La Corte Costituzionale si pronuncia sull’illegittimità costituzionale dell’art. 605, co. 6, c.p., in riferimento agli artt. 3 e 76 della Costituzione, nella parte in cui non prevede la punibilità a querela della persona offesa quando il fatto è commesso in danno del coniuge ovvero, in via subordinata, del coniuge non più convivente. Per restare sempre aggiornato sulle evoluzioni della giustizia penale: Come cambia il processo penale – Dall’abrograzione dell’abuso d’ufficio al decreto giustizia
Indice
- 1. Il fatto
- 2. Le questioni prospettate nell’ordinanza di rimessione: illegittimità costituzionale dell’art. 605, co. 6, c.p., in riferimento agli artt. 3 e 76 della Costituzione, nella parte in cui non prevede la punibilità a querela della persona offesa quando il fatto è commesso in danno del coniuge ovvero, in via subordinata, del coniuge non più convivente
- 3. La soluzione adottata dalla Corte costituzionale
- 4. Conclusioni: l’art. 605, co. 6, c.p. non è costituzionalmente illegittimo, in riferimento agli artt. 3 e 76 della Costituzione, nella parte in cui non prevede la punibilità a querela della persona offesa quando il fatto è commesso in danno del coniuge ovvero, in via subordinata, del coniuge non più convivente
1. Il fatto
Il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Grosseto era chiamato a giudicare, con rito abbreviato, in merito alla responsabilità penale di una persona imputati per i delitti di sequestro di persona aggravato ai sensi dell’art. 605, secondo comma, numero 1), cod. pen., perché commesso in danno del coniuge, nonché di minaccia grave (art. 612, secondo comma, cod. pen.), di violazione di domicilio commessa mediante violenza alle persone e da persona palesemente armata (art. 614, quarto comma, cod. pen.) e di lesioni personali aggravate perché commesse in danno del coniuge e mediante l’uso di armi (artt. 582, 585 e 577, primo comma, numero 1, cod. pen.).
Ciò posto, entrambe le persone offese avevano rimesso la querela nei confronti dell’imputato, avendo quest’ultimo provveduto al risarcimento del danno, mentre l’imputato, dal canto suo, aveva accettato la remissione.
Pur tuttavia, il giudice a quo osservava come siffatta remissione non avrebbe potuto produrre alcun effetto con riguardo al fatto di sequestro di persona commesso contro la moglie dell’imputato, stante il disposto dell’art. 605, sesto comma, cod. pen., introdotto dal d.lgs. n. 150 del 2022, che aveva reso procedibile a querela il delitto di sequestro di persona limitatamente all’ipotesi base prevista dal primo comma del medesimo art. 605; con esclusione, dunque, delle fattispecie aggravate, tra cui quella prevista dal secondo comma, numero 1), della medesima disposizione.
Di conseguenza, alla luce di tale stato delle cose, questo g.u.p. sollevava questioni di legittimità costituzionale nei termini che vedremo da qui a breve. Per restare sempre aggiornato sulle evoluzioni della giustizia penale: Come cambia il processo penale – Dall’abrograzione dell’abuso d’ufficio al decreto giustizia
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2. Le questioni prospettate nell’ordinanza di rimessione: illegittimità costituzionale dell’art. 605, co. 6, c.p., in riferimento agli artt. 3 e 76 della Costituzione, nella parte in cui non prevede la punibilità a querela della persona offesa quando il fatto è commesso in danno del coniuge ovvero, in via subordinata, del coniuge non più convivente
Il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Grosseto sollevava questioni di legittimità costituzionale dell’art. 605, sesto comma, del codice penale, aggiunto dall’art. 2, comma 1, lettera d), del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 (Attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l’efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari), in riferimento agli artt. 3 e 76 della Costituzione, nella parte in cui non prevede la punibilità a querela della persona offesa quando il fatto è commesso in danno del coniuge ovvero, in via subordinata, del coniuge non più convivente.
