Possibile l’addebito della separazione quando il coniuge si rifiuta di avere rapporti intimi

Redazione 08/11/12
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Lucia Nacciarone

Con la sentenza n. 19112 del 6 novembre 2012 la Cassazione ha riconosciuto la legittimità dell’addebito della separazione a carico del coniuge che si era rifiutato di avere rapporti sessuale per ben sette successivi al matrimonio.

La suddetta condotta, avvisano i giudici, è ampliamente contraria al legame intimo che si instaura successivamente al matrimonio fra i coniugi, e rappresenta il nesso di causalità con l’intollerabilità della convivenza: addirittura, lo sposo rifiutato si era dovuto rassegnare a dormire in un’altra stanza.

Inoltre, la moglie aveva iniziato a trascurare la conduzione e la pulizia della casa rendendola invivibile.

I giudici di legittimità hanno precisato che l’intimità sessuale costituisce uno dei fini essenziali del matrimonio e il rifiuto del coniuge, basato sulla repulsione personale, deve ritenersi gravemente oltraggioso.

Un atteggiamento reiterato di rifiuto rende sicuramente non proseguibile la convivenza, oltre a creare disagi sul piano dell’equilibrio psico-fisico; tale condotta, proseguono i giudici, costituisce una violazione degli sponsa coniugali ed in particolare dell’articolo 143 del codice civile, in cui sono racchiusi tutti gli aspetti del sostegno nei quali si estrinseca il concetto di comunione coniugale.

E neanche se il coniuge tentasse di giustificare il suo atteggiamento come una sorta di ritorsione nei confronti del partner ciò varrebbe ad escludere l’addebito: infatti, l’impedimento per il coniuge che subisce il rifiuto rende impossibile il soddisfacimento delle proprie esigenza affettive e sessuali e impedisce l’esplicarsi della comunione coniugale nel suo significato.

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