Pene e Ordinamento penitenziario – Espulsione dello straniero dallo Stato – Misura alternativa alla detenzione (L.189/2002) – Natura amministrativa della medesima – Conseguenze – Valutazione della pericolosità sociale del condannato – Non è necessaria.

giurisprudenza 25/05/06
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O R D I N A N Z A
 
all’udienza del   19 aprile 2006
 
nel procedimento di sorveglianza relativo all’ OPPOSIZIONE  avverso DECRETO DI ESPULSIONE ex art.   16   D.L.vo n. 286 del 1998, così come modificato dall’art. 15 comma 5 e 6 della Legge 30 Luglio 2002 n. 189,   emesso dal Magistrato di Sorveglianza di ALESSANDRIA in data 26.01.2006 promosso da:   
 
D. F.   nato   in Tunisia il   
DETENUTO  presso la  Casa  Circondariale di ALESSANDRIA – DON SORIA
 
VISTO il parere       come da verbale del P.G.;
VISTI  gli  atti  del  procedimento di  sorveglianza  sopra specificato;
CONSIDERATE le risultanze delle documentazioni acquisite,  delle investigazioni e degli accertamenti svolti, della trattazione  e della discussione di cui a separato processo verbale;
O S S E R V A
 
Il Magistrato di sorveglianza di Alessandria, in data 26.01.2006, ha emesso decreto di espulsione ex art.   16 D.L.vo n. 286 del 1998, così come modificato dall’art. 15 comma 5 e 6 della Legge 30 Luglio 2002 n. 189, nei confronti del detenuto in epigrafe generalizzato.
Avverso detto provvedimento il detenuto ha proposto opposizione ai sensi del comma 6 dell’art. 16 della citata Legge.
Va preliminarmente rilevata l’ammissibilità dell’impugnazione, essendo stata proposta nei termini di legge .
Il Collegio ritiene che il reclamo sia infondato: il provvedimento impugnato è, infatti,   logicamente e adeguatamente motivato con il riferimento alla sussistenza dei presupposti di legge, i quali si riducono alla assenza di titolo di permanenza legittima sul territorio dello Stato, alla durata infra-biennale   della pena residua, alla insussistenza dei motivi ostativi concernenti la convivenza con cittadini italiani, al titolo di reato in espiazione e la situazione del paese di appartenenza.
 
 
 
 
 
 
 
