Per disporre la sospensione del decorso dei termini processuali di cui all’art. 83, comma 2, d.l. 17 marzo 2020, n. 18 non è necessario un provvedimento del giudice

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(Ricorso dichiarato inammissibile)

(Riferimento normativo: D.l.,17.03.2020, n. 18, art. 83, c. 2)

Il fatto

Il Tribunale di Roma rigettava l’appello ex art. 310 cod. proc. pen. avverso un’ordinanza emessa dalla Corte di appello di Roma che a sua volta aveva respinto l’istanza di declaratoria di inefficacia della misura cautelare degli arresti domiciliari per scadenza del termine di fase.

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I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso la suddetta ordinanza proponeva ricorso per cassazione l’imputato denunciando, a mezzo del proprio difensore, i seguenti motivi: 1) violazione di legge in relazione agli artt. 83 d.l. n. 18 del 2020 e 304 cod. proc. pen. posto che, secondo il ricorrente, premesso che la disciplina dell’art. 83, comma 4, d.l. n. 18 del 2020 non ha introdotto alcuna deroga all’art. 304 cod. proc. pen. con la conseguenza che anche la sospensione dei termini da esso prevista va disposta con ordinanza, da ciò se ne faceva conseguire che, in assenza di un siffatto provvedimento portato a conoscenza del ricorrente, il termine di fase era venuto nel caso in esame in scadenza; 2) violazione di legge in relazione all’art. 83 d.l. n. 18 del 2020 atteso che, come stabilisce l’art. 83, comma 4, cit., la sospensione dei termini opera rispetto a quei procedimenti che, in base al comma 2, sono stati oggetto di rinvio ex offcio e, a tal proposito, il procedimento del ricorrente non era stato mai oggetto di rinvii fermo restando che, in ogni caso, sempre ad avviso della difesa, la Corte di appello, nel dar seguito al procedimento di appello, aveva fatto applicazione della regola della “trattazione” sebbene per quel periodo era previsto il rinvio d’ufficio delle udienze penali (l’avviso di udienza era pervenuto la prima volta al difensore 1’8 maggio 2020 e l’udienza era stata fissata al 19 giugno 2020 ovvero nella “fase 2”, ovvero in un periodo in cui le udienze potevano essere rinviate in base alle direttive dei Capi degli Uffici giudiziari) e, quindi, stando alle tempistiche, la Corte di appello, per l’impugnante, aveva implicitamente applicato la normativa dell’art. 83, comma 3, lett. b), n. 2 cit. (nel senso della non operativa dei commi 1 e 2) poiché, se così non fosse stato, non avrebbe avuto senso l’invio della fissazione dell’udienza in costanza della “fase 1” e la fissazione dell’udienza in “fase 2“.

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Il ricorso veniva stimato inammissibile per le seguenti ragioni.

Il primo motivo era infatti ritenuto manifestamente infondato posto che la sospensione del decorso dei termini processuali di cui all’art. 83, comma 2, d.l. 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla I. 24 aprile 2020, n. 27, dal 9 marzo al 15 aprile 2020 (termine poi prorogato alla data dell’11 maggio 2020 dai successivi interventi normativi) è dettata dalla legge e non è necessario un provvedimento alla stregua del regime previsto dall’art. 304 cod. proc. pen. trattandosi di una conclusione pacificamente emergente nella giurisprudenza di legittimità e di recente anche confermata dalle Sezioni Unite (Sez. U, n. 5292 del 26/11/2020) secondo cui non vi è dubbio che quella configurata dal legislatore sin dal d.l. n. 9 del 2020 sia una vera e propria sospensione ex lege dei procedimenti e dei processi atteso che il rinvio d’ufficio delle udienze e la sospensione di tutti i termini sono misure che sono state adottate proprio al dichiarato fine di provocare una generalizzata stasi dell’attività giudiziaria – salve le eccezioni espressamente previste – funzionale al contenimento dell’emergenza pandemica.

