La politica migratoria del governo e le recenti decisioni dei giudici

Corte UE: no al favoreggiamento per genitori migranti. Nuovi ostacoli ai rimpatri previsti dal Protocollo Italia-Albania.

In data 15 febbraio 2024 il Parlamento ha approvato il disegno di legge di ratifica del Protocollo tra Italia e Albania per il rafforzamento della collaborazione in materia migratoria, stipulato a Roma il 6 novembre 2023, attualmente in vigore. Con decreto legge n.37 del 28 marzo 2025, convertito in legge 23 maggio 2025, n. 75,è stato disposto l’impiego di uno dei due centri istituiti dal Protocollo per il rimpatrio dei migranti irregolari. Tuttavia, nonostante tali provvedimenti, la Corte di Cassazione, con ordinanza in data 30 maggio 2025, ha chiesto chiarimenti alla Corte di Giustizia dell’Unione europea sulla compatibilità dei trasferimenti e trattenimenti in Albania con il diritto comunitario, anche se l’8 maggio scorso, con una precedente sentenza, il C.P.R. albanese era stato equiparato ai centri italiani. Con due ordinanze pregiudiziali, infatti i giudici di piazza Cavour, hanno rinviato alla Corte di Lussemburgo la decisione relativa ad altrettanti ricorsi del Viminale contro le mancate convalide del trattenimento decise dalla Corte d’appello di Roma. Ma ad intralciare ulteriormente la politica migratoria del governo in data 3 giugno 2025 è intervenuta la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea la quale ha stabilito che un genitore che entra illegalmente in un paese U.E. con i propri figli minori non può essere sanzionato per favoreggiamento di ingresso illegale. Con tale decisione la Corte ha, quindi, sottolineato l’importanza di tutelare i legami familiari e il diritto dei minori di seguire i genitori, anche quando questi entrano in modo irregolare in un Paese, ponendo così un ulteriore freno ai rimpatri. Per approfondimenti in materia, consigliamo il volume “Immigrazione, asilo e cittadinanza”, acquistabile sia su Shop Maggioli che su Amazon, un testo di riferimento in materia di diritto all’immigrazione.