Nessuno dei motivi di impugnazione allegati dall’interessato ha pregio e può infirmare la decisione del giudice a quo.L’opponente allega di avere in corso impugnazione presso Il Consiglio di Stato della sentenza del TAR reiettiva del ricorso avverso la decisone della Questura di rigetto dell’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno formulata dall’interessato, di tal che sul presupposto di cui all’art.13, T.U.Str. ,non vi è ancora un accertamento giudiziale definitivo. In secondo luogo, il condannato non risulterebbe più persona socialmente pericolosa né sarebbe annoverabile tra le categorie di soggetti pericolosi di cui alla l. 1423/56, tenuto conto della positiva evoluzione della condotta in carcere e della sua ammissione al lavoro all’esterno ai sensi dell’art.21,O.P. Infine, l’opponente allega di avere sul territorio nazionale il riferimento familiare rappresentato dalla sorella, cittadina italiana e disposta ad ospitarlo a pena espiata.
            Il primo motivo di impugnazione non ha pregio. Il Collegio osserva che non è rilevante – in sede di valutazione dei presupposti di cui all’art.16, comma 5, T.U.Str. – la mera pendenza di un’istanza giudiziale avverso la reiezione del rinnovo del permesso di soggiorno laddove si tratti di soggetto detenuto per la commissione, in Italia, di reati per i quali è intervenuta condanna definitiva, poiché, nella fattispecie, il documento di soggiorno non può essere rinnovato, ostandovi, appunto, la qualità di soggetto pregiudicato dell’interessato. Nella specie, in altri termini, non vi è ragione per differire la decisione sull’espulsione del soggetto a fini di evitare il pregiudizio che deriverebbe al medesimo, qualora l’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno fosse accolta, poiché l’interessato non rientra, in tutta evidenza, nelle condizioni soggettive per poter ottenere quanto richiesto.
            Anche il secondo motivo di doglianza non può essere accolto. Va, in proposito, osservato che, ai fini della misura opposta, non rileva il grado di rieducazione dell’interessato né – all’opposto – la sua pericolosità sociale, poiché la misura si basa sulla verifica della condizione del cittadino straniero condannato, sotto il profilo della regolarità amministrativa della permanenza sul territorio, sul quadro criminologico riferito ai reati commessi, sulla durata della pena residua ancora da espiare e sull’ assenza dei motivi ostativi all’espulsione di cui all’art.19, T.U.Str. . In altri termini, al di là del nomen juris, peraltro, deve ritenersi che il legislatore abbia introdotto una nuova forma di sospensione condizionata della pena applicata in sede esecutiva piuttosto che una vera e propria misura alternativa alla stessa.
Conforta tale opinione il rilievo che l’applicazione della nuova figura di espulsione si configura quale potere-dovere del giudice (“è disposta l’espulsione”) assumendo dunque un carattere necessitato, estraneo all’istituto delle misure alternative alla detenzione.
Del resto,queste ultime sono strutturate dall’ordinamento quale strumento di risocializzazione,volte cioè a favorire, il reingresso del condannato in quel tessuto sociale dal quale, invece, la misura dell’espulsione tende ad allontanarlo in via tendenzialmente definitiva.
            La stessa Corte costituzionale, con l’ordinanza n. 369 del 1999, ha avuto occasione di definire la natura dell’espulsione a titolo di sanzione sostitutiva disciplinata dal comma 1 dell’art. 16 del decreto legislativo n. 286 del 1998 (già art. 14 della legge 6 marzo 1998, n. 40, rimasto immutato dopo le modifiche recate dalla legge n. 189 del 2002), che presenta rilevanti affinità con l’ipotesi attuale di espulsione a titolo di sanzione alternativa; in tale decisione la Corte ha sostenuto che l’espulsione, pur se disposta dal giudice, si configura come una misura di carattere amministrativo, in quanto, da un lato, la sua esecuzione è affidata al questore anziché al pubblico ministero,dall’altro il testo dell’art. 16, comma 1,"richiama le condizioni che costituiscono il presupposto dell’espulsione amministrativa prevista dall’art. 11 [ora art. 13] del decreto legislativo n. 286 del 1998, così rendendo evidente la sostanziale sovrapposizione fra le due misure e la conseguente necessità di una loro armonizzazione sistematica"(Corte cost.,15.7.04,ord.n.226,G.U.,I Serie Speciale,21.7.04).
 
 
Sulla base delle considerazioni sopra riportate, dunque, al Magistrato di sorveglianza non è richiesta (né consentita) alcuna valutazione della meritevolezza del soggetto, sotto il profilo della sua rieducazione e dell’efficacia della misura che verrà applicata nella direzione della progressiva risocializzazione del condannato.
Il terzo motivo di impugnazione,infine, non ha rilevanza, poiché difetta in tutta evidenza, il requisito della convivenza attuale (quantomeno con riferimento al momento dell’arresto per l’esecuzione della pena) dell’opponente con la sorella, di tal che viene meno l’esigenza di tutelare l’unità del nucleo familiare poiché, nella fattispecie, non risulta che i due soggetti costituissero un’unità familiare antecedentemente all’esecuzione della pena.
Non v’è, in altri termini, ragione di applicare l’eccezionale disposizione di cui all’art.19,T.U.Str., laddove non vi sia necessità di tutela del bene giuridico che la norma di salvaguardia presidia.
Ne consegue il rigetto dell’impugnazione.
 
P.Q.M.
 
Visto l’ Art. 16 D.L.vo n.286 del 1998 così come modif. dalla Legge n. 189 / 2002 e gli artt. 666 e 678 c.p.p.;
 
R E S P I N G E
 
 
l’OPPOSIZIONE  come sopra proposta .
 
 
Torino, così deciso il   19 aprile 2006
 
 
 IL MAGISTRATO ESTENSORE                                               IL PRESIDENTE
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