Il principio di irretroattività nell’Ordinamento italiano

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Nell’Ordinamento giuridico italiano il principio di irretroattività è disciplinato dall’articolo 11, comma 1, delle Preleggi del codice civile, secondo il quale “la legge non dispone che per l’avvenire, essa non ha effetto retroattivo”.
Nell’ordinamento penale sostanziale è disciplinato dall’articolo 25, comma 2, della Costituzione, secondo il quale “nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”.
In ambito penalistico l’irretroattività si manifesta come un principio non derogabile da parte della legge ordinaria perché cristallizzato in una fonte del diritto di rango gerarchicamente sovraordinato, mentre negli altri settori dell’ordinamento giuridico questo principio è suscettibile di deroga, in applicazione del canone lex posterior derogat priori (la legge posteriore deroga quella anteriore).
A questo proposito le Preleggi sono una fonte equiordinata alla legge ordinaria.

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Indice

1. Il principio di irretroattività nel diritto in genere


La successione tra leggi dello stesso rango si rivela nel comprendere dei diritti posti da leggi dello stesso rango precedenti (abrogazione espressa, contemplata all’articolo15 dalle stesse Preleggi).
L’ordinamento giuridico italiano ammette la possibilità di retroattività delle leggi amministrative, tributarie e previdenziali, nonostante la norma incida su diritti di carattere economico e situazioni che si sono cristallizzate nel tempo.
A norma dell’articolo 53 della Costituzione, la norma tributaria retroattiva è illegittima se viola la capacità contributiva.
La norma previdenziale retroattiva può ridurre l’importo del trattamento previsto, ed è illegittima se elimina le prestazioni previdenziali conseguite in relazione al quadro normativo che esisteva prima della norma.
Le sentenze sono relative a titolari di pensione iniziate a liquidare prima della norma retroattiva, ma si rivolgono anche a persone in possesso dei requisiti minimi contributivi per la liquidazione in base alle leggi vigenti prima della norma retroattiva e, a decorrere da una determinata data successiva a questa, però le stesse affermano l’esigenza di tutelare il diritto del cittadino a compiere le sue scelte secondo il quadro legislativo.
La giurisprudenza costituzionale ha dichiarato che il “principio di irretroattività della legge” ed è derogabile esclusivamente quando venga richiesto dal metodo di ragionevolezza, senza mai “incidere arbitrariamente sulle situazioni sostanziali poste in essere da leggi precedenti”.
Una norma retroattiva e non penale può essere dichiarata legittima se non viola il principio di ragionevolezza.  


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2. Il principio di irretroattività nel diritto penale


Nel diritto penale sostanziale sia la legge nazionale (artt. 25 Cost. e 2 c.p.) sia l’articolo 7 della Convenzione Europea sanciscono il principio della irretroattività delle norme non favorevoli al reo.
Questo principio viene applicato in relazione alle norme penali in malam partem, vale a dire, non favorevoli al reo.
Se la legge penale varia in modo favorevole al reo, è applicabile anche in via retroattiva, nel rispetto del più ampio principio del favor rei.
Secondo l’articolo 2, commi 2 e 3 del codice penalenessuno può essere punito per un fatto che secondo una legge posteriore non è reato e se vi è stata sentenza di condanna ne cessano gli effetti e l’esecuzione” e se c’è stata condanna a pena detentiva e la legge posteriore prevede esclusivamente la pena pecuniaria.
Se la legge del tempo nel quale fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le quali disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile (art. 2, comma 4 c.p.).
Il principio di irretroattività prevede l’impossibilità di punire un comportamento umano per un fatto che, quando fu commesso, non era sancito come reato da nessuna legge preesistente.
Il principio di irretroattività nasce dai pensatori illuministi del ‘700, secondo i quali era altamente lesivo delle libertà personali punire un comportamento che, nonostante andasse contro la morale comune, non era vietato da nessuna norma sancita in precedenza.
L’articolo 25 comma 2 della Costituzione e l’articolo 2 comma 1 del codice penale, impongono al Legislatore il divieto di applicare in modo retroattivo una legge penale successiva sfavorevole all’agente.
Cade sotto il divieto ogni legge di diritto penale sostanziale che individua una figura di reato integralmente nuova, amplia una figura di reato preesistente, comporta una disciplina meno favorevole per l’agente e una pena principale o accessoria ed effetti penali più severi.
L’articolo 2 commi 2 e 4 del codice penale impone l’obbligo di applicare in modo retroattivo  una legge penale successiva favorevole all’agente.
In caso di abolizione del reato si applica in modo retroattivo anche la pronunciata sentenza definitiva di condanna (retroattività illimitata).
La successione di leggi modificative della disciplina con effetti favorevoli all’agente, modifica la disciplina del reato, e si applica in modo retroattivo se la sentenza definitiva non è stata ancora pronunciata.
Il principio non si può applicare alle leggi eccezionali e temporanee.
Lo stesso incontra difficoltà quando la nuova legge instaura un “collegamento della non punibilità al rispetto di una determinata procedura”.
Nel diritto processuale penale si è discusso se applicare lo stesso principio visto che il legislatore non ha espresso con chiarezza la situazione nella norma.
In senso negativo, si è sostenuto che una norma penale procedurale non si può dire sempre favorevole o non favorevole, al contrario di una norma penale sostanziale.
Nella procedura penale, vale esclusivamente il principio tempus regit actum.

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