Piano del consumatore e accordo di ristrutturazione dei debiti del consumatore: un confronto tra gli istituti

Redazione 10/03/20
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Di seguito un breve disamina volta al raffronto tra piano del consumatore e accordo di ristrutturazione dei debiti del consumatore.

Il presente contributo sul raffronto tra piano del consumatore e accordo di ristrutturazione dei debiti del consumatore è tratto da “La nuova gestione della crisi per il cittadino e la famiglia” di Stefano Chiodi.

Piano del consumatore e accordo di ristrutturazione dei debiti del consumatore: la diversa denominazione

La primissima differenza tra piano del consumatore e accordo di ristrutturazione dei debiti del consumatore riguarda la denominazione: come si può notare, la nuova terminologia deriva certamente dalla collocazione normativa delle procedure di composizione della crisi della persona fisica accanto alle procedure concorsuali e di ristrutturazione aziendale. Il concetto di ristrutturazione richiama infatti il concordato preventivo e, in particolare, l’accordo di cui all’art. 182-bis L.F., dedicati alla soluzione della crisi e dell’insolvenza dell’imprenditore fallibile[1].

A confermare il tentativo di uniformità e coordinamento tra procedure, è anche il fatto che l’istituto, che nella legge del 2012 veniva definito “accordo di composizione della crisi”, oggi è denominato “concordato minore”, dal quale il consumatore è espressamente escluso.

E ancora più pregnante si rivela la riserva operata dal legislatore al comma 2 dell’art. 65 del D.Lgs. n. 14/2019: “Si applicano, per quanto non specificamente previsto dalle disposizioni della presente sezione, le disposizioni del titolo III, in quanto compatibili”. Ebbene, il titolo III testé richiamato riguarda alcune regole puramente procedurali applicabili a tutte le procedure del nuovo codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, a prescindere dal soggetto che vi accede: giurisdizione[2], competenza per materia e per territorio[3], cessazione dell’attività del debitore e morte del debitore[4].

Si tratta di disposizioni comuni che subentrano laddove la sezione dedicata alla singola procedura non preveda espressamente diverse regole speciali.

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Principi generali comuni

A ciò si aggiunga la previsione di principi generali (artt. 3-11) in materia di doveri delle parti e della autorità preposte, di economia processuale (prededucibilità dei crediti) e altri aspetti procedurali, applicabili indistintamente a tutte le procedure disciplinate dal codice.
In particolare, ai sensi dell’art. 4, il debitore ha il dovere di:

a)  illustrare la propria situazione in modo completo, veritiero e trasparente, fornendo ai creditori tutte le informazioni necessarie ed appropriate allo strumento di regolazione della crisi o dell’insolvenza prescelto;

b)  assumere tempestivamente le iniziative idonee alla rapida definizione della procedura, anche al fine di non pregiudicare i diritti dei creditori;

c)  gestire il patrimonio o l’impresa durante la procedura di regolazione della crisi o dell’insolvenza nell’interesse prioritario dei creditori.

Dall’altro lato, i creditori hanno il dovere di collaborare lealmente con il debitore, con i soggetti preposti alle procedure di allerta e composizione assistita della crisi, con gli organi nominati dall’autorità giudiziaria nelle procedure di regolazione della crisi e dell’insolvenza e di rispettare l’obbligo di riservatezza sulla situazione del debitore, sulle iniziative da questi assunte e sulle informazioni acquisite.

Ai sensi dell’art. 5, i componenti degli organismi e dei collegi preposti alle procedure di allerta e composizione assistita della crisi, ivi compresi i referenti e il personale dei relativi uffici, sono tenuti all’obbligo di riservatezza su tutte le informazioni acquisite nell’esercizio delle loro funzioni e devono conservare il segreto sui fatti e sui documenti di cui hanno conoscenza per ragione del loro ufficio. Tale disposizione deve ritenersi applicabile anche all’O.C.C.

Inoltre, tutte le nomine dei professionisti effettuate dall’autorità giudiziaria e dagli organi da esse nominati devono essere improntate a criteri di trasparenza, rotazione ed efficienza; il Presidente del Tribunale o, nei tribunali suddivisi in sezioni, il Presidente della sezione cui è assegnata la trattazione delle procedure di regolazione della crisi o dell’insolvenza vigila sull’osservanza dei suddetti principi e ne assicura l’attuazione mediante l’adozione di protocolli condivisi con i giudici della sezione.

L’esigenza di unitarietà della disciplina e le irriducibili differenze

Da quanto appena descritto si evince l’esigenza del legislatore di riformare le procedure di sovraindebitamento per armonizzarle con le modifiche relative alle procedure di regolamentazione dell’insolvenza e della crisi di impresa, nell’ottica di una rivisitazione sistematica della complessiva disciplina.

Anche la regolazione del sovraindebitamento, in un testo normativo che si prefigge l’obiettivo di “unitarietà”, risponde quindi a criteri generali il più possibile comuni alle altre procedure liquidatorie e conservative. In tal senso, il legislatore ha inteso individuare un nucleo essenziale e comune di regole generali, da cui differenziarsi solo per gli aspetti che richiedono un indispensabile adattamento alle peculiarità della fattispecie[5].

