Pena e sistema penitenziario- Riabilitazione – Presupposti – Prove effettive e costanti di buona condotta – Denunce successive alla condanna cui si riferisce la domanda – Rilevanza– Condizioni.

giurisprudenza 06/07/06
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L.M.D. ha formulato istanza di riabilitazione in ordine alle condanne inserite nel certificato penale in atti, ma tale domanda non può essere accolta.
In via preliminare, deve essere disattesa l’istanza di rinvio formulata dal difensore per integrazione istruttoria, poiché essa avrebbe ad oggetto profili che, se pure integrati, non potrebbero mutare il giudizio di questo Collegio, poiché esso si fonda sulla riscontrata carenza di una condizione essenziale ai fini del riconoscimento del beneficio richiesto, come subito si dirà.
Infatti le Forze dell’Ordine, con note in atti, informano che il prevenuto successivamente alla condanna per la quale chiede di essere riabilitato, è incorso in nuove denunce, in particolare per i reati di cui agli artt.594,c.p. (2002), art.186, comma 2, C.D.S. (2002) e art.645 (2000).
Com’è noto, il presupposto della regolarità della condotta tenuta dall’interessato successivamente alla condanna per la quale è chiesta la riabilitazione – pur non avendo una preminente collocazione all’interno del dettato normativo – è stata, tuttavia, ritenuta dalla giurisprudenza il principale elementoda verificare ai fini del positivo esito del procedimento. 
Conformemente a tale riconosciuta importanza, la regolarità del comportamento del soggetto deve costituire un dato acquisito e consolidato, di tal che è necessario che l’indagine giudiziale si spinga a verificarne l’effettività e la costanza per tutto il tempo successivo alla condanna in relazione alla quale è chiesta la riabilitazione (Cass.III,12.1.2000, n.57,Silanos,CED).                   
Sotto tale profilo, il giudice può valutare anche eventuali denunce o segnalazioni successive alla condanna de qua, quali fatti storicamente accertati costituenti ipotesi di reato riferibili al richiedente senza necessità di attendere la definizione del relativo procedimento penale, in quanto quel che conta è la valutazione globale della condotta del richiedente al fine di stabilire se lo stesso – prescindendo dall’accertamento giudiziale della sua responsabilità – abbia dato prova di essere rispettoso delle leggi e delle norme di comportamento che regolano la società civile (Cass.I,7.2.1996,n.820,Marchese,CED;Cass.I, 20.3.1997,n.2314,Maione,CED).
            Tali pronunce si collocano nell’alveo di quel filone giurisprudenziale che riconosce al procedimento di riabilitazione una completa autonomia rispetto al processo penale ed ai suoi esiti, rivendicando al tribunale di sorveglianza il libero apprezzamento del disvalore dei fatti-reato giudicati (o soltanto attribuiti al soggetto in seguito a denuncia) senza alcun condizionamento derivante dalla decisione del giudice penale.  
            Il Tribunale di sorveglianza è, pertanto, libero di formare il proprio convincimento in ordine alla sussistenza della regolare condotta dell’istante, traendo elementi di valutazione da qualunque indizio ritenuto sintomatico a tali fini .
            Tuttavia, occorre che gli elementi di fatto acquisiti ai fini del predetto giudizio abbiano – in sé – una valenza suscettiva di orientare il convincimento del giudice in senso positivo o negativo (Cass.I,14.1.1992, n.80, Pallucchini,CED) .  
Nella fattispecie, si tratta di soggetto condannato alla pena di anni 13 di reclusione poiché riconosciuto colpevole di omicidio preterintenzionale.
La specificità dei reati per i quali ha subito ben tre nuove segnalazioni successivamente alla condanna de qua denota una perdurante carica eteroaggressiva, che si incanala in forme di offesa verbale, di rifiuto di sottoporsi ai comandi dell’autorità, o di violenza sulle cose.
            Il Tribunale ritiene, in altri termini – valutata la portata oggettiva dei fatti per i quali il riabilitando è incorso nelle indicate nuove denunce – che, nella fattispecie, permangano in capo all’interessato atteggiamenti antisociali, ciò che conduce al giudizio negativo sulla condotta del riabilitando (in questo senso è: Cass.I,23.10.1991,n.3906,Crivelli,CED; Cass.V,21.11.1985,n.2004, Camerino,CED). 
            Ne consegue che, ravvisandosi la domanda carente di un fondamentale presupposto stabilito dalla legge, essa non può essere accolta.                                    
La domanda pertanto deve essere respinta.
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