In particolare, in punto di rilevanza, ad avviso del giudice rimettente, a fronte della criticità procedurale suesposta, l’accoglimento, di codeste questioni da parte della Consulta, gli avrebbe invece consentito di dichiarare l’estinzione di entrambi i reati di sequestro di persona asseritamente commessi dall’imputato, stante l’efficacia retroattiva in mitius della disposizione censurata, oltre a consentirgli di accogliere la richiesta dell’imputato stesso di sospensione del processo con messa alla prova in relazione alle restanti imputazioni di lesioni personali e violazione di domicilio aggravate, parimenti procedibili d’ufficio ma compatibili – a differenza di quanto accade per il sequestro di persona – con i limiti di pena stabiliti dall’art. 168-bis cod. pen. per l’ammissione al beneficio.
Per quanto invece concerne la non manifesta infondatezza, il rimettente dubitava anzitutto della compatibilità con l’art. 3 Cost. della omessa estensione della procedibilità a querela alla ipotesi in cui il sequestro di persona sia commesso in danno del coniuge.
Si osservava difatti a tal proposito innanzitutto che la ratio della riforma (Cartabia) si desume dalla relazione illustrativa al d.lgs. n. 150 del 2022, nella quale l’estensione del regime di procedibilità a querela anche ai reati contro la persona è stato giustificato in chiave di incentivo alla riparazione dell’offesa e alla definizione anticipata del procedimento penale attraverso, segnatamente, la remissione della querela.
Nel dettaglio, con specifico riguardo alle ipotesi di sequestro di persona, la relazione segnala che spesso tale reato presenta nella prassi una ridotta offensività.
Ciò posto, per il g.u.p. grossetano, la scelta del legislatore di conservare la procedibilità d’ufficio nel caso in cui ricorra l’aggravante di cui all’art. 605, secondo comma, numero 1), cod. pen. sarebbe contraddittoria, e comunque priva di una ragionevole giustificazione.
In primo luogo, infatti, l’esigenza di favorire il bonario componimento tra le parti coinvolte ricorrerebbe vieppiù quando esse siano stretti congiunti, «costituendo “la garanzia dell’unità familiare” un valore di rango costituzionale (art. 29 Cost.)».
In secondo luogo, non si potrebbe ritenere che le ipotesi di sequestro di persona di cui al primo comma siano necessariamente caratterizzate da una minore offensività posto che l’ambito applicativo del primo comma abbraccerebbe condotte con gradi di offensività anche significativamente diversi, come si desumerebbe del resto dall’ampiezza della cornice edittale (da sei mesi a otto anni di reclusione). Inoltre, la procedibilità a querela non è esclusa quando il reato è qualificato da circostanze diverse da quelle contemplate dai commi seguenti dell’art. 605 cod. pen. e da quelle delle finalità terroristica o mafiosa, per le quali non sia espressamente prevista la procedibilità d’ufficio, tanto più se si considera che tale incongruità sarebbe aggravata dalla considerazione che l’aggravante di cui al secondo comma costituirebbe una circostanza indipendente, «ma non ad effetto speciale, in quanto prevede un aumento della pena massima inferiore a un terzo», mentre le aggravanti comuni ex art. 61 cod. pen. consentono l’aumento della pena sino a un terzo.
Del resto, sempre secondo il giudice a quo, ove poi si volesse giustificare la scelta normativa in relazione alla particolare situazione del coniuge, che potrebbe non renderlo libero nella scelta processuale di presentare una querela, tale scelta risulterebbe asimmetrica rispetto alla disciplina dettata dallo stesso legislatore delegato in ordine al delitto di lesioni personali aggravato ai sensi dell’art. 577, primo comma, numero 1), cod. pen. dato che il d.lgs. n. 150 del 2022, nell’estendere il regime di procedibilità a querela al delitto di lesioni personali, lo avrebbe previsto anche nel caso in cui ricorra l’aggravante del fatto commesso nei confronti del coniuge (legalmente separato o non), in senso distonico rispetto alla scelta operata in ordine al sequestro di persona.
In ogni caso, osservava sempre il giudice rimettente, «l’esigenza di tutelare le persone esposte a un rischio di condizionamento non sarebbe comunque ravvisabile nei casi di coniugi non più conviventi al momento del fatto, a seguito di separazione giudiziale o di fatto – come nel caso per cui si procede – atteso che di norma la posizione di vulnerabilità del coniuge è legata proprio al rapporto di convivenza, mentre la formulazione attuale della disposizione de qua non distingue tra coniugi conviventi e non».