Indice

1. Il trattato con l’Albania, la legge n. 75/2025 e l’ordinanza della Corte di Cassazione in data 30 maggio 2025


In data 5 dicembre 2023 il Consiglio dei Ministri, ha approvato un disegno di legge di ratifica del Protocollo tra il Consiglio dei ministri della Repubblica di Albania e il Governo della Repubblica italiana per il rafforzamento della collaborazione in materia migratoria, stipulato a Roma il 6 novembre 2023.[1]
Il documento prevede che nei due centri previsti sul territorio albanese possono essere condotte “esclusivamente persone imbarcate su mezzi delle autorità italiane all’esterno del mare territoriale della Repubblica o di altri Stati membri dell’Unione europea, anche a seguito di operazioni di soccorso”. In sostanza, questo accordo deve essere applicato solo peri migranti imbarcati in acque extraeuropee, perché, in caso contrario, la deroga alle norme nazionali prevista dal provvedimento sarebbe stata inevitabilmente in contrasto con quelle del diritto europeo che si applicano in territorio o in mare europeo.
Tra le misure principali è prevista la clausola di equiparazione delle due aree previste dal Protocollo alle zone di frontiera o di transito indicate dal decreto legislativo n.25/2008, nelle quali si dispone l’espletamento delle procedure accelerate in frontiera. Tali aree sono assimilate rispettivamente agli hotspot e ai centri di permanenza per il rimpatrio di cui al Testo unico sull’immigrazione (C.P.R.).
Nei confronti dei migranti è sancita l’applicazione della disciplina italiana e, quindi, europea in materia di immigrazione e di ammissione degli stranieri nel territorio nazionale, con contestuale individuazione esplicita della competenza del Tribunale di Roma (ora Corte di Appello ai sensi della legge n. 187/2024).
Per quanto concerne la disciplina amministrativa, viene individuata la competenza del Prefetto, del Questore e della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale con costituzione ad hoc di apposite sezioni di Roma per i provvedimenti da adottare nei confronti dei migranti.
Con riferimento, invece, alla tutela della sicurezza, il disegno di legge stabilisce che lo straniero che commette un delitto all’interno delle strutture del Protocollo sia punito secondo la legge italiana se vi è la richiesta del Ministro della giustizia (ferma la necessità della querela della persona offesa, ove si tratti di reato procedibile a querela).
Si prevedono anche la competenza dell’autorità giudiziaria e della polizia giudiziaria italiane nelle aree individuate dal Protocollo quando è esercitata la giurisdizione penale, la trasmissione nei casi di arresto in flagranza o fermo del verbale, entro quarantotto ore, al pubblico ministero di Roma e che, nelle successive quarantotto ore, si svolga l’udienza di convalida presso la Corte di Appello della stessa città.  
Sulla base di tali presupposti, in data 22 febbraio 2024, il parlamento albanese ha approvato l’accordo con l’Italia sul trasferimento di migranti nei due centri in Albaniae successivamente la legge è stata promulgata dal presidente della Repubblica. Nelle more, il Parlamento italiano il 15 febbraio 2024 aveva approvato in via definitiva il citato disegno di legge di ratifica del Protocollo.
Con lo scopo di legittimare i centri in questione dopo numerose decisioni contrarie dei giudici della Corte di appello di Roma, il governo ha emanato il decreto legge n.37 del 28 marzo 2025 convertito in legge 23 maggio 2025, n. 74, che modifica il funzionamento dei centri per migranti già costruiti nel paese balcanico, trasformandoli a tutti gli effetti in Centri di permanenza per il rimpatrio (C.P.R.), strutture dove vengono trattenuti gli stranieri in attesa di essere rimpatriati nei loro paesi d’origine. Il provvedimento rappresenta il tentativo del governo di rilanciare un’operazione ritenuta strategica che nei mesi scorsi si era arenata a causa dei ripetuti interventi della magistratura che aveva bloccato i trasferimenti dei migranti nei centri albanesi di Shengjin e Gjaderritenendo illegittimi i trattenimenti e ordinando il loro rientro in Italia.[2]
Il nuovo provvedimento non modifica l’accordo bilaterale con l’Albania ma interviene sulla legge italiana che lo ha recepito. La modifica sostanziale consiste nell’ampliare la categoria di migranti che possono essere trasferiti nei centri albanesi, includendo anche coloro che si trovano già sul territorio italiano e sono destinatari di provvedimenti di espulsione. In questo modo, il governo intende utilizzare le strutture già realizzate come veri e propri C.P.R., una funzione che era comunque prevista nell’accordo originale, che contemplava un centro da 144 posti per questa finalità. A tale riguardo, il ministro dell’Interno ha precisato che non serviranno risorse aggiuntive per tale operazione.
Con il provvedimento in esame, si amplia, quindi, la capacità di accoglienza del centro di Gjader: da 48 posti si passerà a 144. Viene poi specificato che la permanenza dei migranti nei C.P.R. albanesi non potrà superare i 18 mesi e i trasferimenti dei migranti avverranno via nave o aereo, a seconda delle necessità logistiche e della distanza dalle strutture.
Ma inaspettatamente, la Corte di Cassazione, con ordinanza in data 30 maggio 2025, nonostante lo stesso giudice l’8 maggio scorso, con una precedente sentenza, avesse equiparato il C.P.R. albanese ai centri italiani, ha chiesto chiarimenti alla Corte di Giustizia dell’Unione europea sulla compatibilità di trasferimenti e trattenimenti in Albania con il diritto comunitario.
Con due ordinanze pregiudiziali, infatti, i giudici di piazza Cavour hanno rinviato alla Corte di Lussemburgo la decisione relativa ad altrettanti ricorsi del Viminale contro le mancate convalide del trattenimento decise dalla Corte d’appello di Roma. La Cassazione pone alla corte U.E. le questioni pregiudiziali relative ai due casi in esame: quello di un migrante in situazione di irregolarità amministrativa e quello di un richiedente asilo che ha fatto domanda di protezione internazionale quanto era già ristretto nel C.P.R. albanese. I giudici di legittimità chiedono di valutare se la direttiva rimpatri (2008/115/Ce, art. 3) che riguarda i cittadini di Paesi terzi in situazione irregolare, sia di ostacolo all’applicazione della legge n. 14/2024, che consente di condurre al Cpr di Gjader, in forza del protocollo di cooperazione tra il governo italiano e quello di Tirana, le persone destinatarie di provvedimenti di trattenimento convalidati o prorogati, “in assenza di qualunque predeterminata e individuabile prospettiva di rimpatrio”. Nel secondo caso, invece, si richiama la Direttiva 2013/32/Ue del Parlamento europeo e del Consiglio riguardo le procedure comuni per il riconoscimento e la revoca dello status di protezione internazionale.
In caso di risposta negativa, la Suprema corte, chiede di chiarire se la direttiva sulle procedure comuni per il riconoscimento e la revoca dello status di protezione internazionale osti all’applicazione della disciplina interna che consente di disporre, per il carattere strumentale della domanda di protezione, il trattenimento in Albania.
Di conseguenza, sono stati sospesi i giudizi in questione in attesa delle risposte dei giudici Lussemburgo – ai quali è stato chiesto di esprimersi con la procedura di urgenza – sulle questioni pregiudiziali proposte.[3] 
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Paolo Morozzo della Rocca | Maggioli Editore

