Piano concordatario e risoluzione di un contratto di leasing

Redazione 03/09/14
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MASSIMA

In sede di piano concordatario, la previsione di agire per la risoluzione di un contratto di leasing, è alternativa rispetto alla richiesta, rivolta al Tribunale, di essere autorizzati allo scioglimento dallo stesso, ex art. 169 bis L.F.: infatti, da una parte, è la stessa proponente che dichiara di voler coltivare la strada della cessazione degli effetti del contratto per il ricorrere di un’ipotesi di eccessiva onerosità (dovuta, in ipotesi, ai tassi usurari, con il rispetto delle conseguenze di cui all’art. 1526 1° co. c.c., in caso di leasing traslativo e di cui all’art. 1458 c.c., in caso di leasing di godimento), mentre, dall’altra, la proponente si rivolge al Tribunale al fine di essere autorizzata a sciogliersi dal contratto, ex art. 169 bis L.F., dovendo, tuttavia, garantire alla creditrice concedente la prescritta indennità corrispondente al risarcimento del danno, per il mancato adempimento.

La proposta concordataria che prospetta ambedue le soluzioni, presenta un’incertezza di fondo, che la rende generica, incerta e, quindi, inammissibile, ex art. 162 secondo comma L.F. (a maggior ragione, se la società proponente, non si pone neppure il problema del voto dei creditori della società di leasing).

 

TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA

Il Tribunale, composto dai seguenti magistrati:

Dott. G. Russo Presidente

Dott. F. de Palo Giudice

Dott. L. Solaini Giudice rel.

riunito in camera di consiglio,

letto il ricorso per l’ammissione alla procedura di concordato preventivo con cessione dei beni, ex artt. 160 e ss L.F., depositato in data 17.6.2014  dalla S.A..L. SRL;

considerato come sia stato assegnato alla società proponente un ulteriore termine, ex art. 162, comma 1° L.F. per apportare integrazioni al piano e produrre nuovi documenti;

che in data 14.7.2014 è stata depositata memoria integrativa, corredata dei documenti che risultano versati in atti.

Esaminata la documentazione in contraddittorio con la società proponente, all’udienza del 16.7.2014,  presente il PM il quale ha concluso per l’inammissibilità della proposta ed ha insistito per la declaratoria di fallimento – sulla cui richiesta la società proponente non ha invocato alcun termine a difesa;

sentito, infine, il giudice relatore in camera di consiglio, si rileva quanto segue.

In riferimento al rilievo contraddistinto al n. 1), contenuto nel decreto di cui all’art. 162 commi 1 e 2 L.F. depositato il 3.7.2014, per il quale erano stati richiesti chiarimenti relativi al debito verso le società di leasing che era stato indicato in € 4.072.000, ma non inserito, in concreto, fra i debiti della società, in considerazione degli importi “potenzialmente” recuperabili a seguito delle azioni legali di risoluzione (rectius di rescissione), dalla società meglio indicate in ricorso, la medesima società proponente, nella predetta memoria integrativa ha ritenuto di indicare un minor debito, pari a € 557.405,93 corrispondente alle rate scadute; tuttavia, neppure tale debito è stato ritenuto meritevole di essere inserito nel passivo, in quanto, sempre ad avviso della proponente dovrebbe essere compensato dal valore di realizzo dell’immobile di P. (oggetto del predetto contratto di leasing), che, sarebbe di entità tale, da coprire non solo il saldo delle rate scadute (e, quindi tutto l’importo di € 557.405,93), ma anche l’equo compenso e il risarcimento del danno, ex art. 1526 c.c., e ciò sull’assunto della proponente, espresso in sede di ricorso, che la tipologia di leasing in corso di esecuzione sia di tipo traslativo (sul punto, v. infra).

Con riferimento all’asserito valore dell’immobile oggetto di leasing, la tesi non è supportata da alcuna perizia di stima, ma è frutto di un’unilaterale valutazione della proponente, priva di supporto tecnico-contabile; in questo contesto, la proponente non quantifica prudenzialmente neppure l’equo compenso (che comprende la remunerazione del godimento del bene, il deprezzamento conseguente alla sua non commerciabilità come nuovo ed il logoramento per l’uso) né l’eventuale risarcimento del danno (che può derivare da un logoramento anormale della cosa, v. Cass. N. 575/2005).

