Successione di norme penali e limite del giudicato

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Il presente contributo ha il fine di evidenziare l’irragionevolezza insita nel disposto del co. III dell’art. 2 c.p., che disciplina il superamento del giudicato in caso di norma modificatrice favorevole che interviene sulla pena detentiva trasformandola in pena pecuniaria, perché confinato alla sola modifica della pena detentiva in pena pecuniaria e non estensibile in caso di modifica sul quantum della pena detentiva o in caso di passaggio da delitto a contravvenzione. Si conclude, quindi, per la richiesta di un nuovo intervento del legislatore che vada a realizzare concretamente l’uguaglianza sostanziale e art. 3 Cost. in coerenza e a sostegno della tutela della libertà personale.

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Indice

1. Irretroattività della norma sfavorevole e retroattività della lex mitior

Il fenomeno della successione di norme penali è regolato dal principio dell’irretroattività della norma sfavorevole e da quello della retroattività della norma favorevole. Entrambi i principi sono espressamente previsti dall’art. 2 c.p. e ricevono copertura costituzionale, il primo direttamente attraverso l’art. 25 co. II Cost., il secondo per via indiretta attraverso l’interpretazione evolutiva del principio di uguaglianza da cui si ricava quello della ragionevolezza ex art. 3 Cost. Sul punto, è bene precisare che, come più volte affermato dalla Corte Costituzionale, solo il principio dell’irretroattività della norma sfavorevole è inderogabile in maniera assoluta, in quanto posto a garanzia della libertà personale ex art. 13 Cost., a sua volta garantita dal principio di colpevolezza ex art. 27 Cost. in relazione al principio generale dell’autodeterminazione che, postula la possibilità di compiere scelte libere d’azione, condizione imprescindibile per poter muovere un rimprovero penale. Infatti, derogare al principio dell’irretroattività della norma sfavorevole, significherebbe realizzare un diritto penale completamente sganciato dalla legalità perchè imposto in maniera oggettiva, senza tenere in considerazione l’adesione psicologica delle persone al proprio sistema. Da una simile impostazione, anche la funzione della pena si svuoterebbe della sua ratio in quanto, verrebbe a mancare il fine della rieducazione del condannato la quale, è strettamente connessa alla capacità del reo di scegliere, sia con riferimento al decidere se commettere o meno un reato, sia nella fase rieducativa. Quanto detto è racchiuso nel co. II dell’art. 25 Cost. dove si afferma che “Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”, perchè si può punire solo un soggetto che è in grado di conoscere le conseguenze delle azioni/omissioni che commette e tale condizione non può dirsi sicuramente rispettata a fronte di una norma penale che entri in vigore dopo (principio della prevedibilità). Tale assunto è ampiamente presente in tutto l’assetto normativo penalistico in quanto, a prescindere dal nucleo centrale del principio di legalità da cui origina, trova conferma, ad esempio, nel principio dell’inescusabilità dell’ignoranza della legge penale ex art. 5 c.p. così come modificato dalla Corte Cost. con la sentenza n. 364 del 1988 che è intervenuta applicando un correttivo a garanzia del rispetto del principio di colpevolezza: la scusabilità dell’ignoranza inevitabile della legge. Volendo leggere la disposizione dell’art. 5 c.p. in ottica inversa, infatti, ne discende che in tanto l’ignoranza della legge è inescusabile in quanto un soggetto abbia la possibilità di conoscere tale legge e la conoscenza della legge penale è un postulato che può mancare solo in casi eccezionali e non certamente perchè connessa alla mancanza della stessa legge penale al momento dell’agire. Dall’analisi dell’art. 25 Cost., non si ricava, invece, il principio opposto, quello della retroattività della norma penale favorevole ma, come si è anticipato, lo si può desumere dall’art. 3 Cost., attraverso l’interpretazione del principio di uguaglianza in funzione della tutela della libertà personale ex art. 13 Cost. (favor rei). In quanto norma di favore, non si richiede che risulti verificata la conoscenza da parte del reo della medesima prima della decisione di compiere scelte d’azione e pertanto, non si azionano tutti i meccanismi di garanzia posti a tutela della libertà personale la quale, anzi, è direttamente valorizzata dalla norma favorevole stessa. Allo stesso tempo, il fatto di non minare il vulnus della tutela penale, comporta che il principio della retroattività della norma favorevole [1] può essere derogato quando nel bilanciamento tra i contrapposti valori costituzionali non sia il favor rei a prevalere, come ad esempio il principio del giudicato posto a garanzia della sicurezza giuridica.
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Formulario Annotato del Processo Penale