2. La sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea in data 3 giugno 2025


Ma un altro duro colpo alla politica migratoria del governo si è avuto con l’emanazione della sentenza in data 3 giugno 2025 da parte della Corte di giustizia dell’Unione Europea, Grande Sezione.
Infatti, in una causa avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 T.F.U.E., dal Tribunale di Bologna è stata esaminata la domanda di pronuncia pregiudiziale sull’interpretazione dell’articolo 52, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in combinato disposto con gli articoli 2, 3, 6, 7, 17 e 18 di quest’ultima, e, dall’altro, sulla validità, alla luce di tali disposizioni, della direttiva 2002/90/CE del Consiglio, del 28 novembre 2002, volta a definire il favoreggiamento dell’ingresso, del transito e del soggiorno illegali e della decisione quadro 2002/946/GAI del Consiglio del 28 novembre 2002, relativa al rafforzamento della normativa penale per la repressione del favoreggiamento dell’ingresso, del transito e del soggiorno illegali.
Osserva la Corte che la domanda in parola è stata presentata nell’ambito di un procedimento penale avviato a carico di una cittadina di un paese terzo per favoreggiamento dell’ingresso illegale nel territorio italiano di due cittadine minori che la accompagnavano e di cui è effettivamente affidataria.
Preliminarmente il giudice europeo effettua un excursus della normativa in materia e rileva che l’articolo 31 della Convenzione relativa allo status dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 e completata dal protocollo relativo allo status dei rifugiati, concluso a New York il 31 gennaio 1967 intitolato “Rifugiati in situazione irregolare nel Paese di accoglimento”, al paragrafo 1 prevede in linea generale che “Gli Stati contraenti non applicheranno sanzioni penali per ingresso o soggiorno irregolare a quei rifugiati che, provenienti direttamente dal Paese in cui la loro vita o la loro libertà era minacciata nel senso previsto dall’articolo 1, entrano o si trovano sul loro territorio senza autorizzazione, purché si presentino senza indugio alle autorità ed espongano ragioni ritenute valide per il loro ingresso o la loro presenza”.
Inoltre, la decisione prende atto che l’articolo 27, paragrafo 2, della Convenzione sui diritti del fanciullo, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989 dispone che “Al genitore, ai genitori o ad altre persone che hanno l’affidamento del fanciullo spetta la responsabilità fondamentale di assicurare, entro i limiti delle loro possibilità e dei loro mezzi economici, le condizioni di vita necessarie allo sviluppo del fanciullo”.
La sentenza rileva anche che l’articolo 24 della Carta, intitolato “Diritti del minore”, dispone che i minori hanno diritto alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere e in tutti gli atti, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l’interesse superiore del minore deve essere tenuto in considerazione.
La Corte soggiunge, tra l’altro, che i considerando 16 e 18 della direttiva 2011/ 95/U.E. del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di Paesi terzi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale mira in particolare ad assicurare il pieno rispetto della dignità umana, il diritto di asilo dei richiedenti asilo e dei familiari al loro seguito.
Pertanto, secondo la Corte, nell’applicare la menzionata direttiva gli Stati membri dovrebbero attribuire fondamentale importanza all’ “interesse superiore del minore”, in linea con la convenzione sui diritti del fanciullo; e, nel valutare l’interesse superiore del minore, gli stessi Stati dovrebbero tenere debitamente presente, in particolare, il principio dell’unità del nucleo familiare. Infatti, l’articolo 23, di tale direttiva, intitolato “Mantenimento dell’unità del nucleo familiare”, al paragrafo 1, statuisce che “Gli Stati membri provvedono a che possa essere preservata l’unità del nucleo familiare”.
Secondo i magistrati, anche il considerando 9 della direttiva 2013/33/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale dispone che “[…] gli Stati membri dovrebbero provvedere affinché la direttiva rispetti pienamente i principi dell’interesse superiore del minore e dell’unità familiare, conformemente alla [Carta], alla [convenzione sui diritti del fanciullo] e alla convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950[…] “.
Ma la Corte sottolinea altresì che l’articolo 12 del decreto legislativo n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), del 25 luglio 1998 al comma  2, precisa che “Fermo restando quanto previsto dall’articolo 54 del codice penale, non costituiscono reato le attività di soccorso e assistenza umanitaria prestate in Italia nei confronti degli stranieri in condizioni di bisogno comunque presenti nel territorio dello Stato”.