Dal che la necessità di formulare la questione «in forma gradata: in via principale, con riferimento al coniuge senza alcuna distinzione; in via subordinata, con riferimento al coniuge non più convivente al momento del fatto».
Precisato ciò, sempre per il giudice di Grosseto, la disciplina censurata si porrebbe, altresì, in contrasto con l’art. 76 Cost., nel senso che il legislatore delegato – nell’escludere la procedibilità a querela in caso di sequestro di persona aggravato ai sensi dell’art. 605, secondo comma, numero 1), cod. pen. – avrebbe violato il principio direttivo di cui all’art. 1, comma 15, lettera b), della legge 27 settembre 2021, n. 134 (Delega al Governo per l’efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari) poiché codesta disposizione indicava due specifici principi e criteri direttivi per la selezione delle fattispecie cui estendere il regime di perseguibilità a querela: a) il limite costituito dalla pena detentiva non superiore nel minimo a due anni, e b) la previsione che, ai fini della determinazione della pena detentiva, non si tenesse conto delle circostanze, facendo salva la procedibilità d’ufficio in caso di incapacità della persona offesa, per età o infermità.
Se la ratio di tale secondo criterio, quindi, secondo il rimettente, «era evidentemente quella, oltre che di estendere il più possibile il regime di procedibilità a querela, di impedire che la contestazione di un’aggravante rendesse automaticamente il reato procedibile d’ufficio, anche quando il singolo fatto, tenuto in ipotesi conto della ricorrenza di circostanze attenuanti, potesse risultare in concreto non più offensivo di altre fattispecie semplici», in relazione all’art. 605 cod. pen. il legislatore delegato avrebbe, invece, di fatto attribuito rilevanza, ai fini dell’esclusione della procedibilità a querela, alla ricorrenza della circostanza di cui al secondo comma, numero 1), violando così la specifica prescrizione della legge delega.
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3. La soluzione adottata dalla Corte costituzionale
La Consulta, dopo avere reputato le questioni suesposte ammissibili, le reputava però tutte infondate.
Nel dettaglio, procedendo per gradi, a proposito della censura formulata in riferimento all’art. 76 Cost., i giudici di legittimità costituzionale, tra le argomentazioni ivi addotte a sostegno della reiezione di siffatta questione, notavano come il legislatore delegato, nello scegliere di circoscrivere l’estensione del regime di punibilità a querela ai soli fatti previsti dal primo comma, e di mantenere invece il previgente regime per le ipotesi aggravate ai sensi dei commi successivi, non avesse ecceduto dai limiti della propria, ampia, discrezionalità nell’attuazione della delega (si citavano all’uopo: le sentenze n. 22 e n. 7 del 2024).
Ciò posto, a proposito della questione formulata in riferimento all’art. 3 Cost., il Giudice delle leggi
rilevava preliminarmente che – da quanto risulta dalla relazione illustrativa al d.lgs. n. 150 del 2022 – il legislatore delegato ha in via generale proceduto all’estensione della procedibilità a querela «in rapporto a reati di non particolare gravità, posti a tutela di beni individuali, personali e patrimoniali» (pag. 320), e ciò principalmente in ottica di efficienza del sistema, «tenendo conto delle necessarie esigenze di tutela della persona offesa e della collettività, nonché dei beni pubblici coinvolti nel reato», ma anche al fine di diminuire l’attuale carico giudiziario che incide inevitabilmente sulla durata del processo, essendo oggi lo Stato «costretto […] a celebrare procedimenti penali che potrebbero essere definiti anticipatamente con il risarcimento del danno, la piena soddisfazione della persona offesa e l’estinzione del reato» (pag. 321).
In particolare, con riferimento specifico al delitto di sequestro di persona, la relazione osserva poi che la procedibilità a querela è stata prevista per le sole ipotesi non aggravate previste dal primo comma dell’art. 605 cod. pen., le quali «possono presentare e non di rado presentano nella prassi una ridotta offensività», come quando la durata della privazione della libertà sia assai breve. «In simili casi», prosegue la relazione, «il fatto può presentare un disvalore assai ridotto o essere comunque oggetto di condotte riparatorie o risarcitorie, che favoriscano la remissione della querela o l’estinzione del reato ai sensi dell’art. 162-ter c.p.» (pag. 322).
