Cosa comporta il passaggio in giudicato di una sentenza di condanna a pena detentiva suscettibile di esecuzione?
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Indice
1. La questione: passaggio in giudicato di condanna detentiva eseguibile
Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma aveva applicato nei confronti di una persona la misura cautelare della custodia cautelare in carcere, in ordine a tre episodi di furto in abitazione mentre, successivamente, lo stesso organo giudicante aveva sostituito l’originaria misura con quella degli arresti domiciliari.
Ciò posto, all’esito di giudizio abbreviato, la persona sottoposta a questa misura custodiale veniva condannato alla pena di anni due, mesi quattro e giorni dieci di reclusione in relazione ai reati per i quali era stata applicata la misura cautelare nonché in ordine ad altri due episodi di furto in abitazione.
Ebbene, dopo l’emissione di tale sentenza di condanna, il Giudice per le indagini preliminari, a seguito di istanza della difesa, aveva disposto la revoca degli arresti domiciliari, rilevando che, «in considerazione del tempo trascorso dall’esecuzione della misura cautelare e dell’esito del giudizio abbreviato», le esigenze cautelari dovevano considerarsi cessate.
Detto questo, avverso codesto provvedimento aveva proposto appello il pubblico ministero, rilevando che: il decorso del tempo dall’esecuzione della misura cautelare e l’esito del giudizio abbreviato non costituivano elementi di sicura valenza sintomatica in ordine al mutamento delle esigenze cautelari; l’applicazione della misura degli arresti domiciliari risaliva solo al 7 ottobre 2022 ed era relativa a una condotta grave e reiterata, realizzata in spregio all’età e alla debolezza, fisica e psicologica, delle persone offese.
Per tali ragioni, quindi, la pubblica accusa chiedeva l’annullamento dell’ordinanza impugnata ed il ripristino degli arresti domiciliari.
Dal canto suo, il Tribunale di Roma – Sezione Riesame -, in parziale accoglimento dell’appello, aveva applicato la misura cautelare dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria.
Orbene, contro detta ordinanza la difesa proponeva ricorso per Cassazione, deducendo i seguenti motivi: 1) vizio di erronea applicazione della legge penale, in relazione all’art. 300 cod. proc. pen.; 2) vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, in relazione all’art. 442-bis cod. proc. pen.; 3) vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, in relazione all’art. 274 cod. proc. pen. Per approfondimenti si consiglia il seguente volume, il quale rappresenta un valido strumento operativo di ausilio per il Professionista: Formulario annotato del processo penale
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2. La soluzione adottata dalla Cassazione
Il ricorso suesposto era accolto alla luce di quell’orientamento nomofilattico secondo il quale il passaggio in giudicato di una sentenza di condanna a pena detentiva suscettibile di esecuzione comporta la caducazione immediata della misura coercitiva non custodiale già applicata al condannato (Sez. U, n. 18353 del 31/03/2011) atteso che nessuna norma prevede che, quando diviene inoppugnabile la sentenza di condanna a pena detentiva non sospesa o non altrimenti estinta, pronunziata nei confronti di persona sottoposta a misura coercitiva diversa dalla custodia cautelare in carcere o nel domicilio, la restrizione della libertà debba permanere in forza della predetta sentenza di condanna.
In effetti, rilevava la Corte di legittimità nella pronuncia qui in esame, il codice di rito detta una puntuale disciplina riferibile alla protrazione di una misura cautelare che non sia la custodia in carcere solo in relazione gli arresti domiciliari, ai sensi dell’art. 656, comma 10, cod. proc. pen. e prevede una disciplina relativa alla fungibilità delle pene esclusivamente con riguardo alla custodia cautelare – ex art. 657 cod. proc. pen. – e alle pene accessorie – ex art. 662 cod. proc. pen. -, escludendo da tale regime le misure coercitive diverse da quelle custodiali.
Di conseguenza, per gli Ermellini, in assenza di un’esplicita previsione, ammettere che una misura cautelare non custodiale si protragga oltre il giudizio di cognizione, senza alcun collegamento con le esigenze di questo e senza che le limitazioni della libertà in tal modo patite possano in alcun modo essere scomputate dalla pena da espiare, comporterebbe non soltanto la totale negazione della funzione servente delle misure cautelari rispetto al processo, ma anche la sottrazione delle stesse dall’alveo dei principi di necessità, di proporzione e di legalità.
Ebbene, nel caso in esame, dal certificato del casellario giudiziale in atti, risultava che, effettivamente, era passata in giudicato la sentenza con la quale il ricorrente era stato condannato per i reati in ordine ai quali era stata disposta l’applicazione della misura cautelare dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria.
L’ordinanza impugnata, pertanto, era annullata senza rinvio.
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3. Conclusioni
La decisione in esame desta un certo interesse essendo ivi chiarito cosa comporta il passaggio in giudicato di una sentenza di condanna a pena detentiva suscettibile di esecuzione.
Si afferma difatti in tale pronuncia, sulla scorta di un pregresso indirizzo interpretativo, che il passaggio in giudicato di una sentenza di condanna a pena detentiva suscettibile di esecuzione comporta la caducazione immediata della misura coercitiva non custodiale già applicata al condannato.
Tale provvedimento, quindi, deve essere preso nella dovuta considerazione ogni volta si debba valutare se chiedere la revoca di una misura coercitiva non custodiale in questo frangente processuale.
Ad ogni modo, il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, poiché contribuisce a fare chiarezza su siffatta tematica procedurale sotto il versante giurisprudenziale, non può che essere positivo.
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