Ciò posto, anche il secondo motivo era all’evidenza ritenuto privo di fondamento in quanto, nel suddetto periodo emergenziale, il legislatore ha inteso “congelare“, salvo talune eccezioni, e, quindi, tendenzialmente imporre la totale paralisi di ogni attività processuale, a prescindere dal fatto che la stessa comporti o meno la celebrazione di una udienza, allo scopo di ridurre al minimo le forme di contatto che possono favorire il propagarsi dell’epidemia neutralizzando ogni effetto negativo che il massimo differimento delle attività processuali così disposto avrebbe potuto dispiegare sulla tutela dei diritti per effetto del potenziale decorso dei termini processuali come peraltro precisato nella Relazione illustrativa al decreto legge in esame.

Una ulteriore conferma di tale assunto, ad avviso degli Ermellini, è venuta dalle Sezioni Unite, nell’arresto sopra richiamato, che, nell’operare un distinguo della operatività della sospensione dei termini nel giudizio di cassazione, ha precisato che il citato secondo comma dell’art. 83 per le altre fasi del processo o del procedimento non collega la sospensione “necessariamente” alla sopravvenuta impossibilità di celebrare un’udienza.

Non vi era quindi dubbio per la Suprema Corte come il procedimento del ricorrente nel periodo in esame avesse subito una effettiva stasi dell’attività processuale per l’effetto delle misure adottate per arginare la pandemia posto che ex lege sono state congelate tutte quelle attività (e i relativi termini) conseguenti alla presentazione dell’appello del ricorrente nel giudizio di merito (per ipotesi prima le incombenze previste ex art. 590 cod. proc. pen. e poi quelle ex art. 601 cod. proc. pen.), vale a dire un’attività che il codice collega a precise cadenze processuali (la trasmissione integrale alla Corte d’Appello degli atti del processo di primo grado ex art. 590 cod. proc. pen. e la conseguente emissione del decreto di citazione in appello ex art. 601 cod. proc. pen. deve infatti essere effettuata “immediatamente” a seguito della presentazione del gravame, al fine di assicurare la ragionevole durata del processo, cfr. Sez. 2, n. 47840 del 27/09/2017).

Precisato ciò, oltre a quanto sin qui rilevato, era altresì ritenuto generico il riferimento alla circostanza che il procedimento del ricorrente fosse “ad emergenza assoluta” ovvero segnatamente un procedimento per cui nel periodo di sospensione o nei sei mesi successivi scadono i termini di cui all’art. 304, comma 6, cod. proc. pen. trattandosi tra l’altro di questione non oggetto di appello e di circostanza che il Tribunale aveva implicitamente escluso nella trattazione del ricorso.

Una volta stabilito come correttamente fosse stata ritenuta la sospensione ex lege di tali attività, in mancanza di una istanza di trattazione proveniente dal ricorrente, ne conseguiva, per il Supremo Consesso, che la misura cautelare non era divenuta inefficace il 28 settembre 2020 venendo il termine di fase ad essere prorogato di 64 giorni.

Da ultimo, quanto poi alla tesi difensiva che la Corte di appello avrebbe dovuto comunque fissare una data di udienza, potendo solo una volta avuto notizia di quella il difensore optare per la richiesta di trattazione o meno, per i giudici di legittimità ordinaria, si trattava di un assunto che non trovava fondamento alcuno nel più volte richiamato dettato normativo emergenziale di cui al d.l. n. 18 del 2020 (cfr. Sez. 4, n. 24431 del 17/07/2020).

Conclusioni

La decisione in esame è assai interessante essendo ivi chiarito che la sospensione del decorso dei termini processuali di cui all’art. 83, comma 2, d.l. 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla I. 24 aprile 2020, n. 27, dal 9 marzo al 15 aprile 2020 (termine poi prorogato alla data dell’11 maggio 2020 dai successivi interventi normativi) è dettata dalla legge e non è necessario un provvedimento alla stregua del regime previsto dall’art. 304 cod. proc. pen..

Tal che ne discende che è sconsigliabile, perlomeno alla stregua di tale approdo ermeneutico, una linea difensiva volta a contestare la sospensione dei termini processuali secondo quanto previsto dalla normativa appena richiamata solo perché il giudice non ha disposto in tal senso con apposito provvedimento.

Il provvedimento in questione, dunque, proprio perché prova a fare chiarezza su cotale tematica giuridica, non può che essere positivo.

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