Ad ogni modo, il legislatore delegato ha tuttavia conservato, sulla base di un’esplicita indicazione della legge delega, la procedibilità d’ufficio nelle ipotesi, tra l’altro, in cui sussista «una particolare esigenza di tutela delle vittime, che potrebbero essere condizionate e non libere nella scelta processuale di presentare una querela» (pag. 320) e, dunque, nell’ambito delle ipotesi base cui si riferisce il primo comma, è stata stabilita una eccezione alla procedibilità a querela nelle ipotesi in cui la persona offesa sia incapace per età o infermità.
A questo punto, osservava sempre la Corte costituzionale nella pronuncia qui in commento, la scelta del Governo – nell’ambito dei suoi fisiologici margini di discrezionalità nell’attuazione della legge delega – di non estendere la procedibilità a querela alla specifica ipotesi aggravata del fatto commesso nei confronti del coniuge appare agevolmente riconducibile, anch’essa, alla necessità di tenere conto delle particolari esigenze di tutela della vittima nel contesto di relazioni familiari, in cui essa è strutturalmente esposta al rischio di subire pressioni da parte dell’autore del reato o di altri familiari: sia affinché non denunci gli episodi di violenza subiti, sia – e forse soprattutto – affinché ritratti le accuse in un momento successivo.
D’altronde, l’art. 55 della Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne e la violenza domestica prevede l’obbligo a carico delle parti contraenti di stabilire che le indagini e i procedimenti penali per i reati di violenza fisica di cui all’art. 35 «non dipendano interamente da una segnalazione o da una denuncia da parte della vittima quando il reato è stato commesso in parte o in totalità sul loro territorio, e che il procedimento possa continuare anche se la vittima dovesse ritrattare l’accusa o ritirare la denuncia».
Pertanto, sebbene la nozione di violenza fisica non sia espressamente definita dalla Convenzione, tuttavia, la riconduzione delle privazioni della libertà personale a tale nozione è attestata nelle fonti internazionali di soft law, come risulta ad esempio dalla definizione di violenza fisica contenuta nel glossario elaborato dall’European Institute for Gender Equality su cui richiama l’attenzione l’amicus curiae: «Physical violence can take the form of, among others, serious and minor assault, deprivation of liberty and manslaughter».
Per la Corte di legittimità, può, comunque, restare qui impregiudicata la questione se dall’obbligo convenzionale di cui all’art. 55 della Convenzione di Istanbul derivi, o meno, un corrispondente obbligo a carico del legislatore, in forza dell’art. 117, primo comma, Cost., di prevedere la procedibilità d’ufficio anche per il delitto di sequestro di persona commesso in danno del coniuge. Certo, però, non può negarsi la ragionevolezza della scelta compiuta in tal senso dal legislatore delegato, alla luce delle medesime motivazioni che suggeriscono in generale di prevedere la procedibilità d’ufficio per ogni forma di violenza fisica maturata in contesti domestici o di relazioni affettive: e ciò in considerazione degli elevati rischi di indebite pressioni cui le persone più vulnerabili sono, in questi contesti, strutturalmente esposte, fermo restando che l’interesse alla conservazione dell’unità del nucleo familiare non può prevalere rispetto alla necessità di tutelare i diritti fondamentali delle singole persone che ne fanno parte (sentenze n. 223 del 2015, punto 5.1. del Considerato in diritto e n. 494 del 2002, punto 6.1. del Considerato in diritto) dal momento che, di questa basilare esigenza, il legislatore delegato si è fatto carico, prevedendo la procedibilità d’ufficio del sequestro di persona commesso nei confronti del coniuge; senza con ciò porsi in contraddizione alcuna con i criteri generali che hanno ispirato il suo intervento in materia di ridefinizione del novero dei delitti procedibili a querela.
Chiarito ciò, sempre in riferimento all’art. 3 Cost., richiamandosi un’altra argomentazione “spesa” dal giudice rimettente, ossia quella di assumere come tertium comparationis il primo comma dell’art. 605 cod. pen., il Giudice faceva presente come sul punto occorresse sottolineare che – in via generale – la maggiore o minore gravità costituisce soltanto uno dei possibili criteri che il legislatore può adottare, nell’esercizio della sua ampia discrezionalità, per decidere sul regime di procedibilità dei singoli reati (sentenza n. 220 del 2015, punto 3 del Considerato in diritto).
