Potere di controllo del datore di lavoro. Installazione di telecamere senza autorizzazione (Cass. civ. 4331/2014)

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Sommario: 1. Potere di controllo del datore di lavoro; 2. Casistica giurisprudenziale

 

 

  1. Potere di controllo del datore di lavoro

 

Come noto, nell’ambito del rapporto di lavoro dipendente vengono riconosciuti al datore di lavoro una serie di poteri tra cui quello di controllo nei confronti dei lavoratori, allo scopo di verificare l’esatta esecuzione della prestazione lavorativa.

Principale norma di riferimento in tale ambito è la legge del 20 maggio 1970 n. 300, ovvero lo Statuto dei lavoratori che all’articolo 4, sancisce un divieto inderogabile ed assoluto, assistito da sanzione penale, di installazione ed utilizzo di impianti audiovisivi ed altre apparecchiature che siano finalizzate al controllo dell’attività lavorativa.

Spesso la giurisprudenza è intervenuta in tale ambito,e di recente, con la sentenza n. 4331 del 30 gennaio 2014, la Cassazione ha affermato che l’installazione di telecamere all’interno dell’azienda e puntate direttamente sui dipendenti, effettuata senza attendere l’autorizzazione della DTL o l’accordo con le rappresentanze sindacali, comporta la responsabilità penale del datore di lavoro, anche se le stesse risultano spente (1).

La Corte ha evidenziato come vada prioritariamente tutelato il bene giuridico della riservatezza del lavoratore e, di conseguenza, il reato di pericolo a carico del datore può configurarsi con la mera installazione non autorizzata dell’impianto di videoripresa, anche se la telecamera risulta spenta sino benestare dell’ispettorato del lavoro.

In tale decisione i giudici di legittimità hanno, altresì, precisato che è irrilevante il fatto che le telecamere siano più o meno attive in quanto, in virtù dell’articolo 4, comma 2 della Legge n. 300/1970, va tutelato a priori il bene giuridico della riservatezza del lavoratore e, di conseguenza, il reato di pericolo a carico del datore può configurarsi anche con la mera installazione non autorizzata dell’impianto di videoripresa sebbene la telecamera rimanga spenta.

 

 

  1. Casistica giurisprudenziale

 

La  Suprema Corte n. 22611 dell’11 giugno 2012, aveva ammesso la legittimità di un imprenditore a installare le telecamere nei locali della propria azienda, ribadendo tuttavia la necessità di ottenere il consenso informato sottoscritto all’unanimità dai dipendenti che risultano impiegati nella stessa azienda.

Un consenso che – aggiungevano i giudici – può ben legittimare l’assenza del preventivo accordo con le rappresentanze sindacali, o l’autorizzazione della Direzione Territoriale del Lavoro che è territorialmente competente.

 

In tema di controllo a distanza dei lavoratori, il divieto previsto dall’art. 4 St. Lav. di installazione di impianti audiovisivi o di altre apparecchiature per il controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, riferendosi alle sole installazioni poste in essere dal datore di lavoro, non preclude a questo, al fine di dimostrare l’illecito posto in essere da propri dipendenti, di utilizzare le risultanze di registrazioni operate fuori dall’azienda o tabulati telefonici acquisiti da un soggetto terzo, del tutto estraneo all’impresa e ai lavoratori dipendenti della stessa, per esclusive finalità “difensive” del proprio ufficio, con la conseguenza che tali risultanze sono legittimamente utilizzabili nel processo dal datore di lavoro (nel caso di specie, atteso che il lavoratore lavorava in una guardiola messa a disposizione dal committente della società e che i tabulati erano stati acquisiti dallo stesso committente su una propria utenza telefonica, la Corte ha ritenuto non integrata la violazione dell’art. 4 nell’utilizzo da parte del datore di lavoro di tali tabulati).

Cass. 4 aprile 2012 n. 5371 (2)

 

In tema di videosorveglianza dei lavoratori, con riferimento al valore probatorio di registrazioni audiovisive legittime (in quanto volte a realizzare controlli difensivi da parte del datore di lavoro), il disconoscimento delle riproduzioni meccaniche di cui all’art. 2712 c.c., che fa perdere alle stesse la loro qualità di prova, pur non essendo soggetto ai limiti e alle modalità di cui all’art. 214 c.p.c., deve essere, oltre che tempestivo, chiaro, circostanziato ed esplicito, dovendo concretizzarsi nell’allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riproduttiva. Cass. 28 gennaio 2011 n. 2117, in Orient. giur. lav. 2011, 95

 

Sono utilizzabili nel processo penale, ancorché imputato sia il lavoratore subordinato, i risultati delle videoregistrazioni effettuate con telecamere installate all’interno dei luoghi di lavoro ad opera del datore di lavoro per esercitare un controllo a beneficio del patrimonio aziendale messo a rischio da possibili comportamenti infedeli dei lavoratori, perché le norme dello Statuto dei lavoratori poste a presidio della loro riservatezza non fanno divieto dei cosiddetti controlli difensivi del patrimonio aziendale e non giustificano pertanto l’esistenza di un divieto probatorio.

