Prescrizione dell’azione di ripetizione dell’indebito e riparto dell’onere probatorio relativo alla natura delle rimesse in conto

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La Corte di Appello di Roma (Corte di Appello di Roma, n. 7303/2019) smentisce le Sezioni Unite (Cass., Sezioni Unite n. 15895/20199).

Le questioni principali trattate nell’ambito della Sentenza n. 7303/2019 dalla Corte di Appello di Roma sono fondamentalmente due:

  • la prima afferisce alla modalità di ricalcolo degli interessi passivi a seguito dell’avvenuto accertamento dell’adozione da parte della Banca di pratiche anatocistiche;
  • la seconda, invece, riguarda il riparto dell’onere probatorio relativo alla natura ripristinatoria o solutoria delle rimesse operate in conto a fronte dell’eccezione di prescrizione dell’azione di ripetizione dell’indebito proposta dalla Banca.

Ora, per quel che concerne la prima delle questioni anzidette, la Corte, nello stabilire che il ricalcolo del saldo del conto corrente debba avvenire  “…depurando il calcolo da qualsiasi forma di capitalizzazione degli interessi…” (pag. 3 Sentenza n. 7303/2019), si è allineata all’orientamento giurisprudenziale prevalente, se non addirittura univoco, e per questo motivo tale parte della pronuncia decisoria non appare passibile di censura.

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In diverse occasioni, infatti, la Suprema Corte ha stabilito che in caso di violazione del divieto di anatocismo gli interessi debitori devono essere calcolati senza operare alcuna forma di capitalizzazione [“…dichiarata la nullità della previsione negoziale di capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi in una apertura di credito in conto corrente, per il contrasto con il divieto di anatocismo sancito dall’art. 1283 c.c., gli interessi a debito del correntista devono essere calcolati senza operare capitalizzazione alcuna, perché il medesimo art. 1283 osterebbe anche a una eventuale previsione negoziale di capitalizzazione annuale…” (Corte Cass., Sez. III., Sent. n. 6550 del 2013; Sez. I, Sent. n. 17150 del 2016)].

Detto ciò, non si può omettere di rilevare come, a parere dello scrivente, l’assenza di capitalizzazione richiesta dal quesito formulato dalla Corte in sede di impugnativa, proprio sulla scorta di una interpretazione letterale dello stesso (“…ridetermini il CTU i saldi dei rapporti tutti per cui è causa con eliminazione di ogni forma di capitalizzazione degli interessi…” pag. 2  Sentenza n. 7303/2019), avrebbe potuto essere applicata non solo agli interessi debitori ma anche agli eventuali interessi creditori rielaborati al fine di garantire il principio di parità e/o simmetria nel trattamento di tutti gli interessi maturati in corso di rapporto.

Cosa che nei fatti non è accaduta (rispetto a tale questione Giudice di Appello non ha impegnato neanche una riga del provvedimento decisorio),  presumibilmente, perché il contratto di conto corrente oggetto di giudizio è stato stipulato prima della Delibera C.I.C.R. del 09.02.2000.

Diverso è il discorso per quella parte della pronuncia decisoria che si è occupata dell’eccezione di prescrizione dell’azione di ripetizione sollevata dalla Banca.

Il ragionamento teorico di partenza della Corte può di certo essere ritenuto corretto considerato che il Giudice del gravame giustamente riconosce, in maniera conforme all’attuale orientamento della giurisprudenza di legittimità,  “...il diritto del cliente a richiedere, nel termine prescrizionale di 10 anni dalla chiusura del rapporto, la restituzione di tutte le somme indebitamente addebitate dalla Banca a titolo di interessi anatocistici nel corso dell’intero rapporto “qualora i versamenti eseguiti dal correntista in pendenza del rapporto abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista” (cfr. Cass. Civ., SS.UU., 02.12.2010, 24418), tanto sul presupposto che il contratto di conto corrente presenta natura unitaria e dà luogo ad un unico rapporto giuridico anche se articolato in una pluralità si atti esecutivi, per cui è solo con la chiusura del conto che si stabiliscono definitavamente i crediti ed i debiti delle parti fra di loro (cfr. Cass. Civ., sez. I, Sentenza, 14.05.2005, n. 10127)…”(pag. 3  Sentenza n. 7303/2019).