Nel dettaglio, come recentemente osservato sempre in sede di giustizia costituzionale, le ragioni sottese alla scelta del legislatore di prevedere la procedibilità a querela per delitti che offendano diritti individuali possono essere individuate «sia in funzione di obiettivi di deflazione processuale, direttamente connesse al principio – di rango costituzionale e convenzionale – della ragionevole durata del processo, sia nell’ottica di favorire soluzioni conciliative e riparatorie, in grado di soddisfare il giusto bisogno di tutela della vittima senza dover necessariamente pervenire all’esito della condanna e dell’inflizione della pena», quanto meno laddove «il fatto non sia di particolare gravità e la vittima non versi in condizioni di vulnerabilità, che potrebbero viziarne la capacità di decidere liberamente se presentare querela o rimettere la querela già presentata» (ordinanza n. 106 del 2024).
La scelta di prevedere un regime di procedibilità d’ufficio per una data fattispecie di reato, per la Consulta, non può, dunque, essere censurata sulla base del mero argomento della maggiore gravità di un diverso reato che il legislatore ha, in via generale, ritenuto opportuno – per una o più delle ragioni indicate – sottoporre al regime di procedibilità a querela.
Chiarito ciò, assumendo ancora come tertium il primo comma dell’art. 605 cod. pen., osservandosi come (in questo caso) la difesa dell’imputato sottolineasse invece l’illogicità di un assetto normativo che prevede la procedibilità d’ufficio per il sequestro di persona commesso in danno del coniuge, e la procedibilità a querela per lo stesso fatto commesso in danno del convivente more uxorio ovvero dell’altra parte dell’unione civile, che rientrano nella fattispecie base di reato prevista dal primo comma visto che, anche in queste ipotesi, potrebbero sussistere le condizioni di vulnerabilità della vittima che suggerirebbero di prevedere un regime di procedibilità d’ufficio, deducendosi al contempo che, in questa medesima direzione, tanto il rimettente quanto la difesa dell’imputato assumevano quale ulteriore tertium comparationis il regime di procedibilità del delitto di lesioni personali, che è oggi perseguibile a querela anche quando risulti aggravato perché commesso nei confronti del coniuge (art. 582, secondo comma, in riferimento all’art. 577, primo comma, numero 1, cod. pen.), per la Corte costituzionale, se, tuttavia, tali argomenti fossero ritenuti persuasivi, la disparità di trattamento denunciata dovrebbe essere logicamente eliminata non già nel senso auspicato dall’ordinanza di rimessione, ma in un senso diametralmente opposto: e cioè estendendo il regime di procedibilità d’ufficio anche con riferimento alle ipotesi assunte come tertia comparationis, sulla base di una comune ratio di tutela della situazione di vulnerabilità della vittima, il che peraltro non sarebbe consentito ai giudici di legittimità costituzionale, a ciò ostando il generale divieto di pronunce in malam partem in materia penale (da ultima, ordinanza n. 106 del 2024).
Da ultimo, a proposito dell’ulteriore argomentazione, sostenuta sempre dal giudice a quo, secondo la quale sarebbe auspicabile una pronuncia che stabilisca la procedibilità a querela quanto meno del fatto di sequestro di persona commesso nei confronti del coniuge non (più) convivente, le ragioni di particolare vulnerabilità della vittima venendo meno, ad avviso del giudice a quo, una volta cessato il rapporto di convivenza, anche in questo caso, per la Giudice delle leggi, la censura de qua non appariva essere fondata giacché l’esperienza mostra che, anche quando la convivenza venga meno, la persona più vulnerabile del rapporto continua, non infrequentemente, a essere esposta alle condotte violente o comunque sopraffattorie del proprio coniuge o ex coniuge, spesso esacerbate dalla frustrazione e dalla rabbia derivanti proprio dalla rottura della relazione.
Tal che se ne faceva conseguire la ragionevolezza della soluzione normativa qui in esame, che non differenzia tra le due ipotesi per quanto concerne il regime di procedibilità, stimandosi al contempo come ciò appaia, del resto, conforme alla più generale tendenza della legislazione recente a estendere la tutela rafforzata prevista per le persone all’interno di rapporti familiari o affettivi anche alle situazioni di cessata convivenza, nonché addirittura di separazione o di divorzio: si pensi alla circostanza aggravante di cui all’art. 612-bis, secondo comma, cod. pen. o a quella di cui all’art. 577, primo comma, numero 1), cod. pen..