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2. Abolitio e legge modificatrice

Il secondo co. dell’art. 2 c.p. disciplina il fenomeno dell’abrogazione in quanto, fa riferimento all’intervento di una legge posteriore che vada a normare diversamente un determinato fatto che prima del suddetto intervento costituiva reato e a seguito di quest’ultimo non più (riformulazione del precetto) [2]. L’abrogazione (a cui deve far seguito in caso di giudicato il rimedio della revocazione ex art. 673 c.p.p.) è desunta dal tipo di intervento (non si può estendere tale fenomeno all’interpretazione evolutiva giurisprudenziale e si ammette l’equiparazione con il sindacato di illegittimità costituzionale) che agisce su una certa norma che prima costituiva reato, poiché fa espresso riferimento alla legge e quindi, richiamando il principio della riserva di legge assoluta in merito alla sanzione penale e tendenzialmente assoluta in merito al precetto, si riferisce alla legge parlamentare, unica fonte in grado di assicurare il principio di democraticità e rappresentatività in coerenza con il più generale principio della separazione dei poteri. Ciò che colpisce da tale disposizione è la forza insita al fenomeno abrogatorio che, travolge il giudicato, in relazione alla funzione dello strumento penale come ultima ratio ed espressivo di determinate scelte di politica criminale che possono essere sindacate solo sul piano della legittimità costituzionale. Il giudicato, invece, costituisce limite invalicabile in caso di vera e propria successione di leggi dove si verifica una condizione in cui un certo fatto viene, dapprima disciplinato da una norma penale e successivamente da un’altra legge intervenuta posteriormente. In tal caso, seguendo la logica del principio della retroattività della norma favorevole, eccetto le eventuali deroghe previste per legge, la successione tra norme penali (e si fa riferimento anche alle norme extra-penali integratrici del precetto c.d. definitorie, cfr. Sentenza Magera Cass. SS. UU. 2007) si risolve, attraverso una comparazione strutturale tra le fattispecie astratte dominata dal principio di specialità (per specificazione o per aggiunta) c.d. criterio formale (su tutte Cass. SS. UU. n. 25887\2003, Giordano), con l’applicazione della norma più favorevole, a meno che non sia stata pronunciata sentenza irrevocabile ex art. 648 c.p.p., con l’eccezione di una modifica che apporti l’applicazione di una pena pecuniaria (multa/ammenda) in luogo di una pena detentiva (reclusione, arresto [3]) ex comma III art, 2 c.p. (modifica introdotta dalla legge n. 85/2006).

