricoverata per calcolosi della colecisti e del coledoco con ittero e, dopo aver opportunamente sospeso l’intervento per rischi correlati con le manovre che si sarebbero rese necessarie per l’asportazione completa, per colpa consistita in imperizia, imprudenza e negligenza nell’esercizio della professione medica, aveva omesso di posizionare un sistema di drenaggio della via biliare che permettesse il deflusso della bile e di prevenire il rischio di infezione, così cagionando l’insorgere di varie complicazioni fino al decesso della paziente.
L’imputato ha proposto ricorso per Cassazione censurando la sentenza per inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 546, comma 1, lett. e) e 125, comma 3, cod. proc. pen., in relazione all’art. 129, commi 1 e 2 cod. proc. pen., nonché per contraddittorietà, illogicità manifesta e omissione della motivazione in relazione all’omessa valutazione degli elementi di prova e al travisamento del fatto.
Nello specifico, ad avviso della difesa, la Corte di appello ha ritenuto che non emergesse dagli atti la prova incontrovertibile dell’innocenza dell’imputato, omettendo in concreto di valutare quali fossero le motivazioni ostative a un più favorevole proscioglimento nel merito rispetto alla declaratoria di prescrizione.
Essendo emersa dall’elaborato peritale la prova evidente dell’innocenza dell’imputato, la Corte avrebbe dovuto concludere per l’assoluzione nel merito.
In conclusione, la valorizzazione del principio del “più probabile che non” avrebbe dovuto essere accompagnata dalla esplicitazione delle ragioni per le quali fosse più probabile che l’imputato avesse causalmente determinato l’evento piuttosto che non ne fosse causalmente responsabile.
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Appello e ricorso per cassazione penale dopo la Riforma Cartabia
Alla luce delle novità introdotte dalla Riforma Cartabia (D.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150), il volume propone al professionista che si trova ad affrontare l’appello e il ricorso per cassazione in ambito penale indicazioni operative e soluzioni per una corretta redazione degli atti e per evitare gli errori più frequenti.La prima parte è dedicata all’appello: dove va depositato? Chi può depositarlo, ed entro quando? Quali requisiti devono sussistere? E molte altre questioni di ordine pratico a cui gli autori offrono risposte attraverso richiami alla più significativa giurisprudenza di settore e con il supporto di utili tabelle riepilogative.La seconda parte si sofferma invece sul ricorso per cassazione, dai motivi del ricorso ai soggetti legittimati, dai provvedimenti impugnabili alle modalità di redazione del ricorso e degli atti successivi, con l’intento di fornire indicazioni utili ad evitare l’inosservanza o erronea applicazione della normativa e la scure dell’inammissibilità. Antonio Di Tullio D’ElisiisAvvocato in Larino, giornalista pubblicista e cultore della materia in procedura penale, è autore di numerosi articoli su riviste giuridiche telematiche.Gabriele EspositoAvvocato penalista patrocinante in Cassazione. Autore di manuali di diritto penale sostanziale e procedurale, dal 2017 è Consigliere dell’Ordine degli Avvocati di Napoli.
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2. Proscioglimento nel merito e poteri cognitivi del giudice di appello: l’analisi della Cassazione
La Corte di Cassazione, nell’analizzare il ricorso, fa una doverosa premessa, soffermandosi sulle prove documentali comprensive di: perizia, verbale di autopsia, consulenze tecniche medico-legali, relazioni dei consulenti tecnici di parte.
In particolare, la Corte osserva come le cause del decesso sono state individuate, sulla base del verbale di autopsia, in una “insufficienza respiratoria terminale a focolai broncopneumonici in concomitante colangite“. Con riguardo al nesso causale fra l’operato del medico e il decesso della paziente, i periti hanno premesso che “la strategia terapeutica prevedeva, nel caso in esame, una propedeutica procedura diagnostico-terapeutica valida solo per le calcolosi della via biliare principale e, successivamente, la colecistectomia laparoscopica, che avrebbe trattato la residua litiasi della colecisti“. La scelta diagnostico-terapeutica di eseguire la pratica che è stata, di fatto, eseguita, in assenza di segni di una colangite, era aderente alle linee-guida dell’epoca.