Nell’esaminare la fattispecie in esame il giudice europeo rileva che il 27 agosto 2019 una cittadina congolese si è presentata alla frontiera aerea di Bologna, in arrivo con un volo proveniente da un paese terzo, accompagnata da due minori, di otto e tredici anni; tutte erano in possesso di passaporti falsi. Su disposizione del Tribunale per i minorenni le due minori sono state affidate a una comunità, mentre il 9 ottobre 2019, la straniera ha presentato una domanda di protezione internazionale.
In tale contesto, il Tribunale di Bologna ha deciso di sospendere il procedimento e ha interrogato la Corte sulla validità dell’articolo 1 della direttiva 2002/90 e dell’articolo 1 della decisione quadro 2002/946 alla luce della Carta, nonché sull’interpretazione di quest’ultima al fine di stabilire se essa osti alle disposizioni nazionali che hanno recepito tali articoli nell’ordinamento giuridico italiano.
A tale proposito la Corte ritiene che, secondo una giurisprudenza costante, l’articolo 7 della Carta deve essere letto in combinato disposto con l’obbligo di prendere in considerazione l’interesse superiore del minore, sancito dall’articolo 24, paragrafo 2, della Carta, tenendo conto della necessità per il minore di intrattenere regolarmente relazioni personali di cui all’articolo 24, paragrafo 3, della stessa.
Inoltre, poiché l’articolo 24 della Carta costituisce un’integrazione nel diritto dell’Unione dei principali diritti del minore sanciti nella Convenzione sui diritti del fanciullo occorre, nell’interpretazione di detto articolo, tenere debitamente conto delle disposizioni di tale convenzione. In particolare, in forza dell’articolo 27, paragrafo 2, spetta in primo luogo al genitore, ai genitori o ad altre persone che hanno l’affidamento del fanciullo, la responsabilità di assicurare, entro i limiti delle loro possibilità e dei loro mezzi economici, le condizioni di vita necessarie allo sviluppo del fanciullo.
Pertanto, la condotta di una persona che fa entrare illegalmente nel territorio di uno Stato membro minori cittadini di paesi terzi che l’accompagnano e di cui è effettivamente affidataria non può rientrare nei comportamenti illeciti di favoreggiamento dell’ingresso.
Un’interpretazione in senso contrario della disposizione in parola comporterebbe un’ingerenza particolarmente grave nel diritto al rispetto della vita familiare e dei diritti del minore, sanciti, rispettivamente, agli articoli 7 e 24 della Carta, al punto da pregiudicare il contenuto essenziale di tali diritti fondamentali.
Di conseguenza, salvo ledere il contenuto del diritto al rispetto della vita familiare e i diritti del minore sanciti, rispettivamente, agli articoli 7 e 24 della Carta, l’articolo 1, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2002/90 non può essere interpretato come diretto a far sì che la condotta di una persona consistente nel portare con sé, al momento del suo ingresso illegale nel territorio di uno Stato membro, il proprio figlio o un altro minore di cui è effettivamente affidataria, sia qualificata come “favoreggiamento dell’ingresso illegale” in tale territorio e che sia sanzionata penalmente a detto titolo.
Sotto un ulteriore profilo, dal considerando 9 della direttiva 2013/33 risulta che gli Stati membri dovrebbero provvedere affinché, nell’ambito dell’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, i principi dell’interesse superiore del minore e dell’unità familiare siano pienamente rispettati.
Nel caso di specie, dato che la cittadina congolese ha presentato una domanda di protezione internazionale, la stessa beneficia dei diritti derivanti dalla presentazione di tale domanda e, pertanto, non può incorrere in sanzioni penali né a causa del suo proprio ingresso illegale nel territorio italiano né a causa del fatto di essere stata accompagnata, al momento di tale ingresso, da sua figlia e dalla sua nipote di cui è effettivamente affidataria.
In considerazione di quanto sopra la Corte ha concluso che l’articolo 1, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2002/90,  alla luce degli articoli 7 e 24 nonché dell’articolo 52, paragrafo 1, della Carta, deve essere interpretato nel senso che, da un lato, non rientra nei comportamenti illeciti di favoreggiamento dell’ingresso illegale la condotta di una persona che, in violazione del regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone, fa entrare nel territorio di uno Stato membro cittadini minori di Paesi terzi che l’accompagnano e di cui è effettivamente affidataria e, dall’altro lato, che tali articoli ostano a una normativa nazionale che sanziona penalmente una siffatta condotta.