Cass. Pen. 1 giugno 2010 n. 20722, in Lav. Nella giur. 2010, 991

 

Commette il reato contravvenzionale previsto dall’art. 4, legge 20 maggio 1970, n. 300, e punito dall’art. 38 della stessa legge, il datore di lavoro che provvede a installare un impianto di videosorveglianza, idoneo a controllare a distanza l’attività dei lavoratori, senza il preventivo accordo con le Rsa/Rsu o il provvedimento di autorizzazione della Direzione provinciale del lavoro. La vigenza della suddetta disposizione è stata confermata dalla previsione degli artt. 114 e 171 del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, mantenendo, comunque, la propria autonomia rispetto alla normativa sullaprivacy, di cui al d.lgs. in parola.

Cass. civ. 16 ottobre 2009 n. 40199, in Riv. giur. lav. e prev. soc. 2010, 275

 

Le norme di cui agli artt. 2 e 3, l. 20/5/70, n. 300, che garantiscono la libertà e la dignità del lavoratore, non escludono il potere dell’imprenditore di controllare, direttamente o mediante la propria organizzazione – adibendo, quindi, a mansioni di vigilanza determinate categorie di prestatori d’opera, anche se privi di licenza prefettizia di guardia giurata, ai fini della tutela del proprio patrimonio mobiliare ed immobiliare, all’interno dell’azienda (indifferentemente, in ambienti chiusi o in aree all’aperto) – non già l’uso, da parte dei dipendenti, della diligenza richiesta nell’adempimento delle obbligazioni contrattuali, bensì il corretto adempimento delle prestazioni lavorative al fine di accertare mancanze specifiche dei dipendenti già commesse o il corso di esecuzione.

Ciò senza che tale potere subisca deroghe in relazione alla normativa in materia di pubblica sicurezza ed indipendentemente dalla modalità del controllo, che può legittimamente avvenire anche occultamente, non ostandovi né il principio di correttezza e buona fede nell’esecuzione dei rapporti, né il divieto di cui all’art. 4 della citata l. n. 300/70, che riguarda esclusivamente l’uso di apparecchiature per il controllo a distanza e non è applicabile analogicamente, siccome penalmente sanzionato.

In base ai suddetti principi la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva ritenuto legittimi i controlli effettuati da una banca tramite alcuni clienti appositamente contattati, diretti a verificare la regolarità del comportamento di una cassiera.

Cass. civ. 14 luglio 2001, n. 9576, in Lavoro giur. 2002,  237

 

Dall’esame dell’art. 2, comma 2, l. n. 300/70, secondo cui al datore di lavoro è vietato adibire le guardie particolari giurate alla vigilanza dell’attività lavorativa e a queste ultime di accedere ai locali ove la stessa si svolge, si desume che il divieto di controllo (da parte di personale avente compiti di mera vigilanza) sul modo della prestazione d’opera attiene a quella resa all’interno dell’azienda. Non essendo disposto alcunché per la verifica dell’attività svolta, al di fuori dei locali aziendali, da parte di lavoratori non inseriti nel normale ciclo produttivo – la cui prestazione non può essere verificata con l’esercizio di poteri di direzione, controllo tecnico e sorveglianza – ne discende che il controllo, ad opera di investigatori privati, sul comportamento tenuto dai lavoratori fuori dei locali aziendali non contrasta con l’articolo 2 Statuto dei Lavoratori ed è legittimo tanto più quando non è finalizzato a verificare la diligenza dell’adempimento della prestazione ma comportamenti che possono integrare gli estremi di reato (nel caso, di truffa, lucrando la retribuzione oziando, in luogo di lavorare).

E’ legittimo il controllo in questione, anche se commissionato a privata agenzia investigativa da società distaccataria nei confronti di lavoratori distaccati da società incorporante, in ragione di principi sanciti dall’articolo 2504-bis, c.c., secondo cui la società che risulta dalla fusione o quella incorporante assumono i diritti e gli obblighi delle società estinte.

Cass. civ.  5 maggio 2000 n. 5629, in Lavoro e prev. oggi  2000, 1684

 

Note

 

1)    Cfr. http://www.dplmodena.it/cassazione/ultime.htm

2)    In Orient. Giur. Lav. 2012, 332

Rinaldi Manuela

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