Terminata la fase diagnostica, quella operatoria si sarebbe dovuta alternativamente attuare mediante asportazione del calcolo o, nel caso in cui ciò non fosse stato possibile, mediante posizionamento di un piccolo drenaggio con lo scopo di consentire alle secrezioni di scaricarsi nel duodeno, ma il medico ha ritenuto di non effettuare tali manovre.
Secondo i periti, il non aver applicato le manovre indicate, comunque, non ha costituito una mancanza, ma “un ragionato e condiviso atto medico teso a impedire lo sviluppo della colangite di una via biliare già predisposta alle infezioni, trattandosi di paziente che doveva essere operata di colecistectomia“.
Tale premessa, ad avviso della Corte, si è resa necessaria per porre in evidenza la correttezza del ricorso: i giudici di appello hanno adottato la loro decisione senza confrontarsi in alcun modo con le conclusioni alle quali erano pervenuti i periti.
Nel ricorso si è correttamente sottolineata “la carente disamina dei motivi di appello laddove, da un lato, la Corte territoriale ha condiviso il ragionamento probatorio seguito dal giudice di primo grado secondo la regola di giudizio penale e, dall’altro, previa ammissione della perizia, disposta con quesiti del tutto calibrati sulla regola di giudizio dell’oltre ogni ragionevole dubbio, ha pronunciato la causa estintiva del reato trascurando un passaggio argomentativo indispensabile, ossia l’esplicitazione delle ragioni per le quali non potesse darsi prevalenza all’assoluzione nel merito, limitandosi a valorizzare l’esclusiva incidenza del giudizio agli effetti civili. Dando prevalenza alla causa estintiva in assenza di motivazione, ha di fatto negato all’imputato appellante la disamina, nel merito, dell’atto d’impugnazione agli effetti penali“.
3. La decisione della Cassazione
Alla luce di quanto finora esposto, la Corte di Cassazione ha affermato che la motivazione risulta del tutto inidonea a dare adeguato conto, nonostante l’accurata perizia acquisita a seguito di rinnovazione istruttoria ai sensi dell’art. 603 cod. proc. pen., del giudizio esplicativo e controfattuale che è alla base del nesso di causa tra la condotta omissiva ascritta all’imputato e l’evento letale.
Un consolidato principio di diritto ha affermato che in punto di nesso di causa, occorre distinguere il ragionamento esplicativo dal ragionamento controfattuale. Il primo tenta di spiegare le cause di un accadimento e di individuare i fattori che lo hanno generato sulla base di giudizi causali retti da leggi scientifiche che esprimano una certa correlazione causale tra una categoria di condizioni e una categoria di eventi realmente verificatisi: in questo caso il giudice valuta con rigore le prove per stabilire se esse corroborino l’ipotesi accusatoria circa la relazione tra una determinata condotta umana e l’evento verificatosi alla luce di una legge naturale o di regolarità statistiche o di generalizzazione probabilistiche; il giudizio controfattuale, invece, implica un ulteriore tipo di indagine, avente ad oggetto la prognosi postuma di cosa sarebbe accaduto ove la condotta omessa fosse stata posta in essere: in tal caso, al giudice si impone una puntuale analisi delle particolarità del caso concreto, che potrà condurre a un giudizio di elevata credibilità logica, indipendente da rigide quantificazioni statistiche, strettamente correlato alle caratteristiche del caso concreto sulla base di un ragionamento probatorio non incerto.
Sulla base di ciò, ad avviso della Suprema Corte, il ricorso ha evidenziato l’omissione di un adeguato confronto con le evidenze disponibili, puntualmente richiamate dai periti ma non adeguatamente valutate del giudice di merito.
Conclude la Corte che “i poteri cognitivi del giudice di appello penale, ai fini del proscioglimento nel merito agli effetti penali anche in presenza di prescrizione del reato non rinunciata, sono stati riconosciuti dalle Sezioni Unite […] in ossequio alla normativa di principio nazionale e sovranazionale” e che “l’illegittima negazione del giudizio di appello a cognizione piena possa determinare da parte della Corte di Cassazione l’annullamento con rinvio al giudice penale della sentenza che abbia dichiarato la prescrizione, ove censurata dall’imputato che abbia interesse a ottenere il proscioglimento nel merito“.
Ne consegue che la sentenza è stata annullata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Roma.
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