Il ruolo dei genitori nell’educazione digitale: la sentenza del Tribunale di Brescia

Non è mai troppo tardi: il Tribunale di Brescia riscrive il ruolo dei genitori moderni. Educazione digitale per adulti inconsapevoli.

Non è mai troppo tardi: il Tribunale di Brescia riscrive il ruolo dei genitori moderni. Educazione digitale per adulti inconsapevoli. Per approfondire il tema, ti consigliamo il volume “Educazione ai Social Media – Dai Boomer alla generazione Alfa”.

Indice

1. Il caso: cyberbullismo e profili fake, il prezzo della disattenzione


Brescia, marzo 2025. Il Tribunale emette la sentenza n. 879 e condanna una famiglia al risarcimento di 15.000 euro per non aver saputo vigilare sull’attività digitale della propria figlia, responsabile di atti di cyberbullismo aggravati contro una compagna di classe.
La ragazza – minorenne, con lieve ritardo cognitivo – aveva creato profili social falsi per insultare la coetanea e diffondere immagini manipolate a contenuto pornografico. I genitori, secondo il giudice, si sono limitati a un controllo superficiale, affidandosi a una vigilanza parziale e del tutto insufficiente. Il risultato? Una vittima traumatizzata e due adulti (i genitori) ritenuti civilmente responsabili ex art. 2048 c.c., per culpa in educando e vigilando. Per approfondire il tema, ti consigliamo il volume “Educazione ai Social Media – Dai Boomer alla generazione Alfa”.

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Educazione ai Social Media – Dai Boomer alla generazione Alfa

Ricordate quando i nostri genitori ci dicevano di non parlare con gli sconosciuti? Il concetto non è cambiato, si è “trasferito” anche in rete. Gli “sconosciuti” possono avere le facce più amichevoli del mondo, nascondendosi dietro uno schermo. Ecco perché dobbiamo imparare a navigare queste acque digitali con la stessa attenzione che usiamo per attraversare la strada. Ho avuto l’idea di scrivere questo libro molto tempo fa, per offrire una guida pratica a genitori che si trovano, come me, tutti i giorni ad affrontare il problema di dare ai figli alternative valide al magico potere esercitato su di loro – e su tutti noi – dallo smartphone. Essere genitori, oggi, e per gli anni a venire sempre di più, vuol dire anche questo: scontrarsi con le tematiche proprie dei nativi digitali, diventare un po’ esperti di informatica e di sicurezza, di internet e di tecnologia e provare a trasformarci da quei boomer che saremmo per diritto di nascita, a hacker in erba. Si tratta di una nuova competenza educativa da acquisire: quanto è sicuro il web, quali sono i rischi legati alla navigazione, le tematiche della privacy, che cosa si può postare e che cosa no, e poi ancora il cyberbullismo, il revenge porn, e così via in un universo parallelo in cui la nostra prole galleggia tra like, condivisioni e hashtag. Luisa Di GiacomoAvvocato, Data Protection Officer e consulente Data Protection e AI in numerose società nel nord Italia. Portavoce nazionale del Centro Nazionale Anti Cyberbullismo. È nel pool di consulenti esperti di Cyber Law istituito presso l’European Data Protection Board e ha conseguito il Master “Artificial Intelligence, implications for business strategy” presso il MIT. Autrice e docente di corsi di formazione, è presidente e co-founder di CyberAcademy.

 

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2. I punti chiave della sentenza: tra diritto civile e pedagogia digitale


1. La vigilanza è un obbligo attivo, non un’opzione morale
I giudici hanno affermato in modo inequivocabile che la responsabilità genitoriale non si ferma alla soglia della cameretta né all’ultima password concessa. I social, come ogni spazio pubblico o semi-pubblico, sono luoghi di educazione e di rischio. La sorveglianza deve essere effettiva, non simbolica.

2. Il genitore ignorante digitale non è più giustificabile
Invocare la propria incompetenza informatica non basta più. “Non capisco niente di tecnologia” equivale a dire “non so leggere i segnali di pericolo”. La sentenza impone una riflessione netta: non basta essere genitori amorevoli, bisogna essere anche alfabetizzati digitalmente.

3. Il rischio di “fughe nell’ombra digitale”
I minori non sono sprovveduti: sanno creare profili falsi, eludere controlli, camuffare comportamenti. Ma se la risposta degli adulti è l’inerzia o – peggio – il diniego, la distanza educativa si fa abisso.

3. Educare nell’era del paradosso: tra “Non è mai troppo tardi” e il braccialetto elettronico


Nel secondo dopoguerra, la RAI mandava in onda una trasmissione dal titolo “Non è mai troppo tardi”, per insegnare a leggere e scrivere agli adulti analfabeti. Oggi, nel 2025, dovremmo rispolverare quel titolo per rivolgerlo non a chi non sa scrivere, ma a chi non sa navigare.
Non è mai troppo tardi per un genitore per imparare cos’è un fake profile, come si leggono le impostazioni di privacy su TikTok, cosa vuol dire “link in bio”. L’alfabetizzazione digitale non è un privilegio giovanile, è una forma di responsabilità civile.
Eppure, mentre chiediamo ai genitori di salire di livello, rischiamo di scivolare in un altro estremo: l’ipercontrollo totalizzante. Stiamo educando o stiamo schedando i nostri figli? Li stiamo aiutando a crescere o li stiamo trasformando in minori sorvegliati speciali, con la cronologia monitorata, l’app di parental control attiva, le notifiche sincronizzate sul telefono di mamma?
Se andiamo avanti così, gli metteremo il braccialetto elettronico anche per andare in bagno

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4. La retorica del “ai miei tempi” e il fallimento della nostalgia


“Quando eravamo ragazzi noi, queste cose non esistevano.” È vero. Non c’erano gli smartphone, i social, l’intelligenza artificiale. Ma non è un merito, è solo un fatto. E i fatti, per quanto romantici, non educano.
Continuare a rimpiangere il passato è come cercare di orientarsi con una mappa del Medioevo in una metropolitana giapponese. La nostalgia non è una strategia pedagogica. Serve consapevolezza, non rimpianto.
Educare nel 2025 significa navigare un equilibrio precario: tra tutela e fiducia, tra controllo e libertà, tra supporto e rispetto dell’identità digitale dei figli. Non possiamo più dire “si stava meglio quando si stava peggio” perché la verità è che questa guerra contro la tecnologia non possiamo vincerla. Ma – e questo è ancora più importante – non possiamo nemmeno permetterci di perderla.

5. Conclusione: chi educa chi?


La sentenza di Brescia non è (solo) una condanna. È un ammonimento. Ai genitori, certo. Ma anche agli educatori, alle istituzioni, ai professionisti del diritto.
È il segno di un tempo in cui l’essere genitori richiede aggiornamento continuo, formazione, capacità critica. Non basta più “stare attenti”, serve capire. Ma attenzione: il rischio non è solo non controllare. Il rischio è non costruire un patto educativo fondato sulla fiducia e sulla co-responsabilità.
I figli hanno bisogno di regole, sì. Ma hanno bisogno anche di un luogo dove sbagliare senza essere annientati, e di adulti capaci di vedere oltre l’errore, per leggere ciò che quel comportamento racconta.
Quindi sì, impariamo. Torniamo sui banchi. Apriamo il nostro primo TikTok. Iscriviamoci a un corso per genitori digitali. Non è mai troppo tardi.
Ma ricordiamoci che la vera educazione digitale non è né uno spyware né una sanzione. È una relazione. E quella, ancora, nessuna app può sostituirla.

Avv. Luisa Di Giacomo

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