Ciò che non convince pienamente è l’applicazione pratica che la Corte fa di detto principio di base, operando una scelta senza dubbio discutibile in ordine al riparto, tra le parti di causa, dell’onere probatorio rispetto alla natura, solutoria o ripristinatoria, delle rimesse in conto, giacché precisa che nel corso del giudizio deciso “…gravava sulla Banca Appellata l’onere di dimostrare la natura solutoria e non ripristinatoria delle singole rimesse, al fine di far decorrere la prescrizione delle singole annotazioni…” gravi  (pag. 4  Sentenza n. 7303/2019).

La Corte di Appello, in buona sostanza, pur rifacendosi a diverse pronunce di merito ed ad una di legittimità (comunque emesse tra il 2012 ed il 2015), rigetta di fatto l’eccezione di prescrizione formulata dalla Banca sulla base dell’affermazione secondo la quale la “…natura ripristinatoria delle rimesse effettuate, (…) deve ritenersi sussistente in via presuntiva, salvo prova contraria da apprestarsi da parte di chi intende far decorrere la prescrizione dalle singole annotazioni, idest nel caso di specie dalla banca appellata…” senza tenere nel debito conto i più recenti arresti giurisprudenziali della Corte di Cassazione (si veda sent. n. 4372/2018 e sent. n. 27704/2018 dove la Supema Corte, addirittura, arrivare a statuire espressamente che grava sull’attore l’onere di provare il carattere rispristinatorio del pagamento: “…Grava sull’attore in ripetizione dimostrare la natura indebita dei versamenti e, a fronte dell’eccezione di prescrizione dell’azione proposta dalla banca, dimostrare l’esistenza di un contratto di apertura di credito idoneo a qualificare il pagamento come ripristinatorio ed a spostare l’inizio del decorso della prescrizione al momento della chiusura del conto….” ) e ponendosi, per quel che più importa, in aperto contrasto con la decisione assunta dalle Sezioni Unite rispetto alla questione in esame già a giugno del 2019 (Cass., Sezioni Unite 15895/2019 del 13.06.2019).

Le Sezioni Unite della Suprema Corte, infatti, chiamate a dirimere il contrasto giurisprudenziale sorto, tra chi riteneva che ai fini dell’ammissibilità dell’eccezione di prescrizione fosse sufficiente l’allegazione del mero decorso del termine di legge e chi, invece, reputava che fosse onere della Banca individuare anche le singole rimesse solutorie, con la decisione n. 15895 depositata in data 13.06.2019 (prima, quindi, del deposito della Sentenza della Corte di Appello in discorso avvenuto in data 26.11.2019) ha statuito che “.. l’onere di allegazione gravante sull’istituto di credito che, convenuto in giudizio, voglia opporre l’eccezione di prescrizione al correntista che abbia esperito l’azione di ripetizione di somme indebitamente pagate nel corso del rapporto di conto corrente assistito da una apertura di credito, è soddisfatto con l’affermazione dell’inerzia del titolare del diritto e la dichiarazione di volerne profittare senza che sia anche necessaria l’indicazione di specifiche rimesse solutorie”.

Pur non addentrandosi nell’esame del provvedimento e lasciando da parte le pronunce che pongono a carico dell’attore l’onere di comprovare il carattere ripristinatorio delle rimesse, pare evidente come il principio di diritto elaborato dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite si ponga in stridente contrasto con le conclusioni raggiunte dalla Corte di Appello dal momento che sulla base dello stesso, al contrario di quanto affermato dal Giudice di Merito, per la Banca convenuta è sufficiente, ai fini dell’ammissibilità dell’eccezione, come è accaduto nel caso di specie, affermare l’inerzia di parte attrice e manifestare espressamente la volontà di avvalersi della prescrizione senza individuare specificamente le singole rimesse solutorie.

Da qui, la sorpresa per i contenuti di una pronuncia con la quale la Corte romana, è lecito presumere, volutamente, si è posta in aperto contrasto con le Sezioni Unite mettendone in discussione la funzione nomofilattica peraltro, a distanza di soli cinque mesi dalla pronuncia con la quale la Suprema Corte risolveva il contrasto giurisprudenziale sorto da tempo, non solo in seno al Giudice di Legittimità ma anche tra i Giudici di merito, in merito al riparto dell’onere probatorio relativo alla natura ripristinatoria o solutoria delle rimesse in conto.

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Vincenzo Cretella

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