3. Il co. III dell’art. 2 c.p. e la contrapposizione tra il giudicato e il principio della libertà personale

Si è detto che, come noto, l’art. 2 c.p. disciplina il fenomeno della successione delle norme penali nel tempo e che per successione in realtà debba intendersi quel particolare tratto del fenomeno in cui si verifica una modifica normativa che produca la compresenza di due norme penali regolatrici dello stesso fatto tipico. Il fenomeno successorio è regolato dal principio dell’applicazione della norma favorevole con il limite del giudicato. In sostanza, quando uno stesso fatto è regolato da due norme penali, l’una vigente al momento del fatto e l’altra entrata in vigore in epoca successiva, quando quest’ultima norma risulti più favorevole si applica retroattivamente a meno che non sia intervenuta una sentenza passata in giudicato. A tale corollario si affianca l’eccezione disciplinata dal co. III dell’art 2 c.p. il quale afferma che: “Se vi è stata condanna a pena detentiva e la legge posteriore prevede esclusivamente la pena pecuniaria, la pena detentiva inflitta si converte immediatamente nella corrispondente pena pecuniaria, ai sensi dell’articolo 135”. Sul presupposto che è illogico continuare a punire un fatto con una pena detentiva quando l’orientamento politico criminale è mutato a tal punto da valutare quel fatto meritevole di una pena pecuniaria, in sintonia con la rilevanza della tutela del diritto fondamentale della libertà personale, il legislatore nel 2006 è intervenuto apportando un correttivo alla regola dello sbarramento del giudicato (espressione del principio di ragionevolezza sostanziale). In merito però, sorgono almeno due riflessioni, la prima riguarda l’irragionevolezza di escludere il superamento del giudicato anche con riferimento ad una modifica sul tipo di pena detentiva e sul complesso delle sanzioni penali applicabili a prescindere dal tipo pena pecuniaria (approccio formale e sostanziale). La seconda, riguarda l’automatismo della conversione che non lascia spazio alla valutazione del caso concreto dove, una pena pecuniaria possa risultare maggiormente afflittiva di una pena detentiva, in relazione alle capacità economiche e sociali del reo e alla sua capacità di autodeterminazione in rapporto alla prevedibilità delle conseguenze e al principio della ragionevolezza sostanziale. Infatti, con riferimento alla prima riflessione appare altresì irragionevole non consentire il superamento del giudicato a fronte di una notevole e sostanziale modifica favorevole interveniente sulla pena detentiva sia con riferimento alla possibile passaggio da delitto a contravvenzione, sia con riferimento al quantum della pena stabilita. Si pensi ad un fatto che venga dapprima punito con la pena della reclusione pari nel massimo a 10 anni e poi, a seguito dell’intervento modificativo il massimo della pena venga ridotta drasticamente a due anni (con la possibilità di ricorrere ai benefici premiali e di esenzione dall’esecuzione penale). In tal caso, sicuramente si può affermare che vi sia stato un radicale mutamento dell’orientamento politico criminale in ordine al fatto tipico e sicuramente si può altresì affermare che il mutamento sia notevolmente incidente sul piano delle conseguenze negative, drasticamente ridotte, in ordine al diritto fondamentale della libertà personale, tale per cui non si rinviene un criterio logico e ragionevole che possa giustificare una differenziazione tra questo tipo di modifica e quanto previsto dal co. III dell’art. 2 c.p. Discorso analogo può fari con riferimento al possibile mutamento di un fatto che da delitto divenga contravvenzione. In entrambi i casi non si realizza alcun fenomeno abrogatorio perché, comunque, si continua a prevedere quel fatto come reato. Invero, si realizza un mutamento nel primo caso sul quantum della pena detentiva, nel secondo caso nella tipologia della pena detentiva correlata al differente tipo di reato, da delitto a contravvenzione non diversamente da quanto avviene nel caso di modifica da pena detentiva a pena pecuniaria. Orbene, se il criterio discretivo è il principio della ragionevolezza sostanziale, il che postula la rilevanza del principio di uguaglianza in ordine alla tutela della libertà personale, ritenuti più meritevoli nel bilanciamento con il principio del giudicato (certezza dei rapporti giuridici), allora non si può che non constatare l’irragionevolezza dello sbarramento del giudicato in tutti i casi ad eccezione della pena pecuniaria introdotta in luogo della pena detentiva.
Per quanto attiene alla seconda riflessione, sebbene sia pleonastica e maggiormente intrisa di ulteriori riflessioni legate al funzionamento del sistema penale in generale, appare, ad avviso di chi scrive, non illogico considerare la pena e gli effetti che ne derivano sul piano sostanziale, in coerenza con l’effettività della pena, punto cruciale anche in ordine alla valutazione che si svolge in campo internazionale in ordine alla qualifica penale delle sanzioni (su tutti CEDU e criteri ENGEL). Con tale approccio non si vuole certo minare il fondamento oggettivo del sistema penale in generale e del sistema penale sanzionatorio nello specifico e dunque, non si vuole prospettare la personalizzazione della pena in astratto (diritto penale d’autore) ma, sicuramente si vuole riflettere sulla necessità di arricchire l’ambito di intervento affidato al giudice nell’ottica di valorizzare la sua analisi del fatto concreto in relazione alla pena astratta prevista e alla pena applicabile, così come avviene regolarmente, anche in ordine a questo tipo di giudizio dove si verifichi un mutamento normativo che vada a trasformare la pena. E in tal senso, procedere ad una valutazione effettiva del caso concreto che tenga realmente conto della sfera personale del soggetto coinvolto in relazione alle conseguenze penali a cui dovrebbe andare incontro in astratto e a cui va incontro in concreto a seguito della decisione del giudice. Orbene, non è del tutto ragionevole propendere per l’automatismo previsto dal comma III dell’art. 2 c.p. perché, proprio il caso concreto può rivelare l’irragionevolezza di tale scelta culminando nell’ineguaglianza sostanziale. Si può parlare di uguaglianza, infatti, non in base ad una parificazione di condizioni in astratto tra tutti ma, quando tutti possono ritrovarsi nelle medesime possibilità anche e soprattutto in considerazione delle diversità e differenze che ci caratterizzano. Appare abbastanza intuitivo, oltre che logico, dedurre che una pena pecuniaria di 10.000 euro non sortisca alcun effetto se inflitta nei confronti di un miliardario e viceversa, sia percepita molto afflittiva da chi ha una capacità economica minima o del tutto azzerata. Si pensi ad un fatto di reato che venga punito dapprima con la pena della reclusione nel massimo di due anni e poi, a seguito dell’intervento modificativo venga punito con una pena pecuniaria nel massimo a 10.000 euro a fronte di un soggetto con capacità economiche minime. A prescindere dal discorso tautologico sulla necessità di rispettare il principio di proporzionalità della pena anche in sede di normazione, comunque un simile esempio ci è utile per marcare l’ineguaglianza sostanziale e l’irragionevolezza insita al comma III dell’art. 2 c.p.