I giudici di legittimità costituzionale, di conseguenza, alla stregua delle considerazioni sin qui esposte, dichiaravano non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 605, sesto comma, del codice penale, aggiunto dall’art. 2, comma 1, lettera d), del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 (Attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l’efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari), sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 76 della Costituzione, dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Grosseto con l’ordinanza indicata in epigrafe.
4. Conclusioni: l’art. 605, co. 6, c.p. non è costituzionalmente illegittimo, in riferimento agli artt. 3 e 76 della Costituzione, nella parte in cui non prevede la punibilità a querela della persona offesa quando il fatto è commesso in danno del coniuge ovvero, in via subordinata, del coniuge non più convivente
Fermo restando che, come è noto, l’art. 605, co. 6, cod. pen. stabilisce che, nell’ipotesi prevista dal primo comma (ai sensi del quale “Chiunque priva taluno della libertà personale è punito con la reclusione da sei mesi a otto anni”) “il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che il fatto sia commesso nei confronti di persona incapace, per età o per infermità”, con la pronuncia qui in esame, la Consulta dichiara immune da alcuna censura di illegittimità costituzionale di sorta (perlomeno in relazione agli articoli della nostra legge fondamentale richiamati nell’ordinanza di rimessione) tale precetto normativo nella parte in cui non prevede la punibilità a querela della persona offesa quando il fatto è commesso in danno del coniuge ovvero, in via subordinata, del coniuge non più convivente.
Dunque, per effetto di tale decisione, il regime di procedibilità rimane quello d’ufficio allorché la persona danneggiata sia il coniuge o, ove la convivenza sia cessata, il coniuge che non vive più con l’autore del reato.
Da ciò deriva quindi che, anche ove sia stata proposta querela, e questa sia stata rimessa (e accettata dall’imputato), a nulla rileva l’eventuale risarcimento del danno che sia stato elargito dall’imputato a favore della vittima (come è avvenuto nel caso di specie).
Ebbene, se gli argomenti addotti nella sentenza qui in esame, favorevoli alla legittimità costituzionale di codesta norma di legge, sembrano essere il frutto di un articolato e ben ponderato ragionamento giuridico, sarebbe forse opportuno un intervento del legislatore volto a introdurre, per tali ipotesi, un regime di procedibilità a querela, dato il contesto entro cui si verifichino solitamente queste condotte criminali ossia dissidi familiari o meglio, contrasti coniugali, in cui spesso oltre, ad essere il coniuge la vittima di uno di questi a causa del reato commesso dall’altro, seppur in via diretta e mediata, e non necessariamente da un punto di vista penalistico, possono rimanere coinvolti, in via diretta e mediata, anche i figli, spesso minori che, loro malgrado, si trovano “invischiati” nei conflitti dei loro genitori e, sebbene non essendo i soggetti passivi del reato, possono comunque subire considerevoli traumi psichici a causa di tali vicende, con il rischio di vedere uno dei loro genitori “finire in prigione” a causa del reato commesso nei confronti dell’altro.
Con quanto appena scritto, però, non si vuole ovviamente esonerare uno dei coniugi da responsabilità penale per illeciti penali commessi nei confronti dell’altro, per carità, reputandosi soltanto preferibile l’introduzione di un regime di procedibilità, che rimetta a ciascuno di essi la possibilità di interrompere la prosecuzione di un processo penale (come può avvenire con la remissione della querela) quando ci possono essere le condizioni per una loro riappacificazione (o perlomeno l’autore del reato si prenda le responsabilità del reato commesso, risarcendo il coniuge nei cui confronti questo fatto illecito è stato compiuto), specie, si ripete, ove ci siano anche dei figli.
Dopo questa breve digressione, tornando ad esaminare il provvedimento qui in commento, concludendo, si ribadisce quanto esposto prima, ossia che la motivazione, addotta dalla Consulta nella fattispecie in esame, sulla cui base è stato reputato l’art. 605, co. 6, cod. pen. non in contrasto con la nostra Carta costituzionale, per come è stata enunciata, ad avviso di chi scrive, si palesa condivisibile in quanto congruamente argomentata in punto di diritto.
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