La Corte di Cassazione, con sentenza n. 33860 del 5 settembre 2024, ha fornito chiarimenti sull’applicazione della misura del divieto di avvicinamento anche in sede di patteggiamento.
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Indice
1. I fatti
Il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Reggio Calabria, su concorde richiesta delle parti ex art. 444 cod. proc. pen., ha applicato all’imputato la pena di due anni e otto mesi di reclusione per i reati di cui agli artt. 572 e 582, 585, cod. pen., pena sostituita con lo svolgimento del lavoro di pubblica utilità disponendo le prescrizioni di cui all’art. 56-ter, commi 1 e 2, legge 24 novembre 1981, n. 689.
Avverso tale pronuncia, è stato proposto ricorso per Cassazione con il quale è stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione per la disposta prescrizione del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa.
Ad avviso della difesa, tale norma prevede delle prescrizioni che costituiscono contenuto necessario e predeterminato alla pena sostitutiva, mentre l’ultimo comma prevede una prescrizione facoltativa del divieto di avvicinamento: ebbene, su quest’ultimo non è intervenuto alcun consenso delle parti e, anzi, la persona offesa aveva espressamente dichiarato di volere riavvicinarsi all’imputato.
2. Patteggiamento e misure di prevenzione non presenti nell’accordo: l’analisi della Cassazione
La Corte di Cassazione, nel dichiarare infondato il ricorso, premette che l’art. 56-ter prevede delle prescrizioni comuni, da impartire unitamente alle pene sostitutive della semilibertà, della detenzione domiciliare e dei lavori di pubblica utilità, quali: il divieto di detenere e portare a qualsiasi titolo armi, munizioni ed esplosivi; il divieto di frequentare abitualmente, senza giustificato motivo, pregiudicati o persone sottoposte a misure di sicurezza, a misure di prevenzione o comunque persone che espongano concretamente il condannato al rischio di commissione di reati, salvo si tratti di familiari o di altre persone conviventi stabilmente; l’obbligo di permanere nell’ambito territoriale; il ritiro del passaporto e la sospensione della validità ai fini dell’espatrio o di ogni altro documento equipollente; l’obbligo di conservare il provvedimento che applica o dà esecuzione alla pena sostitutiva e l’eventuale provvedimento di modifica delle modalità di esecuzione della pena.
Ebbene, tra queste, al fine di prevenire la commissione di ulteriori reati, il giudice può anche prescrivere il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, con applicazione dell’art. 282-bis cod. proc. pen..
La Suprema Corte ribadisce che, in tema di pene sostitutive di pene detentive brevi, “le prescrizioni previste dall’art. 56-ter della legge 24 novembre 1981, n. 689 per la semilibertà sostitutiva, la detenzione domiciliare sostitutiva e il lavoro di pubblica utilità sostitutivo non sono pene accessorie la cui applicazione dipende dalla discrezionale valutazione del giudice, ma costituiscono contenuto necessario e predeterminato della pena sostitutiva, da applicare obbligatoriamente anche in caso di patteggiamento“.
3. La decisione della Cassazione
Alla luce di quanto finora esposto, la Corte di Cassazione ha ritenuto che il principio sopraesposto debba valere anche con riferimento alla prescrizione di cui al comma 2 dell’art. 56-ter cit., “laddove la discrezionalità del giudice è indicata dal legislatore con l’uso del termine ‘può’“.
Tale termine, ad avviso della Corte, si riferisce necessariamente alla tipologia del reato commesso che implichi, come nel caso di specie, un pericolo di reiterazione della condotta e una valutazione del Giudice che può ritenere necessario un divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa.
Non è necessario che la previsione rientri nell’accordo tra le parti poiché, anche in questo caso, vale il principio sopra riportato, secondo il quale “le prescrizioni sono conseguenza dell’accettazione dell’applicazione della misura sostitutiva che ha formato oggetto del patteggiamento e non possono essere messe in discussione una volta raggiunto l’accordo tra le parti“.
Per questi motivi, la Cassazione ha rigettato il ricorso con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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