In effetti, la proponente né in sede di ricorso, né di memoria integrativa e neppure in udienza, ha effettivamente chiarito se intende agire per la risoluzione dei contratti di leasing, a oggi ancora in corso di esecuzione, ovvero intenda richiederne lo scioglimento, ex art. 169 bis L.F.: infatti, le due soluzioni sono alternative, in quanto, da una parte, sarebbe la stessa proponente a percorrere la strada della cessazione degli effetti del contratto per il ricorrere dell’ipotesi dell’eccessiva onerosità (dovuta ai tassi usurari), mentre, dall’altra, la proponente si rivolge al Tribunale al fine di essere autorizzata a sciogliersi dal contratto, ex art. 169 bis L.F., dovendo, tuttavia, garantire alla creditrice concedente la prescritta indennità corrispondente al risarcimento del danno, per il mancato adempimento.

Pertanto, da una parte si evidenziano profili di usurarietà che legittimerebbero la paventata risoluzione (si rileva, tuttavia, dal tenore del testo contrattuale, come la soglia del tasso degli interessi di mora sia espressamente fissato al di sotto del tasso soglia, v. contratto di leasing dell’immobile di P.);

Da un’altra parte, la società chiede di essere autorizzata a sciogliersi dal predetto vincolo contrattuale relativamente al leasing immobiliare, per recuperare un attivo stimato di € 3.377.005,00 (p. 23 del piano); la proposta, pertanto, presenta quest’incertezza di fondo, che la rende generica, né, inoltre, si comprende se nelle intenzioni della proponente, i creditori concedenti, potrebbero, all’esito, esercitare o meno il diritto di voto, in sede di adunanza dei creditori.

Tale incertezza, si riverbera nello stesso elaborato dell’attestatore, il quale avanza dubbi sulla possibilità che le società di leasing possano spontaneamente restituire le rate scadute e anche quelle a scadere, e in tal caso, ipotizza la necessità di dover incrementare l’attivo di un pari importo, che si dovrebbe ottenere dalla vendita dei beni oggetto di leasing (pp. 34 e 35);

L’attestazione sul punto è censurabile, perché ritiene che in ogni caso tale incremento sarà coperto dal valore di realizzo del bene immobile, senza il supporto di una specifica valutazione dello stesso, ed alla luce del fatto che la proprietà di tutti i beni immobili rimarrà in capo alle società concedenti che potrebbero non essere disponibili alla vendita degli stessi.

In quest’ottica, però, non si comprende come la lettera d’intenti del 29.4.2014 – sub 2 -(di per sé, priva di qualsivoglia vincolatività giuridica), che contempla una strumentale locazione da parte della proponente in favore di una terza società (D. srl) , volta alla successiva vendita del bene di Pioltello ad opera della proponente in favore di detta società, possa trovare attuazione, se è vero che alla risoluzione del contratto di leasing o al suo scioglimento, conseguirebbe la restituzione del bene alla società concedente che ne è proprietaria a tutti gli effetti; pertanto, l’odierna società proponente non sarebbe legittimata a vendere tale bene a chicchessia.

Non può sottacersi un ultimo rilievo.

Dall’esame del contratto di leasing dell’immobile di P., lo stesso risulta acquistato dalla società concedente per € 4.790.000,00, concesso in godimento per 144 rate, e fissato il prezzo di riscatto in € 705.001,78: tale valore, sicuramente apprezzabile economicamente, è sintomatico che la corresponsione dei canoni, non appaiono incorporare anche una quota del valore del bene e, quindi, del prezzo finale di acquisto, ma appaiono il solo corrispettivo del suo utilizzo, ditalché il contratto di leasing, potrebbe, in ipotesi, configurarsi come di godimento e non proprio come traslativo, con conseguente applicazione dell’art. 1458 c.c. e non dell’art. 1526 c.c., che contempla il diritto della società concedente a trattenere le rate scadute e già pagate (in virtù della non retroattività degli effetti della risoluzione, nei contratti a esecuzione continuata o periodica relativamente alle prestazioni già eseguite), e il suo diritto alla restituzione dell’immobile: se così fosse, non vi sarebbe luogo a nessun recupero di attivo dai contratti di leasing, che nelle intenzioni della proponente doveva, invece, garantire il soddisfacimento dei creditori.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso, ex artt. 160 e ss L.F. proposto dalla S.A..L. SRL, con sede in Roma , via T. n. 1166 (C.F. ……….);

Si riserva di provvedere in merito all’istanza di fallimento, proposto dalla Procura della Repubblica avverso la S.A..L. SRL con contestuale ma separato provvedimento

Redazione

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