In realtà, al di là del comune obiettivo, fissato a livello nazionale e, prima ancora, europeo, di sanare le situazioni di crisi di tutti i soggetti (siano essi persone fisiche, società, imprenditori sotto soglia ecc.) che complessivamente pregiudicano il mercato, la procedura riservata al consumatore si può difficilmente allineare a quelle previste per il risanamento delle imprese. La diversità è strutturale e dipende dalla natura e dalla qualifica del soggetto indebitato e dagli interessi sottesi alla sua “riabilitazione”: ne consegue una differenziazione, sia sul piano delle conseguenze per il consumatore e la propria famiglia (il cui sovraindebitamento non può comportare una cessazione di esistenza, come può avvenire nel caso delle aziende), sia sul piano del patrimonio disponibile e delle soluzioni e garanzie che il comune cittadino può offrire rispetto ad un imprenditore.

Aspetto rilevante è poi quello degli effetti dell’esdebitazione: il consumatore esdebitato può rivivere serenamente, riabilitarsi nella società e avviare nuovi progetti di vita; l’imprenditore o professionista esdebitato, già nel corso della procedura, può proseguire la propria attività aziendale o professionale, continuare a produrre e apprendere dal passato gli errori da non commettere in futuro.

La “sopravvivenza” del consumatore e della sua famiglia e la “continuità” di un’azienda o di un’attività professionale sono obiettivi perseguibili necessariamente con approcci distinti, con criteri di valutazione e procedure separati, in ragione delle situazioni e degli interessi coinvolti (individuali e collettivi).

Riguardo a tale ultimo profilo, vi è da dire che sussistono inevitabili interferenze con il giudizio di meritevolezza (imprescindibile per l’omologa del piano o dell’accordo): mentre per le imprese vi è necessità di operare una selezione tra quelle meritevoli di restare sul mercato e quelle che non lo sono, per le persone e le loro famiglie, vi è la necessità, oltre che di procedere al risanamento del bilancio familiare, di vagliare caso per caso le conseguenze della cattiva gestione economico-finanziaria[6].

Per le suddette ragioni, il piano di ristrutturazione del debito del consumatore (ex piano del consumatore), pur se collocato tra le procedure concorsuali, resta in realtà una “procedura ibrida[7]non direttamente riconducibile ad alcuno degli istituti “alternativi” a quello meramente liquidatorio delineati dal legislatore della riforma fallimentare[8].

Il presente contributo sul raffronto tra piano del consumatore e accordo di ristrutturazione dei debiti del consumatore è tratto da “La nuova gestione della crisi per il cittadino e la famiglia” di Stefano Chiodi.

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Note

[1] Nel nuovo codice della crisi di impresa e dell’insolvenza si riscontra il concetto di ristrutturazione nel Titolo IV, sezione II, “Accordi di ristrutturazione dei debiti dell’imprenditore” (accordi di ristrutturazione agevolati, accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa, convenzione di moratoria, transazione fiscale e accordi sui crediti contributivi).

[2] La giurisdizione, così come la competenza, si determina in base al centro degli interessi principali del debitore. Il trasferimento del centro degli interessi principali all’estero non esclude la sussistenza della giurisdizione italiana se è avvenuto nell’anno antecedente il deposito della domanda di regolazione concordata della crisi o della insolvenza o di apertura della liquidazione giudiziale ovvero dopo l’inizio della procedura di composizione assistita della crisi, se anteriore.

[3] Art. 27, comma 2: per i procedimenti di regolazione della crisi o dell’insolvenza del debitore, le controversie che ne derivano è competente il Tribunale nel cui circondario il debitore ha il centro degli interessi principali.

[4] Secondo l’art. 35, se il debitore muore dopo l’apertura della procedura di liquidazione concorsuale, questa prosegue nei confronti degli eredi, anche se hanno accettato con beneficio d’inventario. Se ci sono più eredi, la procedura prosegue nei confronti di quello che è designato come rappresentante. In mancanza di accordo sulla designazione, entro quindici giorni dalla morte del debitore vi provvede il Giudice Delegato.

[5] Cfr. Relazione illustrativa allo Schema di D.Lgs. – Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza in attuazione della Legge 19 ottobre 2017, n. 155.

[6] Così Quaranta, L’accordo ed il piano del consumatore, in Crisi da sovraindebitamento ovvero il fallimento del consumatore, a cura di Stanislao De Matteis e Nicola Graziano, 2015.

[7] Bertacchini, Esigenze di armonizzazione e tendenze evolutive o involutive nella composizione, in Nuove Leggi Civili Commentate, 2012.

[8] Benincasa, Composizione della crisi da sovraindebitamento. L’istituto in rapporto alle procedure concorsuali, in Temi Romana, n. 1-2-3/2012, pp. 10-16.

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