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3. Conclusioni: le conseguenze sulle politiche migratorie del governo


Si osserva preliminarmente che l’attuale governo attua sostanzialmente tre diverse politiche migratorie.
La prima consiste nella prosecuzione dell’accoglienza dei rifugiati ucraini, varata d’urgenza dal governo Draghi nel marzo del 2022 e che continua anche sotto l’attuale esecutivo. Al riguardo, la Commissione U.E. ha proposto di prorogare di un altro anno, fino al 4 marzo 2027, la protezione temporanea per le persone in fuga dalla guerra in Ucraina, e allo stesso tempo ha delineato un piano per coordinare il rimpatrio degli ucraini una volta concluso il conflitto.[4]
La seconda politica, anch’essa non nuova ma rafforzata dal governo in carica, consiste nell’apertura nei confronti degli ingressi di lavoratori a causa di una diffusa carenza di manodopera per molte occupazioni. Infatti, sono previsti 452 mila nuovi ingressi in tre anni, perlopiù per lavoro stagionale, ma anche per occupazioni stabili.
La terza politica, è rappresentata dalla chiusura verso gli ingressi per ragioni umanitarie. individuando in tale settore la linea strategica dell’esecutivo.
In questa cornice s’inserisce l’accordo con l’Albania e la realizzazione di centri extraterritoriali per l’esame delle domande di asilo e per i C.P.R. e la definizione di Paesi sicuri culminata nella “legge sui paesi sicuri”, e cioè il decreto-legge n. 158/2024, convertito in legge n. 187/2024, che  mira a definire i criteri per l’identificazione dei paesi di origine sicuri e prevede che un Paese possa essere considerato sicuro sulla base dello status giuridico, dell’applicazione della legge e della situazione politica generale, dimostrando che non vi sono pericoli per la vita e la libertà del richiedente. 
In sostanza, il governo attuale in materia migratoria si muove tra opposte esigenze: quella della chiusura delle frontiere, quella della solidarietà con l’Ucraina, quella dell’apertura ai lavoratori richiesti dal sistema produttivo.
In tale contesto, non vi è dubbio che le recenti decisioni della Corte di Cassazione e della Corte di Giustizia europea potrebbero rappresentare un vulnus alla politica migratoria del governo e arrivano in un momento di incertezza normativa: entro l’autunno, infatti, si attende una pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che dovrà esprimersi sulla questione se un Paese di origine possa essere designato come sicuro in presenza di eccezioni relative a categorie di persone e come i giudici possano controllare se la designazione è legittima, mentre il regolamento europeo su immigrazione e asilo, che potrebbe incidere sui trasferimenti dei migranti, dovrebbe entrare in vigore solo nel 2026.
Saranno questi i provvedimenti decisivi che potrebbero mettere fine anche al dibattito sui centri in Albania e quindi di conseguenza incidere sul conflitto tra l’esecutivo e la magistratura in materia di migrazione che ormai ha raggiunto livelli allarmanti in grado, quindi, di minare il nostro sistema democratico e il principio di leale collaborazione sancito dall’art.20 della Carta costituzionale.  

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Note


[1] P. Gentilucci, Il trattato Italia-Albania sui centri di detenzione, in Diritto.it del 13 novembre 2023.
[2] P. Gentilucci, Centri in Albania: i provvedimenti del governo, in Altalex del 18 aprile 2025.
[3] P. Maciocchi, Migranti, sui centri in Albania la Cassazione rinvia alla Corte Ue, in Sole 24 ore del 30 maggio 2025.
[4] M. Ambrosini, Tutte le contraddizioni del governo sulle politiche migratorie, in Lavoce.info del 25 ottobre 2024.

Prof. Paolo Gentilucci

Paolo Gentilucci, Ufficiale della Repubblica (G.U. n. 81 del 5 aprile 2023), già Commissario di Pubblica Sicurezza, Vice direttore delle Imposte Dirette di Firenze e viceprefetto presso il Ministero dell’Interno, dal mese di aprile 2018 è docente presso la Scuola Universitari…Continua a leggere

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