4. Conclusione

A fronte di quanto affermato si può concludere per la ragionevolezza di un intervento modificatore in ordine al disposto del comma III dell’art. 2 c.p. al fine di dare attuazione effettiva al principio di uguaglianza ex art. 3 Cost., auspicando per l’apertura del superamento del giudicato anche in caso di modifiche sul quantum della pena detentiva o sul tipo stesso. Più complicato appare l’approdo verso la previsione di una valutazione sostanziale effettuata dal giudice in ordine al caso concreto, tosto che l’applicazione automatica attualmente prevista dal co. III dell’art. 2 c.p. ma, comunque, auspicabile al fine di realizzare l’uguaglianza sostanziale e non cadere nell’irragionevolezza sostanziale della ragionevolezza astratta.

  1. [1]

    Viene direttamente riconosciuto dalla Corte EDU che lo aggancia all’art. 7 CEDU. Si prenda nota della sentenza Scoppola c. Italia 17\9\2009.

  2. [2]

    Si può verificare anche la condizione (abrogazione secca ) in cui la norma abrogante agisca solo  su una fattispecie speciale comportando la ri-espansione della norma generale e in tal caso il comportamento penalmente rilevante rimarrebbe tale perchè entrambe le norme erano vigenti al momento della condotta ( nell’individuazione del tempo della commissione del reato, si segue,  in via maggioritaria, il criterio della condotta rispetto al criterio dell’evento, perchè più coerente con il principio della prevedibilità delle conseguenze alle libere scelte d’azione). Nella scelta di quale norma applicare quindi si seguirà il principio dell’irretroattività della norma sfavorevole anche in tal caso perchè al momento della condotta, in caso di abolizione della norma speciale e ri-espansione della norma generale meno favorevole, il reo non avrebbe potuto prevedere tale applicazione normativa e pertanto si applicherebbe la norma abrogata.

  3. [3]

    Si esclude la pena dell’ergastolo per il notevole gap valoriale che postula l’illogicità di un simile cambiamento anche se non può dirsi impossibile.

Francesca Fuscaldo

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